Dal Vangelo secondo Luca
Luca 18, 1-8
Lc 18,1 Disse loro una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi: 2 «C’era in una città un giudice, che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno. 3 In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: Fammi giustizia contro il mio avversario. 4 Per un certo tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: Anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, 5 poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi». 6 E il Signore soggiunse: «Avete udito ciò che dice il giudice disonesto. 7 E Dio non farà giustizia ai suoi eletti che gridano giorno e notte verso di lui, e li farà a lungo aspettare? 8 Vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
In altre meditazioni abbiamo riflettuto su questa bella Catechesi lucana sulla preghiera: sulla necessità di un’orazione incessante, che sia davvero avere il cuore sempre unito al Signore, come insegna la “Preghiera del cuore” della tradizione Orientale, dove addirittura si arriva a modulare sul ritmo del respiro l’invocazione: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di noi!”; e sulla preghiera di domanda, che non è “sprecare parole come i pagani, i quali credono di essere ascoltati a forza di parole…, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate” (Mt 6,7-8): ma che è essenzialmente richiesta dello Spirito Santo (Lc 11,11-13), che ci insegni ad accogliere la volontà di Dio su di noi (1 Gv 5,14-15), che è sempre piano di salvezza, libertà, resurrezione.
Vogliamo oggi fermarci sulla frase conclusiva del brano: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8).
LA MORTE, PARUSIA DEL SIGNORE
La parola parusia percorre tutto il pensiero teologico del Nuovo Testamento: essa vi ricorre ventiquattro volte, di cui quattordici negli scritto paolini. Nel mondo greco designa l’arrivo di qualcuno, soprattutto la venuta di una persona eccezionale, quale l’imperatore. Un’iscrizione trovata a Tegea afferma: “Anno 69 dalla prima parusia del dio Adriano in Grecia”.
Nel mondo giudaico il termine acquisisce un significato teologico. I profeti parlano di una particolare venuta: è il “giorno di IHWH” (Am 5,18); ma “Dio viene abitualmente nella storia, nel culto, nella rivelazione della sua parola. Sono ancora i profeti ad annunciare la futura presenza del discendente di Davide, il Messia. Adottato dall’apocalittica, il tema prende contorni più precisi e si parla allora della venuta di «uno, simile ad un figlio d’uomo» (Dn 7,13)… Non più quindi una venuta, ma la venuta” (M. Orsatti).
Paolo e l’Apocalisse ci parlano di una prima venuta culminata nella morte e Resurrezione di Gesù, in cui il mondo è stato giudicato, Satana distrutto per sempre e la morte vinta. Ma nel tempo presente noi sperimentiamo ancora la prova, il dolore, la persecuzione, la morte, la caduta, il peccato. Perciò si parla anche di una seconda venuta, in cui “il cielo e la terra scompariranno” (Ap 20,11).
In Dio, nel suo eterno presente, noi siamo già vincitori, beati, nella gloria. Ma poiché noi creature siamo immersi nello spazio e nel tempo, ciò che è già presente in lui lo diventerà per noi quando usciremo dallo stato di creaturalità, cioè alla nostra morte. La Parusia è in Dio già avvenuta nell’Incarnazione del Figlio, ma noi l’attendiamo ancora perché siamo schiavi del tempo. Ma alla nostra morte saremo invece per sempre in Dio. Finalmente lo incontreremo. La morte sarà quindi il momento bellissimo in cui Dio verrà a prenderci per farci stare sempre con lui. È la nostra morte, per ciascuno di noi, il momento della Parusia del Signore, e in tal senso va primariamente letta tutta la letteratura apocalittica che parla della seconda venuta del Signore. È al momento della nostra morte che Dio ci incontrerà definitivamente.
Se la nostra sorte sarà tanta gioia e tanta bellezza, altro che aver paura della morte! Il credente sa che la morte è solo un passaggio alla vita beata.
TESTIMONIARE LA FEDE
Non è facile invecchiare bene. Soprattutto quando il tempo passa, quando svaniscono gli entusiasmi iniziali della conversione o della gioventù, il credente è chiamato alla perseveranza, virtù quanto mai oggi in crisi. Gesù insiste sulla necessità di perseverare nella Fede: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8): la venuta del Signore si realizzerà al momento della nostra morte, e Gesù sa che con il passare degli anni, con l’accumularsi delle prove, delle disillusioni e delle ferite della vita, è sempre più difficile confidare in lui e a lui affidarsi.
L’anziano è quindi chiamato ad aderire con gioia al Signore, per farsi rinnovare in profondità da lui, per attingere da lui perenne freschezza e vitalità. Nella Bibbia c’è quasi un compiacimento nel descrivere la vecchiaia come tempo in cui Dio può operare prodigi inattesi per il credente: si pensi alla nascita miracolosa di Isacco per i vecchi Abramo e Sara (Gn 18,11-14), a quella del Battista per gli anziani Zaccaria ed Elisabetta (Lc 1,18). E Paolo sottolinea che è la fede che può rendere la vecchiaia un tempo di fecondità (Rm 4,1-25).
Non tutti gli anziani sperimentano nella loro vita terrena i prodigi che Dio ha compiuto per i vecchi Abramo e Sara, o per Zaccaria ed Elisabetta; ma tutti sanno che nella loro età è inscritta la potenza del Dio della vita, pronto a trasfigurarli nel suo Regno, dove “tergerà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21,4), perché egli farà “nuove tutte le cose”, dando “gratuitamente a colui che ha sete acqua della fonte della vita” (Ap 21,5-6). Perciò l’anziano credente può concludere, con Paolo: “Se anche il nostro uomo esteriore cade in sfacelo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Cor 4,16).
La vecchiaia è quindi sempre tempo di grazia, sia che già sperimenti, con un inatteso vigore, l’opera potente di Dio, sia che, in una situazione di decadimento e di malattia, divenga testimonianza (in greco martyrìa, da cui la parola “martirio”) della fiduciosa speranza in Dio Signore e Padrone della vita che chiama alla resurrezione della carne e alla beatitudine del Paradiso.
Possa davvero ogni anziano dire come Paolo: “Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele. Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede. Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione” (2 Tm 4,6-8).
PERSEVERARE NELLA FEDE
“Perseveranza non gode oggi di grande popolarità come parola e, probabilmente, è ancor meno praticata… Gli interrogativi che sorgono a proposito della perseveranza sono diversi: perché restare fedeli alle decisioni prese, a livello sia individuale sia collettivo, in una società liquida che premia la flessibilità? Perché perseverare nel fare il bene quando non è riconosciuto o diventa addirittura motivo di persecuzione” (L. Dan). Eppure solo “con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 2,19); bisogna “vigilare con perseveranza” (Ef 6,12), “correre con perseveranza nella corsa che ci sta davanti” (Eb 12,1), perché solo “chi persevererà sino alla fine sarà salvato” (Mt 10,22), solo coloro che vivono “con la fede e la perseveranza divengono eredi delle promesse” (Eb 6,12). Perseveranza significa restare fedeli anche nella prova, nella tentazione, nella tribolazione.
È a questo che ci chiama il Vangelo di oggi.
Buona Misericordia a tutti!
Carlo Miglietta
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.