Dal Vangelo secondo Luca

Luca 17, 5-10

5 Gli apostoli dissero al Signore: 6 «Aumenta la nostra fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe.
7 Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola? 8 Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu? 9 Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? 10 Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare».

Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, ​sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.

La prima tematica che Il Vangelo di oggi ci presenta e quella dell’importanza della Fede. La preghiera degli apostoli è anche il grido che sale dalle profondità di ciascuno di noi: “Signore, aumenta la nostra Fede!”. Gesù ribadisce che se abbiamo fede la nostra vita può cambiare totalmente, dotandosi di una potenza infinita.

Due sono i termini ebraici che desigano la fede: ‘aman (da cui la forma partecipiale “amen”), che evoca fermezza, certezza; batah, la fiducia e l’affidarsi. In greco, ad ‘aman corrispondono pistis, pisteuo, alètheia (Volg.: fides, credere, veritas); a batah corrispondono elpìs, elpìzo, pèithomai-pèpoitha (Volg.: spes, sperare, confido).

Quindi la fede ha essenzialmente due dimensioni: l’adesione dell’intelligenza alla verità, la sicurezza che solo Dio fonda il reale (“fides quae”), e l’abbandono fiducioso a Dio, il confidare pienamente di lui, l’affidarsi totalmente a lui (“fides qua”), perché è Dio “di fedeltà” (Dt 32,4).

‘Aman è un termine usato per indicare l’adesione della cintura all’addome di chi la porta: quindi per il credente significa essenzialmente stringersi a Dio, aggrapparsi a lui, incollarsi a lui, come una cozza sulla roccia. Fede è quindi abbarbicarsi a Dio, cingersi a lui.

Se davvero la mia vita è tutta fondata su Dio, un Dio che non mi abbandona mai, che è sempre con me, che cammina sempre con me, e in cui posso quindi confidare pienamente, conscio che la sua fedeltà non avrà mai fine e sempre mi accompagnerà, allora la mia vita diventa bella, piena, serena, nonostante le difficoltà, le malattie, le sofferenze, l’angoscia, l’invecchiamento, la morte. Se riesco ad avere Fede quanto un granello di senapa, “il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra” (Mc 4,31), davvero nulla mi sarà impossibile. Compirò prodigi, e soprattutto il miracolo di dare un senso non solo al mio vivere ma anche il mio morire, non solo ai miei godimenti ma anche alle mie sofferenze. Compirò il miracolo di essere sempre sereno anche nei momenti della tempesta, di gioire anche nella sofferenza, di “rallegrarmi sempre nel Signore” (Fil 4,4), di “compiacermi anche delle mie debolezze” (2 Cor 12,9), certo che “quando sono debole è allora che sono forte” (2 Cor 12,10), perché nelle mie infermità e nelle mie debolezze trionfa la potenza di Dio.

Certamente occorre un salto qualitativo: occorre abbandonarsi totalmente a lui, occorre un affidamento totale. Ma questa è la Fede che cambia la vita, perché lascia che sia Dio a riempire i miei vuoti, la mia pochezza, la mia debolezza, inabitando i miei limiti con la sua forza e rendendomi capace di operare il bene, la guarigione, la salvezza per tutti quelli che incontro.

Il secondo tema di questo Vangelo e la motivazione del nostro impegno per il Regno. Tante volte quel: “Siamo servi inutili” (Lc 15,10) è stato inteso come un’affermazione della pochezza umana, del nostro essere microscopici agli occhi di Dio che è immenso, della nostra nullità nella storia della salvezza. Ma la traduzione: “Siamo servi inutili” non è esatta: “achrèioi” non significa che i servi non hanno nessuna importanza, ma che sono “senza utile” (“a-chrèios”), cioè senza guadagno, gratuiti. “Significa che non facciamo il nostro lavoro per guadagno o per utile, ma gratuitamente: semplicemente perché siamo suoi e apparteniamo a lui…. Il ministero apostolico è di sua natura gratuito, perché rivela la fonte da cui scaturisce: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). Per Paolo la ricompensa più alta è predicare gratuitamente il Vangelo (1 Cor 9,18). L’apostolo è associato al ministero di grazia e di misericordia del suo Signore per il mondo. Origine del suo servizio è la Fede, come esperienza personale di colui che lo ha amato e ha dato se stesso per lui (Gal 2,20)… Non si tratta di doverismo o di interesse: l’amore sperimentato lo rende libero di servire come il suo Signore” (S. Fausti).

Il nostro servizio alla causa del Regno va quindi fatto in assoluta gratuità, non per attenderci vantaggi, né una ricompensa qui terrena in termini di maggiori grazie o di preservazione dalla malattia o dalle tribolazioni della vita, né in termini di premio escatologico di un Paradiso meritato per i nostri sforzi. Il nostro servizio deve avere il carattere dell’amore gratuito, che nulla mai pretende, che nulla mai richiede, ma che sempre dona e si spende.

E il padrone dei servi non sarà meno in questa generosità. In un altro brano di Luca è infatti proclamata una rivelazione assurda, incredibile, inaspettata: “In verità vi dico, il padrone si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli!” (Lc 12,36-37). Il padrone si metterà a servire i suoi servi. Il padrone si farà servo, perché egli è dono gratuito, perché egli è l’Amore.

Fede e Amore: sono questi i due capisaldi di una vita bella, piena, realizzata, felice, vissuta attaccati a Dio e come lieto servizio a tutti i fratelli.

Buona Misericordia a tutti!

Carlo Miglietta

Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.