Dal Vangelo secondo Giovanni
Giovanni 2, 1-11
1Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. 3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». 11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
L’evangelista Giovanni parla della Chiesa sotto vari simbolismi. Ma per lui la Chiesa è innanzitutto la Sposa del Messia. Già l’Antico Testamento aveva espresso il rapporto d’amore tra Dio e il suo popolo tramite la metafora nuziale: Dio è l’Amante, il fidanzato, lo sposo, e Israele l’amata, la fidanzata, la sposa. Nell’immagine matrimoniale non viene però solo significato il rapporto d’amore tra Dio e il suo popolo, ma anche la sua “berit” – alleanza con Israele, il patto definitivo e solenne, il giuramento reciproco di fedeltà (Os 2,15-22; 3,1; Ez 16; 23; Is 54; 62,1-5; Ct). Il matrimonio diventa quindi sacramento (la parola “sacramentum” significa “segno”) di una realtà che lo trascende, profezia di Dio e della sua alleanza con l’uomo.
Il primo miracolo operato da Gesù, la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana (Gv 2,1-12), rientra nel genere letterario delle “azioni profetiche”, cioè di quelle gestualità che i profeti sono soliti compiere per esprimere un messaggio (Ger 13,1-14; 19; 24; Ez 3,24-5,17; Zc 11,15).
A Cana i protagonisti non sono gli sposi: la sposa non è neppure nominata. A Cana si celebrano le nozze tra lo Sposo messianico e la sua Sposa, rappresentata da Maria e dai discepoli. “Il «segno» di Cana ha lo scopo di «manifestare la gloria di Gesù», cioè la novità del suo messaggio: il Dio che egli annuncia è un Dio non straniero, ma lo Sposo che chiama alle nozze dell’alleanza l’intera umanità qui rappresentata dai discepoli che sono i garanti del «segno» di Cana di Galilea” (P. Farinella). Infatti una delle immagini costanti dell’Antico Testamento per esprimere la gioia dell’avvento messianico è l’abbondanza di vino (Am 9,13-14; Os 14,8; Gen 49,10-12; Gl 2,24; 4,18; Is 25,6). Scrive infatti l’Apocalisse apocrifa greca di Baruc: “La terra darà i suoi frutti diecimila volte tanto e in una vite ci saranno mille tralci e un tralcio farà mille grappoli e un grappolo farà mille acini e un acino farà un kor di vino (ndr: circa 450 litri). E coloro che avevano fame saranno deliziati e, ancora vedranno meraviglie ogni giorno… E accadrà dopo ciò: quando il tempo della venuta dell’Unto sarà pieno ed egli tornerà nella gloria, allora tutti quelli che si erano addormentati nella speranza di lui risorgeranno… Sapranno infatti che è giunto il tempo di cui è detto: è il compimento dei tempi”. A Cana Gesù procura miracolosamente da quattrocentottanta a settecentoventi litri di vino, davvero un po’ troppo per un semplice banchetto nuziale! I discepoli capiscono che è il Messia-Sposo del tempo finale, che convoca l’assemblea escatologica degli eletti. Come dice Agostino: “Cristo… è lo sposo delle nozze di Cana, infatti, cui fu detto: «Hai conservato il buon vino fino ad ora». Cristo, infatti, aveva conservato fino a quel momento il buon vino, cioè il suo Vangelo”. In ebraico, vino si dice “yayìn”, le cui consonanti (y – y – n) corrispondono al numero 70 (10 + 10 + 50), cioè il numero delle nazioni della terra secondo il giudaismo: il Vangelo è proprio universale, tutti sono chiamati all’assemblea degli eletti.
Il Cantico dei Cantici impiega otto volte la metafora del vino per esprimere l’amore ardente tra lo Sposo e la Sposa (Ct 1,2.4; 2,4; 4,10; 5,1; 7,3.10; 8,2). È Gesù lo Sposo, e tale lo proclamerà il Battista (Gv 3,29).
Cana deriva da “qanah”, che significa “acquistare” ma, quando ha per soggetto Dio, anche “creare”. Il fatto avviene “il terzo giorno” (Gv 2,1), così come “il terzo giorno” era avvenuta la teofania sinaitica (Es 19,11). Le parole di Maria: “Fate quello che vi dirà” (Gv 2,4) richiamano la promessa di Israele al Sinai: “Quanto il Signore ha detto, noi lo faremo!” (Es 19,8). Le sei giare “di pietra” (Gv 2,6) ricordano le tavole “di pietra” (Es 31,18; 32,15; 34,1.4) su cui è scolpita le Legge del Sinai. A Cana Gesù crea il nuovo popolo dei suoi discepoli, in continuità con la creazione della Genesi e con il popolo di Israele.
Anche la lettera agli Efesini presenta la nuzialità umana come icona del rapporto tra Cristo e la Chiesa (Ef 5,21-33): il matrimonio è “mistero grande…, in riferimento a Cristo e alla Chiesa!” (Ef 5,32).
“Mistero grande” (Ef 5,32) non è solo il fatto che Cristo ci ama come il più tenero degli sposi, ma anche che il matrimonio è chiamato ad essere segno dell’amore divino per la Chiesa. Per capire il rapporto di Cristo con la sua Chiesa, dobbiamo meditare sull’amore coniugale, che dell’amore divino è sacramento, cioè segno, icona. Ogni matrimonio è profezia dell’amore di Dio. Da ogni matrimonio, dalla sua passione, dalle sue tenerezze, dalle sue dolcezze, dal suo calore, noi dobbiamo cogliere piccoli ma concreti segni dell’Amore stesso di Dio. I nostri amori sono traccia, esperienza e anticipazione di quello di Dio: per immaginare l’Amore divino bisogna partire dai nostri amori, ovviamente elevandoli all’ennesima potenza. “L’immagine della Sposa applicata alla Chiesa fa, perciò, un plastico riferimento all’intimità assoluta che esiste fra Cristo e la Chiesa” (S. T. Stancati).
Ma al contempo “il rapporto reciproco tra i coniugi, marito e moglie, va inteso dai cristiani a immagine del rapporto tra Cristo e la Chiesa” (Giovanni Paolo II). Infatti “Paolo, parlando della prima alleanza nella realtà umana – tra marito e moglie -, la più fondamentale di tutte le alleanze, vuole riportarla alla sua radice profonda, radice che tutto spiega e da cui tutto deriva: l’alleanza tra Cristo e la Chiesa” (C. M. Martini).
Buona Misericordia a tutti!
Carlo Miglietta
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.