Dal Vangelo secondo Matteo
Matteo 22, 34-40
34 Allora i farisei, avendo udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme 35 e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: 36 “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”. 37 Gli rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. 38 Questo è il grande e primo comandamento. 39 Il secondo poi è simile a quello: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti
Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it).
Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
L’ebraismo farisaico, nella sua corrente hillelita, ammetteva sia la facoltà di una gerarchia di prescrizioni, distinguendole in “leggere” e in “gravi” (Mt 5,19; 23,23), sia la possibilità di riassumere tutta la Legge in un unico “grande precetto” (“kelal gadol”). Questo tipo di domanda era normale nelle discussioni rabbiniche. Ecco perché un dottore della Legge chiede a Gesù quale fosse “il primo” (Mt 22,34-40), “il più grande” (Mc 12,28-31) comandamento, quello necessario “per avere la vita eterna” (Lc 10,25-28). Gesù risponde citando il comando dello “Shema’”, l’“Ascolta, Israele” (Dt 6,5), che imponeva l’amore verso Dio, soltanto sostituendo “con tutta la forza” del suo testo con la frase “con tutta la mente” (“dianoia”). Fin qui, posizione inattaccabile dai farisei.
Ma Gesù va subito oltre, affermando che c’è “un secondo comandamento simile al primo” (22,39), quello dell’amare il prossimo come se stessi. Solo Matteo aggiunge che a questi due comandamenti sono “appesi” (22,40: “krèmatai” sottintende l’ebraico “telujim”) non solo la Torah, ma anche tutto il profetismo, cioè tutto l’Antico Testamento, così come due cardini sostengono una porta.
Gesù quindi insegnò che “il più grande e il primo dei comandamenti” era: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”, ma che il secondo era “simile al primo: amerai il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,37-38); anzi, in Marco si dice: “Non c’è altro comandamento (ndr: al singolare) più importante di questi” (Mc 12,31), e Luca li presenta come un unico imperativo (Lc 10,27).
La novità dell’affermazione di Gesù consiste nell’aver collocato Lv 19,18: “Amerai il prossimo tuo come te stesso” sullo stesso livello di Dt 6,5: “Amerai Dio con tutto il tuo cuore”. Gesù, presenta, cioè, i due comandamenti come se fossero in realtà uno solo. “L’associazione dei due precetti dell’amore… è un dato evangelico senza paralleli nell’ebraismo” (A. Mello).
Paolo conclude: “Qualsiasi altro comandamento si riassume in queste parole: «Amerai il prossimo tuo come te stesso»… Pieno compimento della legge è l’amore” (Rm 13,9-10); “Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: «Amerai il prossimo tuo come te stesso»” (Gal 5,14); “Al di sopra di tutto vi sia la carità, che è il vincolo della perfezione” (Col 3,14).
Il “comandamento nuovo” dell’amore vicendevole è l’unica traduzione del comando di amare Dio: Dio infatti vuole essere amato nell’uomo: “Se uno dicesse: «Io amo Dio», e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4,20); “Se uno possiede le ricchezze in questo mondo, e vedendo il proprio fratello nel bisogno gli chiude il cuore, come l’amore di Dio può dimorare in lui?” (1 Gv 3,17); “Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40.45).
Ormai i cristiani hanno un “comandamento nuovo” che li deve far riconoscere tra tutti gli uomini, amarsi scambievolmente (Gv 13,34): questo è l’unico criterio di ecclesialità propostoci da Cristo: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35).
L’amore fraterno inoltre ci apre alla Fede in Dio: “Chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1 Gv 4,7-8): tante volte la nostra Fede è debole proprio perché non amiamo; amando, possiamo ottenere la “conoscenza” di Dio, cioè entrare nella sua intimità: ricordiamocelo, quando siamo in “crisi di Fede”…
Buona Misericordia a tutti!
Carlo Miglietta
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.