“Non c’è pianto che Dio non consoli”: Papa Leone XIV e la fede che resiste nel dolore

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21 Ottobre 2025

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Foto di Jack Sharp su Unsplash

“Non c’è pianto che Dio non consoli”: Papa Leone XIV e la fede che resiste nel dolore

Domenica 19 ottobre 2025, in una Piazza San Pietro gremita di fedeli provenienti da tutto il mondo, Papa Leone XIV ha presieduto la solenne Messa di canonizzazione di sette nuovi santi. Un evento che ha intrecciato storia, fede e speranza, ma che soprattutto ha offerto un messaggio di grande attualità e profondità spirituale: “Non c’è pianto che Dio non consoli, non c’è lacrima che sia lontana dal suo cuore.”

Una frase che ha attraversato il silenzio raccolto dei presenti come un balsamo, ma anche come una sfida. In un tempo segnato da guerre, disuguaglianze e solitudini nascoste, le parole del Papa hanno ricordato che la fede non è evasione dal dolore, ma luogo dove il dolore viene trasfigurato.

I santi come testimoni della consolazione

Durante l’omelia, Papa Leone XIV ha invitato i fedeli a guardare ai nuovi santi non come “paladini di qualche ideale”, ma come “testimoni concreti dell’amore di Cristo”. Ciascuno di loro, ha sottolineato, ha vissuto la propria esistenza come risposta fiduciosa a Dio, anche nelle prove più dure.

Ignazio Choukrallah Maloyan, vescovo martire armeno; Pietro To Rot, catechista della Papua Nuova Guinea; Vincenza Maria Poloni, fondatrice delle Suore della Misericordia; Maria del Monte Carmelo Rendiles Martínez, religiosa venezuelana; Maria Troncatti, missionaria salesiana; José Gregorio Hernández, medico dei poveri venezuelano; e Bartolo Longo, apostolo del Rosario e della carità.

Sette volti diversi, una sola luce. La loro santità – ha spiegato il Papa – non è fatta di gesti eroici isolati, ma di fedeltà quotidiana, di fiducia perseverante nella preghiera, di amore che non si arrende.

La consolazione di Dio: presenza, non evasione

Eppure, la frase più toccante dell’omelia – e quella che più ha risuonato tra i fedeli – è stata quella sulla consolazione di Dio. “Non c’è pianto che Dio non consoli, non c’è lacrima lontana dal suo cuore.”

Non si tratta di una consolazione astratta o sentimentale. Dio non elimina la sofferenza come con un colpo di spugna: la abita, la trasforma, la redime. “Quando siamo crocifissi dal dolore, dall’odio o dalla guerra, Cristo è con noi sulla croce”. La croce non è l’assenza di Dio, ma il luogo in cui Dio si fa più vicino.

Questa consolazione, dunque, non è una fuga ma una presenza: è il volto di Cristo che si piega sulle nostre ferite, la tenerezza che rialza chi cade, la misericordia che restituisce dignità a chi si sente perduto.

Un invito alla quarta opera di misericordia spirituale

L’omelia di Papa Leone XIV è anche un invito a tradurre la fede in gesti concreti, come per esempio consolare gli afflitti.

I santi canonizzati non sono modelli irraggiungibili, ma fratelli e sorelle che ci mostrano che la santità è possibile nella vita di ogni giorno. La loro consolazione non nasce da miracoli straordinari, ma dall’ascolto del dolore degli altri, dalla capacità di restare accanto, dal coraggio di perdonare.

Dio consola anche attraverso le nostre mani. Quella consolazione è una promessa che diventa missione. Perché credere in un Dio che consola significa impegnarsi a consolare a nostra volta, a rendere visibile, nelle pieghe della storia, quel cuore di Dio che non dimentica nessuno.

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“Non c’è pianto che Dio non consoli”: Papa Leone XIV e la fede che resiste nel dolore

Domenica 19 ottobre 2025, in una Piazza San Pietro gremita di fedeli provenienti da tutto il mondo, Papa Leone XIV ha presieduto la solenne Messa di canonizzazione di sette nuovi santi. Un evento che ha intrecciato storia, fede e speranza, ma che soprattutto ha offerto un messaggio di grande attualità e profondità spirituale: “Non c’è pianto che Dio non consoli, non c’è lacrima che sia lontana dal suo cuore.”

Una frase che ha attraversato il silenzio raccolto dei presenti come un balsamo, ma anche come una sfida. In un tempo segnato da guerre, disuguaglianze e solitudini nascoste, le parole del Papa hanno ricordato che la fede non è evasione dal dolore, ma luogo dove il dolore viene trasfigurato.

I santi come testimoni della consolazione

Durante l’omelia, Papa Leone XIV ha invitato i fedeli a guardare ai nuovi santi non come “paladini di qualche ideale”, ma come “testimoni concreti dell’amore di Cristo”. Ciascuno di loro, ha sottolineato, ha vissuto la propria esistenza come risposta fiduciosa a Dio, anche nelle prove più dure.

Ignazio Choukrallah Maloyan, vescovo martire armeno; Pietro To Rot, catechista della Papua Nuova Guinea; Vincenza Maria Poloni, fondatrice delle Suore della Misericordia; Maria del Monte Carmelo Rendiles Martínez, religiosa venezuelana; Maria Troncatti, missionaria salesiana; José Gregorio Hernández, medico dei poveri venezuelano; e Bartolo Longo, apostolo del Rosario e della carità.

Sette volti diversi, una sola luce. La loro santità – ha spiegato il Papa – non è fatta di gesti eroici isolati, ma di fedeltà quotidiana, di fiducia perseverante nella preghiera, di amore che non si arrende.

La consolazione di Dio: presenza, non evasione

Eppure, la frase più toccante dell’omelia – e quella che più ha risuonato tra i fedeli – è stata quella sulla consolazione di Dio. “Non c’è pianto che Dio non consoli, non c’è lacrima lontana dal suo cuore.”

Non si tratta di una consolazione astratta o sentimentale. Dio non elimina la sofferenza come con un colpo di spugna: la abita, la trasforma, la redime. “Quando siamo crocifissi dal dolore, dall’odio o dalla guerra, Cristo è con noi sulla croce”. La croce non è l’assenza di Dio, ma il luogo in cui Dio si fa più vicino.

Questa consolazione, dunque, non è una fuga ma una presenza: è il volto di Cristo che si piega sulle nostre ferite, la tenerezza che rialza chi cade, la misericordia che restituisce dignità a chi si sente perduto.

Un invito alla quarta opera di misericordia spirituale

L’omelia di Papa Leone XIV è anche un invito a tradurre la fede in gesti concreti, come per esempio consolare gli afflitti.

I santi canonizzati non sono modelli irraggiungibili, ma fratelli e sorelle che ci mostrano che la santità è possibile nella vita di ogni giorno. La loro consolazione non nasce da miracoli straordinari, ma dall’ascolto del dolore degli altri, dalla capacità di restare accanto, dal coraggio di perdonare.

Dio consola anche attraverso le nostre mani. Quella consolazione è una promessa che diventa missione. Perché credere in un Dio che consola significa impegnarsi a consolare a nostra volta, a rendere visibile, nelle pieghe della storia, quel cuore di Dio che non dimentica nessuno.

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