Dal Vangelo secondo Matteo

Matteo 5, 13-16

13 Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.

14 Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, 15 né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. 16 Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.

Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, ​sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.

Una Chiesa “piccolo resto”

La Chiesa, pur essendo anticipazione del Regno, non deve mai perdere la propria consapevolezza di essere minoranza, di essere il “resto di Israele” (Is 10,20): Gesù ne parla come del “lievito” (Mt 13,33), del “sale della terra” (Mt 5,13), del “piccolo gregge” (Lc 12,32), tutte immagini che si riferiscono a una dimensione di modestia, di umiltà, di piccolezza.

“Il «piccolo gregge»: un gregge amato da Dio, scelto e destinato al Regno, ma piccolo. Questa piccolezza può far nascere il dubbio e lo scoraggiamento nel cuore di molti. Ma è uno scoraggiamento da fugare: la storia di salvezza è regolata dalla legge del «resto d’Israele», cioè del piccolo gruppo di autentici credenti nel quale il Regno si attua a beneficio di tutti. Il piccolo gregge è invitato a non temere. «Non temete» (Lc 12,32): vigilanza sì, prontezza e impegno, ma tutto in un clima di grande fiducia. Il Regno è donato (al Padre è «piaciuto dare a noi il Regno»), poggia sul suo amore e non sulle nostre prestazioni: dunque nessuna ansia” (B. Maggioni).

“Nella società il «peso» dei cattolici non è più quello di una maggioranza. Constatiamo un’oggettiva perdita d’influenza e spesso un discredito culturale. La vita sociale si svolge «come se Dio non esistesse». In una situazione minoritaria molti sentono il bisogno di delineare meglio la loro identità e di avere dei segni della loro differenza rispetto agli altri. Con il pericolo evidente del ripiegamento identitario, che minaccia ogni religione del nostro tempo e suscita forme di fondamentalismo. Come accettare di essere minoritari senza diventare una setta? Questa è una parte della sfida” (B. Chenu).

Monsignor Tonino Bello auspicava “una Chiesa sicura solo del suo Signore e, per il resto, debole. Ma non per tattica, bensì per programma, per scelta, per vocazione. Non una Chiesa arrogante, che ricompatta la gente, che vuole rivincite, che attende il turno per le sue rivalse temporali, che fa ostentazioni muscolari col cipiglio dei culturisti. Ma una Chiesa disarmata, che mangia il pane amaro col mondo… Una Chiesa che, pur cosciente di essere il sale della terra, non pretende una grande saliera per le sue concentrazioni o per l’esibizione delle sue raffinatezze. Ma una Chiesa che penetra e condivide la storia del mondo… Che non si limita a sperare, ma organizza la speranza degli uomini”.

“Sì, oggi c’è troppa nostalgia di «cristianità»: si riaffacciano pretese e invadenze e si vorrebbe imporre ciò che nel cristianesimo si può solo proporre… L’essere cristiano non può lasciarsi rinchiudere nell’identificazione con uno specifico progetto di liberazione, di giustizia e di pace, né con le culture generate dall’identità cristiana. Il posto dei cristiani è nella compagnia degli uomini: con loro – senza alcun titolo che a priori li garantisca più degli altri sulla realizzazione di un progetto sociale – dialogheranno e si confronteranno con franchezza e senza arroganza, memori che il loro Signore e maestro li ha chiamati «piccolo gregge» invitandoli a «non temere»: realtà quotidiana di una minoranza fiera della propria identità ma non arrogante, consapevole che, pur senza mai tralasciare di predicare il Vangelo, il risultato non dipende dalla sua volontà perché – come ricorda san Paolo nella Seconda lettera ai Tessalonicesi – «non di tutti è la fede» (2 Ts 3,2). In una situazione di pluralismo, la Chiesa non deve e non vuole essere un gruppo di pressione perché il suo posto nella società è quello di interlocutrice, non di reggente, e perché, come ha ricordato Benedetto XVI, «la Chiesa non intende rivendicare per sé alcun privilegio…, non vuole imporre ai non credenti una prospettiva di fede», ma porsi, insieme a loro, al servizio dell’uomo” (E. Bianchi).

Affermava il cardinal Martini: “Sono colpito dalla domanda di Gesù: «Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede?». Egli non chiede: «Troverò una Chiesa grande e ben organizzata?». Sa apprezzare anche una Chiesa piccola e modesta, che ha una fede salda e agisce di conseguenza. Non dobbiamo dipendere dai numeri e dai successi. Saremo molto più liberi di seguire la chiamata di Gesù”.

“In una Chiesa che non è più in posizione di forza nella società, il cristiano ritrova la possibilità di una proposta più libera e di una testimonianza più convincente: si dice quello che c’è da dire; si esprime ciò che si crede di dover esprimere. Non si è più sospettati a priori di voler dettar legge nella società, d’imporre un «magistero morale». Essere profeta oggi può voler dire avere la libertà di essere un’istanza critica, considerando con distacco le seduzioni attuali (individuo,

comfort, sicurezza…). Ma proprio perché la società è pluralista, la visione religiosa deve presentare se stessa come proposta, entrare in dialogo con altre visioni della realtà” (B. Chenu).

Una vita bella

Spesso la Chiesa sembra più preoccupata di annunciare valori etici che di proclamare la felicità della Resurrezione di Cristo. Eppure il proprio della Chiesa è dire al mondo che “nessuno ci fa più felici che Dio” (S. Agostino), e che in Cristo è stata sconfitto il peccato, la sofferenza, la malattia, ogni angoscia, la stessa morte.

Già Gesù aveva detto: “Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere belle («kalà érga»!) e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16). Anche Pietro invita: “La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre opere belle («kalòn ergòn») giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio” (1 Pt 2,12). Anch’egli usa non l’aggettivo “buono”, “agathòs”, ma “bello”, “kalòs”: gli uomini devono vedere le nostre opere “belle”, essere attratti dalla bellezza della nostra vita!

Tutti gli uomini dovrebbero sempre vedere la Chiesa come il luogo dove scorre la “gioia piena” (Gv 15,11), una comunità di gente felice, che ha trovato il senso della vita e della morte, che canta le lodi del suo Signore, ricolma del suo amore.

Solo così il “piccolo gregge” (Lc 12,32) potrà essere “sale della terra” e “luce del mondo” (Mt 5,13-16).

Buona Misericordia a tutti!

Carlo Miglietta

Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.