Dal Vangelo secondo Giovanni

Giovanni 6, 41-51

41 Intanto i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». 42 E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?».
43 Gesù rispose: «Non mormorate tra di voi. 44 Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 45 Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46 Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47 In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna.
48 Io sono il pane della vita. 49 I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50 questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, ​sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.

La mormorazione (“Mormoravano di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo»”: Gv 6,41; cfr Gv 6,43.52) è un peccato ricorrente nell’Esodo: essa esprime l’incredulità, la sfiducia, lo scetticismo, la critica al piano di salvezza di Dio, alla sua voce e a quella dei suoi profeti. E’ la nostra eterna paura di affidarci a lui, di abbandonarci alla sua Provvidenza. E’ il nostro peccato: volere insegnare a Dio ciò che è bene per noi, lamentandoci continuamente se le cose non vanno secondo le nostre attese, i nostri piani, i nostri progetti, la nostra mentalità.

Come nel deserto Dio intese le ripetute mormorazioni degli ebrei che uscivano dall’Egitto (Es 16,4-5.11-12; 17,4-7; Nm 14,10-12.26-30…), così ora Gesù si sorbisce quelle dei suoi contemporanei, molto simili alle nostre: come mai la logica di Dio è nel segno della povertà, del nascondimento, dell’umiliazione, dell’ultimo posto, della sofferenza, della morte, del donarsi, del farsi cibo per gli altri?

Dio aveva risposto, alla prima mormorazione nel deserto, con la manna, il cui nome “man hu” significa: “Che cos’è?” (Es 16,15): un chiaro invito a scoprire l’origine di questo dono. E qui Gesù ci invita ad entrare nel mistero della sua Persona, a risalire alla sua origine divina. La fede è dono del Padre (Gv 6,44; Mt 16,16-17): ma per accogliere questa grazia occorre “ascoltare il Padre e imparare da lui” (Gv 6,45), cioè rinunciare alla nostra superbia, alla pretesa di autogiustificazione, al volerci spiegare tutto secondo le nostre idee, umilmente invece “lasciandoci ammaestrare da Dio” (Gv 6, 45).

Gesù passa al contrattacco: come i giudei hanno indagato sulla sua origine, così egli li interroga sui loro “padri”: come mai questi, che pur avevano mangiato la manna, sono morti? E questa morte non fu soltanto fisica, ma anche privazione della Terra promessa. Perché quella generazione non giunse alla salvezza, nonostante il pane miracoloso? Gesù diventa provocatore: “I vostri padri sono morti perché facevano quello che fate voi ora: mormoravano!”: “Tutti gli Israeliti mormoravano contro Mosè e contro Aronne: «Oh! Fossimo morti nel paese d’Egitto o fossimo morti in questo deserto!»” (Nm 14,2). E Dio sempre ascolta la preghiera dei suoi: “Io ho udito le lamentele degli Israeliti contro di me… Per la mia vita – dice il Signore – io vi farò quello che ho sentito dire da voi: i vostri cadaveri cadranno in questo deserto. Nessuno di voi…, che avete mormorato contro di me, potrà entrare nel paese in cui ho giurato di farvi abitare” (Nm 14,26-30).

Gesù è “il pane della vita” (Gv 6,48): chi crede in lui può davvero arrivare alla meta, alla Terra promessa, alla “vita eterna” (Gv 6,47), alla beatitudine di Dio. Ma dobbiamo “mangiare” di lui (Gv 6,51), unirci strettamente a lui, senza mormorare, senza continuamente ribellarci, recalcitrare, porre problemi e condizioni, senza sempre piagnucolare, tristi e musoni come i pagani “che non hanno speranza” (1 Ts 4,13). Il Targum Jerushalaim commentava: “Guai al popolo il cui cibo è il pane del cielo e che mormora”: guai a una Chiesa che, pur possedendo Cristo – Eucarestia, è sempre brontolona, scontenta, intenta a lamentarsi e a criticare. La chiamata a Cristo è vocazione alla speranza, all’ottimismo, alla pace, alla felicità, all’allegria, alla “gioia piena” (Gv 15,11, 17,13): quindi “non mormorate, come mormorarono alcuni dei nostri padri, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi” (1 Cor 10,10-11).

Buona Misericordia a tutti!

Carlo Miglietta

Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.