Dal Vangelo secondo Luca
Luca 12, 49-53
49 Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! 50 C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!
51 Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. 52 D’ora innanzi in una casa di cinque persone 53 si divideranno tre contro due e due contro tre;
padre contro figlio e figlio contro padre,
madre contro figlia e figlia contro madre,
suocera contro nuora e nuora contro suocera».
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Una vita alternativa
Spesso i credenti sono “come gli altri”, non si distinguono dall’ambiente che li circondano: si lasciano anch’essi sedurre dalla mentalità dominante, e non sono sufficientemente critici verso “il mondo”.
Ma Paolo ci ammonisce: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto” (Rm 12,2); “Non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito. Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito” (Rm 8,4-5).
Paolo presenta la vita come uno scontro tra due realtà: la “carne” e lo Spirito. “Carne” (in greco “sàrx”, in ebraico “basar”) non indica la materia, che invece è vivificata dallo Spirito stesso: la carne esprime, per l’Apostolo, il mondo del rifiuto di Dio. In Gal 5,19-21 egli raggruppa “le opere della carne” in quattro sezioni: l’impurità, perversione dell’amore umano, l’idolatria, perversione dell’amore di Dio, la discordia, perversione dell’amore verso gli altri, la sregolatezza, perversione dell’amore verso se stessi: “Ora quelli che sono in Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri” (Gal 5,24).
La vita secondo lo Spirito è invece la condizione del cristiano. Contrapposto quindi alle “opere della carne”, Paolo parla del “frutto dello Spirito” (Gal 5,22), al singolare: questo perché non si tratta di “fare delle cose”, ma di essere una creatura nuova. L’essere “uomo nuovo” secondo lo Spirito significa produrre un unico frutto: l’Amore (“agàpe”); ecco perché Paolo ci parla del “frutto dello Spirito” nel capitolo 5 della lettera ai Galati, con parole che richiamano l’inno alla carità del capitolo 13 della prima lettera ai Corinti. L’amore quindi, contrapposto all’egoismo e al narcisismo del mondo, è la dimensione di tutto l’atteggiamento cristiano (Rm 5,5).
Anche Pietro invita a “non servire più alle passioni umane ma alla volontà di Dio…. Basta col tempo trascorso nel soddisfare le passioni del paganesimo, vivendo nelle dissolutezze, nelle passioni, nelle crapule, nei bagordi, nelle ubriachezze e nel culto illecito degli idoli. Per questo trovano strano che voi non corriate insieme con loro verso questo torrente di perdizione e vi oltraggiano” (1 Pt 4,2-4). Sull’esempio di Cristo, il credente vive nella “volontà di Dio”. Ciò significa rottura con la mondanità, esemplificata da Pietro nel disordine della sessualità (“dissolutezze, passioni”), nel disordine nel cibo (“crapule, bagordi, ubriachezze”), nel disordine del rapporto con Dio (“idolatrie illecite”). Un errato rapporto con la sessualità e con i beni non permette un corretto rapporto con Dio. È questo un messaggio duro per la nostra società così fondata sull’edonismo e sul consumismo. Ma è qui che ci giochiamo l’alternativa del vivere cristiano.
Pietro esige un taglio radicale: “Basta!” (1 Pt 4,3): dobbiamo davvero distinguerci! Senza dubbio il nostro nuovo comportamento farà contrasto con quello del mondo attorno a noi, e il mondo si meraviglierà perché non viviamo secondo i suoi canoni e i suoi pseudovalori. Faranno pressione su di noi, ci beffeggeranno, forse ci perseguiteranno. Perché il mondo sarà colpito dalla nostra diversità, dalla nostra alterità, prima di “rendere conto a colui che è pronto a giudicare i vivi e i morti” (1 Pt 4,5).
Una Chiesa capace di martirio
Se i cristiani sono fedeli al loro Signore, devono essere pronti, come lui, ad un amore fino al dono della vita: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma io vi ho scelti dal mondo, per questo il mondo vi odia” (Gv 15,18-19). Se i cristiani sono obbedienti all’Evangelo, saranno perseguitati per causa di Cristo come furono prima perseguitati i profeti, perché “un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone” (Mt 10,24).
“La profezia manifesta la sua forza quando diviene martirio. Esistono ancora cristiani che patiscono il martirio per la loro fede in certi paesi o sotto regimi totalitari. Ma esiste tutto un martirologio dell’amore: tutti coloro che hanno dato la loro vita perché i fratelli potessero vivere nella giustizia e nella dignità: pensiamo a tutti i martiri dell’America Latina. Coloro che hanno dato la vita semplicemente perché amavano: pensiamo ai fratelli cistercensi di Tibhérine in Algeria” (G. Lafont). “Ci sono stati probabilmente più martiri in questo secolo che non nei primi secoli di persecuzione… Ci eravamo forse un po’ abituati a considerare il martirio come un evento dei tempi passati, qualcosa che appartiene ai primi secoli della Chiesa, quello delle grandi persecuzioni degli imperatori romani” (C. M. Martini). Scriveva Giovanni Paolo II: “Al termine del secondo millennio la Chiesa è diventata nuovamente Chiesa di martiri”.
Il martirio è una chiamata per tutti, in modi e forme diverse, ma che ci deve trovare pronti. E non è solo essere uccisi per aver proclamato la nostra fede. É martirio essere presi in giro perché credenti, non fare carriera perché si rifiutano i compromessi; è la rinuncia ad abortire di una ragazza-madre, è accettare una maternità frutto di violenza, o rifiutare per sé cure anche importanti che poterebbero nuocere al figlio in gestazione; è martirio, se abbandonati, non risposarsi, restando “eunuchi per il Regno dei cieli” (Mt 19,12), o perdonare il coniuge adultero; o prendersi l’AIDS o la lebbra curando i malati; o essere derisi perché casti, o perché si è compartecipato i propri beni con i poveri; è lo stare in ogni caso dalla parte dei piccoli, dei poveri, dei sofferenti… È la logica della croce! Ha detto Benedetto XVI: “Anche nell’epoca attuale molti sono i cristiani nel mondo che, animati dall’amore per Dio, assumono ogni giorno la croce, sia quella delle prove quotidiane, sia quella procurata dalla barbarie umana, che talvolta richiede il coraggio dell’estremo sacrificio. Il Signore doni a ciascuno di noi di riporre sempre la nostra solida speranza in lui, certi che, seguendolo portando la nostra croce, giungeremo con lui alla luce della Risurrezione”.
Buona Misericordia a tutti!
Carlo Miglietta
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.