Dal Vangelo secondo Marco
Marco 1, 9-11
9 Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. 10 E subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. 11 E venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Ci troviamo di fronte ad una narrazione di genere haggadico. L’haggadà è un racconto parabolico, simbolico, con degli elementi anche allegorici, mitici, talora leggendari.
- 9: – C’è una solenne introduzione di tipo biblico: “In quei giorni venne”, e poi viene rappresentata una “teofania”‘, cioè una manifestazione del divino nell’ambito dell’umano.
– “Gesù venne da Nazaret”: è tutto ciò che interessa a Marco del Gesù storico. Ricordiamo nel Vangelo di Giovanni quando è detto: “Che mai può venire di buono da Nazaret?” (Gv 1,46): nulla! Orbene, da un posto malfamato, viene questo tizio ignoto il quale fa la fila con i peccatori e viene per essere battezzato.
– Gesù è immerso nel Giordano, come gli ebrei nelle acque del mar Rosso, e anche del Giordano prima di entrare nella Terra Promessa. C’è un chiaro riferimento simbolico a Gesù come nuovo Israele: come Israele, uscendo dalla schiavitù di Egitto, era stato immerso nel Mar Rosso, e poi nel Giordano, così ora Gesù inizia la sua vita pubblica immerso nel Giordano. Gesù è il segno dell’Israele ubbidiente alla Parola di IHWH.
- 10: – Arriva la famosa “colomba”. Se ci riferiremo non più concretamente a questo piccione, che non ci permette di capire la realtà dello Spirito di Dio, avremo fatto un passo nella nostra Fede. Innanzitutto non si afferma che una colomba scese su Gesù, ma che vi discese “lo Spirito, come una colomba”. La colomba è un modo simbolico per intendere una teofania, cioè quell’intervento divino che entra nell’umano. La colomba, in ebraico è “giona”: e “giona” è l’uccello divino celeste. C’è anche un profeta che ha il nome di “colomba”, il profeta Giona, un messaggero di Dio. La sua storia è molto chiara: il profeta non vuole essere messaggero, scappa su una nave, viene poi preso da un “grande pesce” e vomitato sulla spiaggia, per obbedire infine alla missione per cui era stato mandato.
La colomba è 1’uccello che annuncia la pace a Noè alla fine del diluvio, ed è il simbolo stesso di Israele (Os 11, Ct 1). E’ un modo per dire che Dio entra nella storia, che Dio si rivela agli uomini. La colomba è simbolica, cioè un modo allegorico di dire che Dio entra nel mondo, è metafora dello Spirito Santo che viene nella vicenda umana.
– “Si aprirono i cieli”: questa affermazione è molto importante. E’ la fine della separazione tra Dio e gli uomini: ormai i cieli non sono più chiusi agli uomini, l’uomo può aderire al divino, l’uomo può entrare in contatto con Dio
– “lo Spirito Santo”: questo Spirito è la Ruah IHWH, lo stesso Spirito che aleggia sulle acque (Gen 1,1), lo Spirito che consacra i Profeti. Qui consacra l’Evento, il Cristo, compiendo quasi una nuova creazione: come allora lo Spirito, aleggiando sulle acque, diede via al creato, così ora lo Spirito che viene su Cristo forma l’uomo nuovo, Gesù Cristo, il nuovo Adamo, l’uomo perfetto.
- 11: – Alcune Bibbie danno una traduzione non corretta di questo versetto: “Si sentì una voce dal cielo”; in realtà questo versetto dice: “E venne una voce dal cielo”. Questo è molto importante, perché mentre negli altri evangelisti paralleli si dice: “Si sentì”, per Marco si dice: “E venne”: solo Gesù sente questa voce, è una sua comprensione spirituale: capisce di essere l’eletto, il Figlio di Dio.
Ci troviamo di fronte ad un brano che probabilmente vuole significare questo: alla sequela del Battista, Gesù prende coscienza della sua Missione, Gesù capisce di essere un Inviato particolare, di avere una chiamata del tutto speciale.
– Tutti i Vangeli riportano questo brano, perché tutti comprendono l’importanza di questa intuizione da parte di Gesù. Tutti sono d’accordo nel dire che, alla sequela del Battista, Gesù prende coscienza della sua vocazione, e lo esprimono attraverso questa forma simbolica che afferma che mentre Gesù è immerso nel Giordano lo Spirito di Dio scende su di lui, ed egli sente la voce che gli dice: “Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento”.
Non dobbiamo scandalizzarci che questo racconto sia di tipo simbolico: la realtà è proprio in questo momento che Gesù capisce di essere il Figlio di Dio, mentre il modo di esprimerlo risente di alcuni generi letterali. Questi generi letterali sono:
- la tradizione biblica dell’Esodo interpretata secondo Isaia: Gesù nuovo Israele. Gesù viene immerso come Israele è stato immerso nel Mar Rosso.
- le antiche scritture profetiche: se leggiamo ad esempio Ezechiele, o Geremia ed Isaia, vediamo spesso che lo Spirito di Dio scende sul Profeta, lo riempie e lo consacra per la sua Missione
- qui c’è già anche una rilettura da parte della prima comunità attraverso l’esperienza battesimale cristiana. Sacramentum è una parola latina che vuole dire “segno”. Il verbo baptìzo vuol dire: “mi immergo”. L’immersione battesimale è segno del nostro essere figli di Dio. Anche a Gesù viene riconosciuta la consapevolezza della sua Missione nell’ambito dell’esperienza battesimale.
Che cosa ci dice tutto questo? Gesù si presenta veramente come il Servo sofferente di Isaia 42,1, facendosi in tutto solidale con noi, facendo la fila con i peccatori.
In Mc 1,12 si dice: “Tu sei il Figlio mio, l’amato”: Gesù il Figlio, il nuovo Adamo. La citazione di Isaia 42,1 che viene fatta in questo versetto, richiamata esplicitamente in Matteo 12,18, usa la parola greca huiòs che ha un doppio significato: vuol dire sia Figlio che Servo. In Is 42,1 si parla infatti del Servo, figura misteriosa che in Is 53,1-12 è “uomo dei dolori”, che conosce chiaramente il patire, da cui noi siamo salvati. E’ una figura enigmatica che sconcerta Israele, che aveva sempre aspettato un Messia trionfante, potente, che li avrebbe liberati dal giogo delle dominazioni straniere. Invece Isaia dice saremo salvati da un uomo disprezzato, reietto dagli uomini, percosso da Dio, umiliato come pecora muta condotta al macello, e muto di fronte ai suoi persecutori.
Su questa figura di uomo sofferente si è tantissimo riflettuto. Si è pensato che il brano fosse riferito ad Isaia stesso, perché come sappiamo i Profeti sono sempre stati maltrattati perseguitati e uccisi. Altri hanno individuato in questo Servo qualche re di Israele, come Ezechia, o altri personaggi come Geremia. Altri invece hanno dato un’interpretazione collettiva: questo servo di IHWH, che ha dato la vita, sarebbe Israele stesso. Questa interpretazione non è stata mai rifiutata anche dalla Chiesa: il primo grande significato del Servo dalle cui piaghe tutti siamo guariti è il popolo di Israele, benedizione delle genti. Dobbiamo sempre avere un grande rispetto, un grande amore per Israele: gli Ebrei sono i nostri “Fratelli maggiori”: Paolo ci ricorda (Rm 11,17-21) che noi siamo l’olivastro, pianta bastarda innestata sull’ulivo buono che è Israele. E’ la pianta, sono le radici che portano e nutrono noi che siamo l’olivastro, anche se il Messia non è stato riconosciuto.
Ma ben presto già, nella teologia ebraica, il Servo Sofferente viene identificato con il Messia, colui che alla fine dei tempi porterà la Salvezza. Non più attraverso azioni gloriose ed imprese militari, ma attraverso la sua sofferenza e la sua passione.
Marco lo presenta come il Figlio Servo, il Messia che realizza la profezia del Servo sofferente, e ce ne dà la dimostrazione: è lì in mezzo ai peccatori! Il Dio grande e potente fa la sua comparsa in pubblico, facendo la fila, aspettando di essere battezzato. Questa solidarietà con gli uomini raggiungerà la sua pienezza sulla croce, quando Gesù riceverà il vero Battesimo. Lo dice Mc 10,38-39: “Gesù disse loro: «Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete»”. .
Nel Vangelo odierno c’è un parallelo continuo con la figura di Adamo. Adamo, il primo uomo, aveva voluto farsi come Dio, mangiando dell’albero della conoscenza del bene e del male, perché il tentatore aveva detto: “Se mangerete sarete come Dio”. Gesù fa il cammino inverso: è il Dio che si fa uomo: è quello che Paolo definisce il mistero della kènosis, dello svuotamento, il cammino dell’umiliazione, il solo che porta all’esaltazione. Ecco perché Gesù dice di essere il primo che si è fatto ultimo, il Servo di tutti.
Tutto questo ha delle conseguenze tremende per noi. Gesù entra nella storia anonimo, nascosto tra la gente, e questo è un insegnamento anche per noi. La Chiesa è chiamata non a discorsi di potenza e di gloria, ma a nascondersi fra la gente, a condividere la sorte degli ultimi, a mischiarsi con i peccatori, con le persone povere, con gli emarginati, con gli esclusi, con gli scartati. Gesù qui non fa un discorso, un programma Pastorale, ma dà un esempio, una lezione alla sua Chiesa. Noi siamo chiamati a stare con gli altri, siamo chiama al servizio, allo svuotarsi, a diventare ultimi, a morire per gli altri.
Questa è la folle logica del Vangelo che Marco ci propone fin dai primi versetti: il discepolo è chiamato a seguire il Maestro. Marco qui dà una lezione anche di Catechismo: vuole insegnare ad un catecumeno, cioè a colui che vuole diventare cristiano, che il Battesimo, per noi come per Gesù, è un momento innanzitutto di morte. Sì, il Battesimo è segno di morte, morte dell’uomo vecchio, morte alle cose di questo mondo, morte alla superbia, morte allo spirito di possesso e di dominio: è autorinnegamento.
Solo attraverso questa strada si arriva a risorgere con Cristo; come dice Paolo: “Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti” (Col 2,12); “Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a lui nella morte, perché come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione… Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui” (Rm 6,3-8).
Buona Misericordia a tutti!
Carlo Miglietta
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.