Dal Vangelo secondo Giovanni
Giovanni 1, 29-34
29 Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! 30 Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. 31 Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele». 32 Giovanni rese testimonianza dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. 33 Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. 34 E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio».
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Nel Vangelo di Giovanni la settimana inaugurale del ministero di Gesù è presentata come una nuova creazione.
La testimonianza del Battista segna i primi tre giorni (Gv 1,19-42). Nel primo giorno c’è una testimonianza negativa: il Battista dice di non essere il Cristo ma solo la “voce di uno che grida nel deserto: «Preparate la via del Signore!»” (Gv 1,19-28). Nel secondo giorno dà una testimonianza positiva: chi è Gesù (Gv 1,29-34). Nel terzo giorno il Battista invia i discepoli alla sequela di Gesù (Gv 1,35-42).
Dodd vede in questa strutturazione l’esplicazione di quanto affermato nel Prologo del Vangelo: “Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce” (Gv 1,6-8): primo giorno: il Battista non era la luce; secondo giorno: egli doveva rendere testimonianza alla luce, cioè a Gesù; terzo giorno: per mezzo di lui tutti potevano credere.
Taluni esegeti pensano che “agnello” in Giovanni sia la traduzione erronea dell’aramaico talyà (in ebraico: taleh), che significherebbe sia “agnello” che “servo”. Il Battista avrebbe quindi indicato il “Servo di Dio”.
Ma altri obiettano che il servo di Isaia è l’“ebed IHWH” (in aramaico: abda) e non ci sono prove dell’uso di talyà per indicare il Servo; né taleh è mai tradotto amnos, agnello, nel testo greco dei LXX.
Però in Is 53,4-12 si dice poi che il Servo prende su di sé (pherein/anapherein) i peccati del mondo. Il testo dei LXX traduce l’ebraico nasà sia con pherein (prendere su di sé) in Is 53, che con airein (togliere) come in Gv 1,29. L’Agnello di Dio toglie i peccati del mondo prendendoli su di sé.
Per Giovanni chi è dunque l’“agnello di Dio”?
a) É il servo sofferente, secondo l’esegesi dei padri orientali.
1. Is 53,7 descrive il Servo così: “Era come un agnello condotto al macello è come un agnello (amnos) di fronte ai tosatori”. Questo testo è applicato a Gesù in At 8,38, ed era ben usato in tal senso nella prima Chiesa.
2. Il Battista ha appena usato un altro testo del Deuteroisaia (Is 40,5) per definirsi.
3.In Is 61,1 lo Spirito scende sul servo come in Gv 1,32. In Is 42,1 il Servo è “l’eletto in cui mi compiaccio”, come in Gv 1,34.
4. Gesù è descritto in termini di Servo sofferente anche altrove in Giovanni (Gv 12,38 = Is 55,1).
b) È l’agnello Pasquale, secondo l’esegesi dei padri occidentali.
Giovanni dice che Gesù fu condannato a morte a mezzogiorno della vigilia di Pasqua nell’ora in cui nel tempio si incominciavano a sgozzare gli agnelli sacrificali pasquali (Gv 19,14). Sulla croce, una spugna imbevuta d’aceto viene fissata per lui sull’issopo (Gv 19,19): ed era l’issopo che veniva intinto nel sangue degli agnelli per aspergere gli stipiti degli Israeliti, a loro salvezza (Es 12,22). Giovanni vede adempiersi in 19,36 la Scrittura di Es 12,46 che dice che nessun osso dell’agnello pasquale deve essere spezzato.
In un’altra opera giovannea, poi, l’Apocalisse, Gesù è l’agnello immolato (Ap 5,6-9; 15,3; 7,17; 22,1). Paolo dirà: “Cristo nostra Pasqua è stato immolato” (1 Cor 5,7), e Pietro parla del “sangue prezioso di Cristo, come di agnello senza difetti e senza macchia” (1 Pt 1,18-19).
Nel Targum su Es 1,15 Mosè è paragonato a un agnello, così come Isacco (Gn 22,8: “Dio provvederà l’agnello”): e Isacco, secondo il midrash, è sacrificato su Golgota all’ora stessa di Gesù.
c) L’agnello apocalittico.
L’apocrifo “Testamento di Giuseppe” parla di un agnello vittorioso che alla fine dei tempi distruggerà il male del mondo. Enoch 90,38 dice che alla fine un toro cornuto si trasformerà in agnello con corna nere, di cui il Signore si rallegra. Nell’Apocalisse, l’agnello vittorioso è pastore di popoli in 7,17, e schiaccia le potenze malvage della terra in 7,14.
Il simbolo dell’agnello quindi è carico di significati. Fratel Francesco Bruno, Missionario della Consolata tra gli Indios della Raposa Serra do Sol nello Stato di Roraima, in Brasile, mi diceva che quando ha voluto tradurre il Nuovo Testamento nella lingua degli Indigeni Macuxì, tra i quali sono
stato anch’io più volte, uno dei problemi di maggior difficoltà è stato proprio la traduzione del termine “agnello”. I Popoli della Raposa, infatti, non hanno mai praticato la pastorizia, ma solamente la caccia e la pesca. Fratel Bruno ha dovuto fare decine di riunioni con i tuxaua, i capi dei vari villaggi, per spiegare loro che cosa fosse un agnello. E alla fine la parola è stata tradotta come persona mite e non violenta che si sacrifica per gli altri, annullando in sé il peccato, il male, le sofferenze dei fratelli.
Ha detto Papa Francesco: “L’immagine dell’agnello potrebbe stupire; infatti, è un animale che non si caratterizza certo per forza e robustezza si carica sulle proprie spalle un peso così opprimente. La massa enorme del male viene tolta e portata via da una creatura debole e fragile, simbolo di obbedienza, docilità e di amore indifeso, che arriva fino al sacrificio di sé. L’agnello non è dominatore, ma è docile; non è aggressivo, ma pacifico; non mostra gli artigli o i denti di fronte a qualsiasi attacco, ma sopporta ed è remissivo… Che cosa significa per la Chiesa, per noi, oggi, essere discepoli di Gesù Agnello di Dio? Significa mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio. Essere discepoli dell’Agnello significa non vivere come una «cittadella assediata», ma come una città posta sul monte, aperta, accogliente e solidale. Vuol dire non assumere atteggiamenti di chiusura, ma proporre il Vangelo a tutti, testimoniando con la nostra vita che seguire Gesù ci rende più liberi e più gioiosi”.
Buona Misericordia a tutti!
Carlo Miglietta
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.