Dal Vangelo secondo Marco

Marco 4, 26-34

26 Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; 27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. 28 Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. 29 Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura».
30 Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; 32 ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra».33 Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa. 

Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, ​sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.

IL LIBRETTO DELLE PARABOLE: 4,1-34

E’ molto importante questo capitolo perché il Vangelo di Marco in genere dà molto spazio ai gesti, e poco ai discorsi: acquista quindi un particolare valore questa composizione letteraria in cui Gesù esplica a quelli che sono “dentro”, con lui, il Mistero del Regno.

La parabola del seme che cresce da solo (4,26-28)

26 Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; 27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. 28 Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. 29 Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura».

Dovremo essere grati a Marco anche solo per questa Parabola. Questa è l’unica parabola che ha solo Marco: non c’è in Matteo, in Luca e in Giovanni. E’ la Parabola del seme che cresce da solo.

La Parola di Dio si realizza sempre (Is 55,10-11): questa è la nostra grande fiducia, questo fonda la nostra serenità, questo ci fa capire perché tutte le volte che IHWH compare nella storia, tutte le volte che Dio si rivela in Gesù Cristo, la prima parola che dice è: “Non temere, state tranquilli”, da Esodo 14 fino all’evento Pasquale.

II seme cresce – dice Marco – “automate”, cioè automaticamente, da solo. Questa è una fonte veramente di grande serenità per noi: occorre avere pazienza e fiducia, ma il Regno di Dio viene sempre. Questa Parabola è un invito all’ottimismo: per quanto ci agitiamo, il Regno progredisce solo per la sua forza intrinseca, e a noi non resta che concludere, come dirà in un altro brano Luca: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” (Lc 17,10). Ignazio di Loyola diceva: “Agisci come se tutto dipendesse da te, sapendo che poi in realtà tutto dipende da Dio”.

Non abbiamo paura neanche di non rispondere alla Parola di Dio, di non riuscire a capire la sua volontà su di noi: non turbiamoci troppo. Sappiamo invece stupirci di fronte a questa Parola che sempre si realizza, che sempre porta frutto, sia che noi ci diamo da fare, sia che noi ci addormentiamo. Questa è una grande consolazione per noi che spesso non vediamo il Regno avanzare, che spesso siamo tristi perché sembra che le forze del male vincano, che spesso nella nostra esperienza quotidiana ci sentiamo sopraffatti dalla malattia, dalla morte, dalla sofferenza, dal peccato. Qui invece ci viene detto che il seme della Parole cresce automaticamente: è la parabola della serenità.

La parabola del granello di senape (4,30-32)

30 Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; 32 ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra».

In Palestina era proverbiale la piccolezza del granello di senape. Qui Gesù vuole insistere sul rapporto tra gli umili inizi del Regno e la sua crescita in mezzo agli uomini. Questo piccolo seme diventa un grande albero: la figura del grande albero è una figura ebraica che indicava il Regno di Dio (Sl 80; Ez 17.31; Dan 4). Questo albero, dice Lamentazioni 4, sarà il segno del Messia che accoglierà tutte le genti, e tutte le proteggerà. C’è solo da meravigliarsi, da lodare adorando quel Dio che schianta i cedri del Libano, come dice il Sl 29, ma fa crescere questo piccolo seme del Regno di Dio.

Perché Gesù parla in parabole (4,33-34)

33 Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa.

Questi versetti descrivono la trascendenza assoluta del Regno che non può essere spiegata, ma lo capiscono quelli che sono “endo”, cioè che vivono nel privato di Gesù: solo stando con Gesù, solo amando Gesù, solo radicandoci su Gesù si capisce il Mistero del Regno.

Ancora una volta il Vangelo di Marco è un Vangelo Cristologico: è solo in privato con il Signore che noi riusciamo a capire il Mistero del Regno. Vedete la centralità della figura del Signore Gesù, e della nostra adesione a lui. Matteo parlerà di questa Parabola in altro contesto, in un contesto sapienziale, in un contesto didattico; qui invece Marco insiste sulla necessità ancora una volta di aderire alla persona di Gesù per capire il Mistero del Regno.

Fra queste cinque Parabole c’è una logica. C’è un “filo rosso” che prosegue in crescendo dalla prima all’ultima. Nella prima parabola, quella del seminatore (4,1-20), solo un resto del seme fruttifica, una parte del seme va disperso, tra i sassi e i rovi, non produce. Solo un piccolo resto accoglie la Parola. Questa Parola è la luce che giunge, la luce che arriva su di noi (ecco la seconda parabola, quella della lampada sul moggio: 4,21-23). Se si accoglie il seme misurandolo come cosa enorme, facendogli spazio, allargando la nostra misura per lui (ecco il senso della terza parabola, quella della misura: 4,24-25), ecco che il seme cresce da solo, “automate”, automaticamente (quarta parabola: 4,26-28), e diventa l’albero grande del Regno (quinta parabola: 4,30-32) che dà conversione, gioia, e liberazione a tutti gli uomini.

Buona Misericordia a tutti!

Carlo Miglietta

Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.