Dal Vangelo secondo Marco
Marco 8, 27-35
27 E per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». 28 Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». 29 Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30 E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno. 31 E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. 32 Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. 33 Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini». 34 Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. 35 Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà.
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Marco cerca di farci vedere più chiaramente il Mistero di Cristo. Si apre qui la seconda parte del Vangelo di Marco: siamo a metà: anche letteralmente siamo all’ottavo capitolo, mentre i capitoli sono sedici. Se nella prima parte siamo entrati del mistero del Regno che viene, ora entriamo nel mistero del Figlio dell’uomo.
Per tre volte Gesù annuncia la necessità della sua Passione. Anche il discepolo sarà invitato a prendere la sua croce e a mettersi dietro al Signore, perché la sequela di Cristo è la sequela della Croce. Noi seguiamo il Crocifisso. Il nostro segno non è un Superman o un supereroe. Nell’era dei supereroi noi continuiamo ad adorare un Uomo che è stato torturato ed appeso ad una croce. Il nostro segno è un Dio Crocifisso.
Siamo nella città che porta il nome di Cesare, Cesarea di Filippo, nella città di un imperatore che si fa proclamare dio e signore, e dove c’era addirittura un tempio in suo onore. L’imperatore pretendeva che gli si rivolgesse il culto di Dio. Pietro qui afferma che il Messia invece è Gesù Cristo, che quel povero falegname di Nazaret è il Cristo, il Messia Figlio di Dio. La parola “Cristòs” traduce l’ebraico “Mashà”, l’Unto escatologico, quel personaggio atteso da sempre da tutto Israele, in cui Dio avrebbe portato a compimento le sue promesse.
Anche noi oggi siamo chiamati con forza a proclamare al mondo che solo Gesù Cristo è Signore. Anche noi, in un mondo che è pieno di idoli, che sono il potere, il sesso, la violenza, la carriera, i grandi di questo mondo, le star della musica e dello sport, dobbiamo con forza proclamare che il Nazareno Crocifisso è l’unico Dio, creatore del cielo e della terra e Giudice di Salvezza. Noi dobbiamo avere il coraggio di annunciare con chiarezza questo: dobbiamo avere l’ardire, in questo mondo pieno di idoli, di distruggere gli idoli, con la forza degli antichi Profeti, ed annunciare che solo Dio è ciò che conta.
Queste non sono solo proclamazioni “ufficiali”: si tratta di far capire a tutti nel quotidiano che ciò che conta non è la carriera, non è il successo, non è il benessere, ma Dio. Nel nostro stile di vita, non cercare gli agi, le ricchezze, le soddisfazioni: ricordare che ciò che importa è invece l’amore di Dio, l’amore fra di noi.
È nel nostro quotidiano che noi scegliamo o Dio o gli idoli, ore di televisione e qualche minuto di preghiera. Spesso noi abbiamo degli idoli che non ci accorgiamo di avere. Sono quelle cose a cui ci inchiniamo, abitudini, cose che ci riempiono la mente, ma che non sono Dio, non sono Dio!
Nel momento in cui finalmente è stata fatta la grande proclamazione Messianica, subito Gesù comincia a spiegare che cosa vuol dire che egli è il Cristo, è il Messia. Essere Messia significa soffrire “pollà”, cioè molte cose, venire ripudiato e poi rifiutato. Ma questa rivelazione di un Dio che deve soffrire molte cose ed essere ripudiato è scandalosa per Pietro, il quale si pone accanto a Gesù per dargli il consiglio: “Fatti furbo, perché ti presenti perdente? Presentati brillante, potente, vincente, datti da fare. Tu invece ci predichi una croce: ma che figura ci fai in questo mondo?”. Pietro dice questo con affetto, Pietro lo dice in buona fede: “Ma Signore, se no noi perdiamo i discepoli, noi perdiamo i giovani, noi perdiamo gli anziani: sii più diplomatico: fatti furbo!”.
Pietro si pone accanto a Gesù per dargli dei consigli: questo porsi a fianco ha un particolare significato perché il discepolo è colui che cammina dietro al maestro. Allora Gesù rimette a posto Pietro, e gli dice: “Opìso mou!”, “Seguimi, va’ dietro, vammi al seguito, torna indietro, non metterti alla pari, torna a fare il discepolo”. Gesù chiama Pietro Satana: “Vade retro, Satana”. Satana vuol dire ostacolo, inciampo: “Tu ostacoli il cammino della salvezza”. Il Satana è colui che ostacola il nostro cammino verso il Signore. Gesù non ha avuto paura di dire primo Papa che era Satana, altro che “Santità”. Lo ha chiamato Satana: in Marco c’è innanzitutto la proclamazione della verità.
Quali sono gli insegnamenti dopo il primo annuncio di Passione?
- Il discepolo non si misura in base a ciò che ha. Il seguace di Cristo si misura in base a ciò che perde, a ciò che dona.
- La legge di Cristo è rinnegare se stessi: lo diciamo ai nostri figli, ai nostri nipoti, di rinnegare se stessi, ai ragazzi dell’oratorio, ai bambini a cui facciamo catechismo? No, invece facciamo di tutto per realizzarli: allora la palestra, il nuoto, la danza, il tennis, il corso di inglese a tre anni, il corso di musica… Poi magari non vanno in chiesa e non pregano. Non insegniamo loro che la vera felicità è il donarsi, è spendersi per gli altri, e non insegniamo che nella vita c’è anche il dolore: l’importante è realizzarsi. La logica di Cristo è un’altra: è disconoscere se stessi per conoscere Gesù. Disconoscere se stessi vuol dire conoscere la logica del “Servo” e non conoscere altro che la volontà di Dio. La missione del Capo è la stessa del discepolo; in comunione con Cristo, anche noi prendiamo la nostra croce, in una vita di servizio, di dono, e di Fede anche nella prova e nella sofferenza.
Buona Misericordia a tutti!
Carlo Miglietta
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.