Letture: Ap 22,29; 23,1-6.10; 1 Cor 15,20-27; Lc 1,39-56
Maria, Nuova Eva E Nuovo Israele, Figura Della Chiesa
La Chiesa celebra oggi, in Maria assunta in cielo anche con il corpo, la realizzazione definitiva del progetto di Dio: la trasfigurazione della stessa carne, di tutta la materia. Chiariamo subito: la malattia, la sofferenza, la morte, non sono castighi di un Dio terribile che vuole punire il peccato dell’uomo. La finitudine fa parte del nostro essere creature, è inscritta nella nostra biologia, come ci ricorda anche il Nuovo Catechismo (n. 302 e 304). Che significa allora il pronunciamento del Concilio di Cartagine, il quale, condannando Pelagio, nel 417, diceva: “Chiunque afferma che il primo uomo sia stato creato mortale cosicché, sia che peccasse sia che non peccasse, avrebbe dovuto separarsi dal corpo non in forza del suo peccato, ma per necessità di natura, sia anatema” (Denz. – Schnom., 222)? La fine della vita non sarebbe consistita, secondo il Concilio, in una “separazione dal corpo”: “Adamo avrebbe terminato la sua vita personale, pure nella sua forma corporea, in una “morte” come pura e attiva autorigenerazione, entrando immediatamente in quel compimento… che ora noi attendiamo come il risultato della redenzione, come il miracolo escatologico della resurrezione del corpo” (K. Rahner), come ricordatoci dalla Seconda Lettura odierna (1 Cor 15,20-27). “L’uomo sarebbe passato immediatamente dal suo stato di grazia originario allo stato della resurrezione senza aver abbandonato il proprio corpo” (L. Boros). Per questo la Chiesa, che proclamò come dogma con Papa Pio IX nel 1954 che “la beatissima Vergine Maria… è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale” (Bolla Ineffabilis Deus, Denz.-Schonm., 2803), coerentemente ne proclamò con Pio XII nel 1950 il dogma dell’Assunzione al cielo anche con il corpo (Denz.-Schonm., 3903). La Chiesa, che vede in Maria il modello della creatura perfetta, non ci dice infatti che ella non morì (la “Dormitio Mariae” è patrimonio comune di tutte le Chiese cristiane), ma che subito entrò nella gloria anche con il corpo, profezia piena della nostra sorte beata.
Oggi celebriamo la “donna vestita di sole”: in realtà tale immagine della Prima Lettura (Ap 12,1) è Israele che va nel deserto (Esodo), viene nutrito da Dio (la manna, le quaglie), ha una corona di 12 stelle (le 12 tribù): e i simboli della sua gloria, secondo Is 60,20, sono proprio il sole e la luna. Ma è anche segno della Chiesa delle origini, che nella croce (simboleggiata dai travagli del parto) ha visto la gloria del Messia, che subito le è strappato, ed essa deve fuggire nel deserto (verso il 65 d.C. a Pella), ove Dio la custodisce, in vista della Parusia: in essa si compie il mistero di Eva e dell’eterna lotta con il serpente, ora schiacciato finalmente dal discendente della donna (Gen 3,15).
Ma Maria è la “Donna” (così la chiama sempre Gesù: Gv 2,4; 19,20), cioè la nuova Eva, che si contrappone nell’ubbidienza al peccato dell’Eva antica: “Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38; cfr Gv 2,5); ella è la “graziata” (Lc 1,28), la “bellissima”, come la tradizione rabbinica su Gen 2 presentava Eva. Ma è anche il nuovo Israele, baciato dai baci della bocca di Dio, l’Amata del Cantico dei Cantici (Ct 1,2). Infine, è profezia della Chiesa, che nasce dall’obbedienza, è fatta bella dalla sequela, ed è Sposa di Cristo. “In lei la chiesa… vede il proprio orizzonte ultimo dischiuso… da Cristo il “risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 15,20)…, l’archetipo di ciò che la Chiesa è chiamata ad essere; nella Madre di Dio l’assemblea dei credenti trova il proprio simbolo e la propria proiezione” (G. Bruni).
Assunzione Della Beata Vergine Maria
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Letture: Ap 22,29; 23,1-6.10; 1 Cor 15,20-27; Lc 1,39-56
Maria, Nuova Eva E Nuovo Israele, Figura Della Chiesa
La Chiesa celebra oggi, in Maria assunta in cielo anche con il corpo, la realizzazione definitiva del progetto di Dio: la trasfigurazione della stessa carne, di tutta la materia. Chiariamo subito: la malattia, la sofferenza, la morte, non sono castighi di un Dio terribile che vuole punire il peccato dell’uomo. La finitudine fa parte del nostro essere creature, è inscritta nella nostra biologia, come ci ricorda anche il Nuovo Catechismo (n. 302 e 304). Che significa allora il pronunciamento del Concilio di Cartagine, il quale, condannando Pelagio, nel 417, diceva: “Chiunque afferma che il primo uomo sia stato creato mortale cosicché, sia che peccasse sia che non peccasse, avrebbe dovuto separarsi dal corpo non in forza del suo peccato, ma per necessità di natura, sia anatema” (Denz. – Schnom., 222)? La fine della vita non sarebbe consistita, secondo il Concilio, in una “separazione dal corpo”: “Adamo avrebbe terminato la sua vita personale, pure nella sua forma corporea, in una “morte” come pura e attiva autorigenerazione, entrando immediatamente in quel compimento… che ora noi attendiamo come il risultato della redenzione, come il miracolo escatologico della resurrezione del corpo” (K. Rahner), come ricordatoci dalla Seconda Lettura odierna (1 Cor 15,20-27). “L’uomo sarebbe passato immediatamente dal suo stato di grazia originario allo stato della resurrezione senza aver abbandonato il proprio corpo” (L. Boros). Per questo la Chiesa, che proclamò come dogma con Papa Pio IX nel 1954 che “la beatissima Vergine Maria… è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale” (Bolla Ineffabilis Deus, Denz.-Schonm., 2803), coerentemente ne proclamò con Pio XII nel 1950 il dogma dell’Assunzione al cielo anche con il corpo (Denz.-Schonm., 3903). La Chiesa, che vede in Maria il modello della creatura perfetta, non ci dice infatti che ella non morì (la “Dormitio Mariae” è patrimonio comune di tutte le Chiese cristiane), ma che subito entrò nella gloria anche con il corpo, profezia piena della nostra sorte beata.
Oggi celebriamo la “donna vestita di sole”: in realtà tale immagine della Prima Lettura (Ap 12,1) è Israele che va nel deserto (Esodo), viene nutrito da Dio (la manna, le quaglie), ha una corona di 12 stelle (le 12 tribù): e i simboli della sua gloria, secondo Is 60,20, sono proprio il sole e la luna. Ma è anche segno della Chiesa delle origini, che nella croce (simboleggiata dai travagli del parto) ha visto la gloria del Messia, che subito le è strappato, ed essa deve fuggire nel deserto (verso il 65 d.C. a Pella), ove Dio la custodisce, in vista della Parusia: in essa si compie il mistero di Eva e dell’eterna lotta con il serpente, ora schiacciato finalmente dal discendente della donna (Gen 3,15).
Ma Maria è la “Donna” (così la chiama sempre Gesù: Gv 2,4; 19,20), cioè la nuova Eva, che si contrappone nell’ubbidienza al peccato dell’Eva antica: “Avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38; cfr Gv 2,5); ella è la “graziata” (Lc 1,28), la “bellissima”, come la tradizione rabbinica su Gen 2 presentava Eva. Ma è anche il nuovo Israele, baciato dai baci della bocca di Dio, l’Amata del Cantico dei Cantici (Ct 1,2). Infine, è profezia della Chiesa, che nasce dall’obbedienza, è fatta bella dalla sequela, ed è Sposa di Cristo. “In lei la chiesa… vede il proprio orizzonte ultimo dischiuso… da Cristo il “risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti” (1 Cor 15,20)…, l’archetipo di ciò che la Chiesa è chiamata ad essere; nella Madre di Dio l’assemblea dei credenti trova il proprio simbolo e la propria proiezione” (G. Bruni).
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