Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, ​sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.

Letture: Ez 33,7-9; Rm 13,8-10; Mt 18,15-20

Da: C. MIGLIETTA, EDIFICHERO’ LA MIA CHIESA. Perché (e come) essere Chiesa secondo la Bibbia, Gribaudi, Milano, 2010, con presentazione di S. E. Mons. Guido Fiandino

“Dillo alla Chiesa” (Mt 18,15)

Il secondo brano del Vangelo di Matteo in cui compare il termine “ekklesìa” è il capitolo 18:

“Se il tuo fratello commette una colpa, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all’assemblea; e se non ascolterà neanche l’assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano. In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo. In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro” (Mt 18,15-20).

In questo testo si tratta probabilmente di un peccato pubblico, anche se alcuni manoscritti aggiungono al versetto 15: “Se un tuo fratello commette una colpa contro di te”, forse per armonizzare con il successivo versetto 21 dello stesso capitolo, in cui Pietro chiederà: “Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?” (Mt 18,21).

Il tema del brano è come comportarsi con i fratelli che peccano per riportarli sulla retta via. Il verbo “guadagnare” (“kerdaìno”: “Se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello”: Mt 18,15) è un termine specifico per indicare la conversione. Il brano ha appena avuto come premessa la parabola della pecorella smarrita, che il Pastore ricerca a costo di abbandonare le altre novantanove nell’ovile, e si era chiuso con l’affermazione: “Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli” (Mt 18,11-14). Già in Ezechiele Dio aveva detto: “Io non godo della morte dell’empio, ma che l’empio desista dalla sua condotta e viva” (Ez 33,11).

Anche nell’Antico Testamento c’erano norme su come comportarci con chi sbaglia: “Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; correggi apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai di un peccato per lui. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore” (Lv 19,17-18). Occorre quindi “correggere” il fratello: lo stesso verbo “correggere”, “elèncho”, è usato nella versione greca del Levitico e in Matteo. E questa correzione fraterna è un modo concreto per “amare il prossimo come noi stessi” (Lv 19,8; Mt 19,19).

I versetti 15-18 del capitolo 18 delineano una disciplina canonica in tre tappe, che ricalca l’ordinamento in uso a Qumram[1]. Innanzitutto si deve praticare l’ammonizione personale “tra te e lui solo”. Poi la correzione va fatta di fronte e due o tre testimoni: probabilmente si tratta della prassi testimoniale affermata nel libro del Deuteronomio: “Un solo testimonio non avrà valore contro alcuno, per qualsiasi colpa e per qualsiasi peccato; qualunque peccato questi abbia commesso, il fatto dovrà essere stabilito sulla parola di due o di tre testimoni” (Dt 19,15). Questo dimostra come la comunità a cui scrive Matteo fosse strutturata secondo la normativa giudaica[2].

  1. a) La Chiesa locale

Se il peccatore rifiuta la correzione di un singolo o di alcuni fratelli, lo si porti davanti all’“ekklesìa”: la maggior parte delle Bibbie traduce le due volte in cui “ekklesìa” compare al versetto 15 come “assemblea”, come faceva anche la precedente versione della CEI, o come “comunità”, come fa l’ultima traduzione CEI. Infatti il termine qui sembra riferirsi al gruppo locale, e non all’insieme dei discepoli del Signore. In questo senso il significato di “ekklesìa” qui corrisponderebbe non tanto alla “qahal” ebraica, quanto piuttosto alla “’edàh”, alla sinagoga. Si tratta quindi del concetto che noi esprimeremmo come “Chiesa locale”.

Se il peccatore rifiuta anche l’ammonizione dell’assemblea, “sia per te come un pagano e un pubblicano”, cioè come un non ebreo o un cattivo ebreo: i pubblicani, che riscuotevano le tasse per conto dei Romani, erano considerati traditori dell’ebraismo, perché collaborazionisti con il nemico occupante. In altre parole, la comunità emette una “scomunica”, cioè proclama l’individuo fuori della comunione con i fratelli.

Nota Da Spinetoli che questo comportamento “non rispecchia il comportamento di Gesù, amico dei pubblicani e dei peccatori[3], ma risente del separatismo e del puritanesimo farisaico e qumranico. Non è neanche troppo in sintonia con la parabole del perdono a tutti[4] che verrà enunciata fra poco”[5].

In ogni caso, la Chiesa locale è “caricata di connotazioni di senso trascendente ed escatologico” (M. Nobile[6]).

  1. b) Il potere della comunità

E’ interessante notare come il potere di “legare e sciogliere” che due capitoli prima era stato conferito a Pietro[7] qui venga invece dato a tutta la comunità. Qualcuno ha pensato che il potere petrino sia stato esteso a tutti i cristiani dopo la partenza dell’apostolo o dopo la sua morte, e che in ogni caso questa estensione all’intera comunità sia un’elaborazione teologica successiva rispetto a un primo conferimento individuale. Ma nel Vangelo di Giovanni Gesù Risorto conferisce questo potere a tutti i discepoli: “I discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: <<Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi>>. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: <<Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi>>” (Gv 20,20-23). C’è qui l’inversione dell’ordine: non più “legare e sciogliere”, ma “sciogliere e legare”. Il primo compito della Chiesa non sarà scomunicare, tagliere fuori, ma annunciare la misericordia di Dio e il suo perdono.

La Chiesa nel suo insieme ricorda di avere avuto dal Signore lo stesso potere che individualmente aveva ricevuto Pietro. In ogni caso, il potere di perdonare i peccati che, durante la sua vita terrena, era solo di Gesù, ora è trasmesso alla comunità dei discepoli.

Infine viene ricordata che la preghiera fatta in comune viene sempre esaudita. Il testo dice che se due “sumphonèsosin”, “fanno sinfonia” (Mt 18,19), Dio li ascolterà: in genere le Bibbie traducono poi “pantòs pràgmatos” come per chiedere “ogni cosa”, ma Mello nota che andrebbe tradotto “<<un affare qualsiasi>>, dove “affare” (<<pràgma>>) è termine tecnico per controversia all’interno della comunità[8]. Siamo dunque rimandati, senza ombra di dubbio, all’<<affare>> precedente. Per risolverlo, l’espediente più efficace è la preghiera comune”[9].

  1. c) La Chiesa locale, luogo della presenza di Gesù

Il brano si chiude con un versetto che sottolinea come la sequela del Signore non sia un fatto individuale, ma comunitario: dove due o tre “sunegmènoi”, cioè “fanno sinagoga”, “sono riuniti” nel nome del Signore, egli è presente in mezzo a loro[10].

Il richiamo alla presenza di Gesù lancia subito il pensiero a dimensioni più profonde della Chiesa, aprendola subito all’aspetto misterico di cui parla Paolo. La Chiesa è quella che Gesù ha definito “la mia Chiesa” (Mt 16,18). I Rabbini affermavano che la “Shekinah”, la Presenza di Dio, abita tra coloro che si riunivano per meditare la Torah, la Legge. Diceva rabbi Aquiba, morto nel 135: “Se due persone si riuniscono per pronunciare le parole della Legge, la Shekinah è in mezzo a loro”[11]. Ora si afferma che il Signore stesso è presente quando si raduna la sua comunità. La Chiesa, anche locale, di poche persone, è il luogo e il sacramento per il mondo delle presenza stessa di Dio. E’ davvero, nonostante la sua debolezza e i suoi peccati, il nuovo Tempio di Dio.

[1] 1 QS 5,26-6,1

[2] La Bibbia, Via, Verità e Vita. Nuova versione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, San Paolo. Cinisello Balsamo (MI), 2009, pg. 2090

[3] Mt 9,11

[4] Mt 18,21-35

[5] Da Spinetoli O., Matteo, Cittadella, Assisi, 1993, pg. 504

[6] Nobile M., Ecclesiologia biblica, Dehoniane, Bologna, 1996, pg. 34

[7] Mt 16,13-19

[8] 1 Cor 6,1

[9] Mello A., Evangelo secondo Matteo, Qiqajon, Bose, Magnano (BI), 1995, pg. 327

[10] Mt 18,20

[11] Pirqei Avot 3, 6. Cfr. D. Flusser, “Io sono in mezzo a loro (Mt 18,20)”, in Il Giudaismo e le origini del Cristianesimo, Genova 1995, pp. 163-174.

Buona Misericordia a tutti!

Carlo Miglietta

Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.