Dal Vangelo secondo Marco

Marco 13, 33-37

33Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. 34È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare. 35Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; 36fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. 37Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».

Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, ​sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.

Il brano evangelico che apre il ciclo in preparazione al Natale del Signore nell’Anno B è la conclusione del capitolo 13 (vv. 33-37), la piccola apocalisse di Marco, in cui predominano i termini stare attenti e vegliare. Come sempre l’Avvento, che ci prepara alla celebrazione e sul ricordo della venuta nella carne di Gesù, inizia il percorso con uno sguardo verso il futuro, ossia verso la venuta gloriosa del Cristo risorto alla fine dei tempi. L’invito pressante rivoltoci in questa prima domenica è allora quello di vegliare, perché “quanto a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre” (Mc 13,32).

Il testo

“Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento” (v. 33): predomina l’imperativo vegliate (agrupteite), ripreso praticamente ad ogni versetto (3 volte), che presentano chiari rimandi anche al racconto della passione (vedi Mc 14,34.37.40). La parola greca (agrypnéo) indica uno che pernotta in aperta campagna, attento al più impercettibile rumore, per evitare che il raccolto venga rubato o il campo danneggiato da qualche furfante. E’ formato da agreo che vuol dire “cacciare” e ipnos che vuol dire “sonno”. Ora chi caccia il sonno, nella notte, è ben sveglio, desto. Il verbo vuol dire “essere senza sonno, vegliare, sorvegliare”. Nel versetto 33 il verbo vegliare è in coppia con l’altro verbo tipico di questo capitolo, fate attenzione, state in guardia (blepete), che pure ricorre diverse volte (3 volte vedi vv. 5.9.23). E’ non lasciarsi distrarre dal proprio compito essenziale – quello della sentinella o del portiere – che è appunto… vigilare.

Il potere di servire

Nell’attesa il padrone partito per un viaggio ha affidato potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito. Il servo svolge un ruolo di supplenza, di luogotenente. Abbiamo la responsabilità di questa supplenza, di essere come lui servi, dono, amore incondizionato, oblazione per gli altri.

Vigilare

Ma cosa significa vigilare? Gesù stesso ce lo spiega, con alcuni accostamenti: “Vegliate e state attenti”. Essere “attenti” significa essere “tesi a”, “pro-tesi”, “tesi-per” non essere sorpresi da una sciagura incombente. Altro accostamento: “Vegliate e state in guardia” (cfr Mt 24,44). Significa essere sempre all’erta, stare di sentinella. La gente non vuole verità o essere svegliata; la gente vuole dormire…

Vegliare significa non dimenticare mai che la vita è un pellegrinaggio, non un fortunoso vagabondaggio, e neanche una più o meno piacevole gita turistica.

Vegliare significa mantenere vivo lo spirito critico verso il pensiero del mondo, che cerca il potere e non il servire, che mette l’economia davanti ai diritti della persona, che addormenta, con i suoi miti le critiche e le lotte per un mondo più giusto.

Vegliare significa attrezzarsi per il “santo viaggio” con un equipaggiamento leggero, con la “bisaccia del pellegrino”, munita dell’essenziale: altrimenti non ci muoveremo di tappa in tappa, ma ci sposteremo al massimo solo di poltrona in poltrona.

Vegliare significa considerare gli altri – familiari, amici, colleghi – nostri compagni di pellegrinaggio: quindi significa amare ognuno come un fratello avuto in dono; significa servire tutti, ma non asservire nessuno.

Vegliare significa considerare la salute, il lavoro, il denaro, il divertimento per quello che sono: non come privilegi da difendere, ma come doni da condividere.

Vegliare significa guardare al futuro non come a un fato incombente e implacabile, né come a un destino fortuito, volubile e capriccioso; significa sperare che la sofferenza, la malattia, la morte e tutte le catastrofi, naturali o sociali, non siano l’ultima parola della storia.

Vegliare significa compiere il servizio che ci è richiesto, come fosse l’ultimo, ma sempre come “servi inutili”: con i fianchi cinti e le lucerne accese.

Buona Misericordia a tutti!

Carlo Miglietta

Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.