Dal Vangelo secondo Luca
Luca 11, 39-56
39 In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. 40 Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41 Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo 42 ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43 A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? 44 Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. 45 E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore».
46 Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
47 e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
48 perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49 Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome:
50 di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.
51 Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
52 ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
53 ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato a mani vuote i ricchi.
54 Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
55 come aveva promesso ai nostri padri,
ad Abramo e alla sua discendenza,
per sempre».
56 Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Il Magnificat “è l’inno che intona Maria, incinta di Gesù, mentre è in visita alla parente Elisabetta, incinta di Giovanni Battista. A riferircelo è l’evangelista Luca (1,46-55) ed è l’unica volta in cui le parole della madre di Cristo si allargano (sono 102 parole nel greco originario, compresi però articoli, pronomi, particelle). Tutte le altre volte – e sono soltanto cinque – le sue frasi sono brevi e quasi smozzicate (ad esempio, a Cana durante le nozze a cui partecipa con suo figlio: «Non hanno più vino» e «Quello che vi dirà [Gesù], fatelo»)” (G. F. Ravasi).
“Perché canta Maria? La risposta più bella e più ovvia si trova, forse, in un verso di san Giovanni della Croce: «Tutti gli innamorati cantano!». Maria canta perché è innamorata. È molto importante notare che la preghiera mariana per eccellenza non mette in scena idee, ma fatti. La preghiera di Maria non è impersonale o astratta. Essa sboccia dal nucleo più intenso, impetuoso e impegnato del suo essere. La silenziosa e obbediente «schiava del Signore» irrompe in grida di giubilo. Non lodando se stessa, ma Dio salvatore” (J. T. Mendonça).
“Seguiamo, allora, il flusso poetico di questa salmodia mariana intessuta su un palinsesto di allusioni bibliche…
Nel primo movimento (1,46-49)…, sono i cristiani che si allineano con la folla degli ‘anawîm, cioè «i poveri» dell’Antico Testamento. Letteralmente il termine ebraico indica «chi è curvo», non solo sotto l’oppressione del potente, ma anche nell’umiltà dell’adorazione nei confronti di Dio, vincendo così la superbia dell’orgoglioso.
Costoro, poveri sociali ma anche giusti fedeli, celebrano, unendosi idealmente alla voce di Maria e attraverso un settenario di aoristi gnomici greci, le estrose scelte di Dio che, a differenza delle logiche socio-politiche, non privilegiano il potente ma l’ultimo e l’emarginato, ribaltando così le gerarchie storiche. Ecco i sette verbi (simbolo numerico di pienezza) che scandiscono il secondo movimento corale dell’inno: «Ha spiegato la potenza del suo braccio, / ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, / ha rovesciato i potenti dai troni, / ha innalzato gli umili, / ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote, / ha soccorso Israele suo servo» (1,51-54).
L’aoristo «gnomico» greco vuole ricordare che la scelta di Dio obbedisce a una logica costante, «proverbiale», che anche Cristo ribadirà a più riprese, affermando che «gli ultimi saranno primi e i primi ultimi» e che «chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato»…
C’è una forte speranza nell’azione del Signore onnipotente che ribalterà le sorti di questa sghemba e ingiusta storia umana… Come nella parabola, esclusiva di Luca, del ricco egoista e del povero Lazzaro (16,19-31), avverrà uno stravolgimento per cui chi è nella polvere salirà nella gloria riservata da Dio ai giusti. Maria è la prima di questa folla di «poveri del Signore» e invita tutti coloro che ripetono, cantandole, le sue parole a tenere alta la fiaccola della fiducia nel Signore” (G. F. Ravasi).
“Maria riconosce la sua piccolezza di fronte alla grandezza di Dio, e poiché la riconosce può anche rallegrarsi. Collocare la nostra vita nuda, la nostra vita intera e minuta nelle mani di Dio, non ci sminuisce affatto. San Paolo scriverà, in linea con il Magnificat, «infatti quando sono debole, è allora che sono forte» perché la grazia di Dio ci è sufficiente (2 Cor 12). A volte ci domandiamo cosa ci manca. Cosa ci manca per sentirci felici? Cosa ci manca perché gli altri ci considerino fortunati? E spesso viviamo in questa inquietudine insaziabile. La Signora del Magnificat ci insegna che non ci manca niente, a nessuno di noi manca niente per lasciarsi incendiare e trasformare dalla grazia di Dio… La debolezza che abbiamo in noi non è un ostacolo al suo amore, al contrario di quel che pensiamo. Lasciamo che Dio ami la nostra piccolezza, insignificanza, scarsezza, il nostro niente…
Maria, in questo suo cantico, emerge come perfetta rappresentante del popolo credente. Ella testimonia che l’amore di Dio per gli uomini è davvero autentico, che Dio è davvero fedele alla vita degli uomini, che le sue promesse si realizzano. In questo senso, colei che proclama il Magnificat è la vera icona del popolo di Dio in cammino” (J. T. Mendonça).
“Pregare il Magnificat è affacciarsi con Maria al balcone del futuro. Santa Maria, assunta in cielo, vittoriosa sul drago, fa scendere su di noi una benedizione di speranza, consolante, su tutto ciò che rappresenta il nostro male di vivere: una benedizione sugli anni che passano, sulle tenerezze negate, sulle solitudini patite, sul decadimento di questo nostro corpo, sulla corruzione della morte, sulle sofferenze dei volti cari, sul nostro piccolo o grande drago rosso (Ap 11,19; 12,1-10), che però non vincerà, perché la bellezza e la tenerezza sono, nel tempo e nell’eterno, più forti della violenza” (E. Ronchi)
Buona Misericordia a tutti!
Carlo Miglietta
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.