Dal Vangelo secondo Luca
Luca 23, 35-43
35Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: “Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto”. 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: “Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso”. 38Sopra di lui c’era anche una scritta: “Costui è il re dei Giudei”. 39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: “Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!”. 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: “Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male”. 42E disse: “Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno”. 43Gli rispose: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso”.
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Già altre volte abbiamo riflettuto in che cosa consista la regalità di Cristo. Oggi vogliamo riflettere soprattutto sulla seconda parte del Vangelo, quella che ci parla del cosiddetto “buon ladrone”. Nel Nuovo Testamento il termine “Paradiso” ricorre tre volte (Lc 23,43; 2 Cor 12,2-4; Ap 2,7). Qui lo si trova per la prima volta. Gesù sulla croce, al ladro crocifisso con lui che lo prega: “Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno”, dichiara solennemente: “In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,42-43).
Scrive Doglio: “Il brigante che chiamiamo «buon ladrone» chiese semplicemente a Gesù di ricordarsi di lui, una volta che sarà entrato nel regno. È l’unica volta in cui un personaggio si rivolge a Gesù chiamandolo per nome, è l’unico che dice: «Gesù, ricordati di me»: non lo chiama Maestro, non lo chiama Signore, lo chiama per nome. Che cosa può pensare sul regno? È stato condannato perché «Re dei giudei», quindi dovrebbe avere un regno…. C’è un richiamo biblico alla storia di Giuseppe: quando era in prigione e interpretò i sogni dei ministri del faraone, Giuseppe si raccomandò a quello che sarebbe stato reintegrato al suo posto: «Ricordati di me quando tornerai nel tuo posto di comando (Gn 40,14)». È una richiesta di aiuto verso qualcuno che sta per diventare importante e potente”.
Gesù gli risponde: “Oggi sarai con me nel paradiso”.
Qui abbiamo due tipi di letture. “L’antica versione greca della Bibbia, detta dei Settanta, e la tradizione cristiana hanno denominato il giardino dell’Eden con un termine raro di origine persiana: pairi-daeza, pardes in ebraico, paradeisos in greco, il nostro «paradiso». Il vocabolo rimandava a un giardino recintato, fertile e fiorito e, già nell’antica lingua mesopotamica, l’accadico pardesu indicava un «frutteto recintato»” (G. Ravasi). Ma alcuni dicono che nel Vangelo odierno “paradiso” “non deve essere letto come un’indicazione locale: nell’ambiente che noi chiamiamo paradiso, nella fase escatologica, nemmeno Gesù oggi sarà in paradiso, perché scende agli inferi e risorge il terzo giorno. Se «il paradiso» proprio con l’articolo lo traduciamo, è il giardino, è il giardino della sepoltura” (C. Doglio).
Dove sta la Beatitudine, la promessa di Gesù? Nell’“Oggi sarai con me”, “sarai accumunato alla mia sorte, resteremo sempre insieme”. “Il nucleo è importantissimo perché contiene il verbo essere e la preposizione della compagnia. Non è determinante il luogo, non è il paradiso che dà il senso alla frase, perché paradossalmente quel termine indica il giardino dove c’è la tomba… E Gesù non gli promette niente di particolare, se non: «Saremo insieme – non domani – oggi sarai con me». Ed è proprio questo il cuore della riflessione teologica cristiana sul Paradiso” (C. Doglio). È lo stare sempre con Gesù la vera Beatitudine.
Una seconda lettura è quella più tradizionale: Gesù parla realmente del Paradiso come realtà escatologica. Il ladrone afferma: “Ricordati di me quando sarai nel tuo Regno”: ma poco prima avrà forse sentito Gesù che rispondeva a Pilato dicendo: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù” (Gv 18,36). Il riferimento di Gesù al Paradiso non riguarderebbe quindi il giardino dove sia Gesù che forse anche il ladrone sarebbero stati sepolti, ma proprio il Regno definitivo. E quando Gesù parla dell’“oggi” non intende “il giorno stesso”, ma l’“oggi” di Dio, il suo eterno presente, fuori dello spazio e del tempo. Il significato della risposta di Gesù sarebbe quindi: “Anche tu, alla tua morte, entrerai con me nel mio Regno che non è di questo mondo, ma che è realtà divina”.
In ogni caso, anche in questa seconda lettura il tema principale è lo “stare con Gesù”, l’essere con lui, che diventa esperienza della beatitudine escatologica.
Il Paradiso sarà soprattutto la gioia immensa e ineffabile di stare con Dio. Quel Dio che abbiamo sempre cercato, desiderato, amato, su cui abbiamo giocato le nostre vite, finalmente lo vedremo e staremo con lui. Si realizza l’attesa dei secoli: vedere Dio. Questo era stato negato a Mosé, come a qualunque altra creatura: “Tu non potrai vedere il mio volto perché nessun uomo può vedermi e restare vivo” (Es 33,20). Era la speranza del Salmista: “Ma io per la giustizia contemplerò il tuo volto, al risveglio mi sazierò della tua presenza” (Sl 17,15); “L’anima mia ha sete del Dio vivente; quando verrò e vedrò il volto di Dio?” (Sl 42,3).
Gesù aveva promesso: “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (Mt 5.8); e Paolo conferma: “Ora vediamo come in uno specchio in maniera confusa, ma allora vedremo faccia a faccia” (1 Cor 13,12). E Giovanni: “Noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1 Gv 3,1-3). Ora finalmente vedremo Dio.
“Il giardino di Eden…, in cui Dio colloca l’uomo secondo Gn 2,15, non è un luogo geografico, ma una situazione di rapporto e comunione con Dio: è Cristo, è la vita con Dio, la vita eterna a cui siamo chiamati” (E. Bianchi). Solo il Cristo è il luogo della nostra comunione con il Padre, colui che ci dà la vita eterna, che trasporta la nostra finitudine nell’infinito di Dio. “Si può dire semplicemente che il paradiso della Genesi è il Cristo stesso: Dio creò Adamo e lo collocò nel paradiso, cioè nel Cristo (Creavit Deus Adam et posuit eum in paradiso, id est in Christo), in cui tutto è creato e pertanto l’uomo stesso in primo luogo” (G. Martelet).
“Nella prima lettera ai Tessalonicesi, il più antico testo cristiano, si spiega nel modo migliore possibile che cosa è il Paradiso: «Andremo incontro al Signore e così saremo sempre con il Signore» (1 Ts 4,17). Che cosa è il Paradiso? Essere sempre con il Signore; la pienezza di vita nella risurrezione è essere sempre con il Signore: «Oggi sarai con me nel paradiso»: essere con Gesù qui e nell’eternità è il Paradiso. La vita eterna è già cominciata, ci siamo già dentro; la pienezza sarà il compimento di quello che ci è stato dato, quando lo vedremo saremo come lui, saremo insieme con lui, entreremo nella sua gioia. E come si comprenderà e si svolgerà lo vedremo, sarà una sorpresa meravigliosa e quindi non immaginiamo o per lo meno – immaginate quel che volete – sarà meglio e sarà di più” (C. Doglio).
Come dice Sant’Ambrogio: “Vita est enim esse cum Christo; ideo ubi Christus, ibi vita, ibi Regnum”: “La vita, infatti, è stare con Cristo, perché dove c’è Cristo, là c’è la vita, là c’è il Regno”. “Sì, Cristo è il paradiso, è il luogo u-topico, senza luogo, della comunione piena e priva di ombre con Dio. Il paradiso è la nostra patria, la nostra vocazione, il dono che ci attende” (E. Bianchi).
Buona Misericordia a tutti!
Carlo Miglietta
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.