Dal Vangelo secondo Luca
Luca 3, 1-6
31 Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilene, 2sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. 3Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, 4com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia:
Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri!
5 Ogni burrone sarà riempito,
ogni monte e ogni colle sarà abbassato;
le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate.
6 Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Luca, conformemente agli altri sinottici e a Giovanni, apre il Vangelo propriamente detto con la predicazione del Battista (3,1-20), ma a differenza degli altri evangelisti premette un ampio quadro della situazione politico-religiosa in cui il precursore comincia la sua manifestazione, dall’imperatore di Roma al pontificato di Anna e Caifa. Il “quindicesimo anno dell’impero di Tiberio Cesare” oscilla tra il 26 e il 28 dell’era cristiana, a seconda che si includa la correggenza con Augusto (avvenuta dall’11-12) o si inizi il computo dalla morte dell’imperatore (19 agosto del 14).
Luca abbonda nella sua enumerazione richiamando accanto alla Galilea e Giudea due domini pagani, appunto per ricordare che non solo Israele ma anche i gentili erano chiamati a passare sotto la regalità di Cristo.
Ponzio Pilato fu “praefectus” della Giudea dal 14 al 37 d. C., Erode Antipa, figlio di Erode il Grande, amministrò la Giudea dal 4 a. C. al 34 d. C.: in origine “tetrarca” significa governatore della quarta parte, ma nel linguaggio comune era un titolo che designava un principe subalterno, inferiore al re. Filippo era un altro figlio di Erode il Grande, e governò sui territori a nord del lago di Tiberiade dal 4 a. C. al 34 d. C.. Lisania amministrava la zona a sud dell’Antilibano.
Il sommo sacerdote Anna, anche se dal 15 d. C. aveva finito il suo incarico, continuava ad esercitare il suo peso nelle decisioni del Sinedrio (Gv 18, 13-24; At 4,6). Caifa d’altronde era suo genero, e fu sommo sacerdote dal 18 al 36 d. C. (Mt 26,3.57; Gv 18, 24-28).
Luca nel “racconto” dell’infanzia (1,5-80) aveva lasciato Giovanni “nel deserto”; da qui riprende ora a parlare della sua missione solo che, a differenza di Matteo e Marco, il precursore non è fermo in un luogo ma si muove “per tutta la regione del Giordano” (3,3), piuttosto popolata all’epoca per l’attività edilizia di Erode il grande e di Archelao: non è tanto un eremita che si ritira nel deserto, quanto piuttosto un profeta itinerante.
La missione di Giovanni è quella di tutti i profeti: riportare il popolo al suo Dio. La conversione è il tema abituale della predicazione profetica. Difatti non si è mai pienamente orientati verso il bene, verso Dio e il prossimo, c’è sempre qualcosa o molto da modificare, rettificare, perfezionare. Il grido di Giovanni “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri” non risuona mai invano per quanti si mettono in ascolto della Parola di Dio, che è sempre una spada tagliente, a doppio taglio che ha molto da recidere, sradicare nel cuore degli uomini, soprattutto del credente (Is 49,2; Eb 4,12).
Giovanni accompagna la sua predicazione con l’invito a sottoporsi a un rito simbolico che di per sé non realizzava ma indicava il cambiamento di vita che il penitente si proponeva di attuare.
Il “battesimo” consisteva in un’immersione e riemersione nelle e dalle acque del Giordano. Con tale gesto l’uomo segnalava ai presenti che nel suo intimo si andava verificando come un’abluzione spirituale, un rinnegamento delle sue vecchie abitudini con l’intento di far subentrare un nuovo regime di vita, fatto di umiltà, bontà, mansuetudine, lealtà.
Le parole pronunciate o poste in bocca a Giovanni provengono da Is 40,2-5 e sono quelle con cui il grande profeta postesilico annunzia ai suoi connazionali la fine della schiavitù babilonese e il ritorno in patria. Si tratta pertanto di un annuncio di consolazione e non di un oracolo di sciagure. Giovanni assumerà anche la figura di un predicatore arcigno e catastrofico (Lc 3,7-18), ma in questi primi tratti della sua missione è un annunciatore di buone notizie, in altre parole del “Vangelo”. Ciò che conta è saperlo accogliere, fargli spazio nel proprio cuore. La “strada” da preparare non è più quella che attraversa il deserto, da Babilonia a Gerusalemme, bensì quella più breve, però più insidiosa, che va dalla mente al cuore, alla volontà dell’uomo, e dove si annidano angolosità di ogni genere che ne ostacolano e ne impediscono la percorribilità.
Buona Misericordia a tutti!
Carlo Miglietta
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.