Luca negli Atti pone l’Ascensione dopo quaranta giorni dalla Resurrezione (Prima Lettura: At 1,3), per indicare il tempo compiuto, stabilito da Dio (tale è il significato biblico del numero quaranta): nel Vangelo invece l’Ascensione avviene nel giorno stesso di Pasqua (Lc 24,50-52), per sottolineare che Resurrezione e Ascensione sono l’unico momento dell’”entrare nella gloria”(Lc 24,26). Certamente Gesù Risorto fu visto come tale per un periodo preciso di tempo, dopo di che egli non si manifestò più in apparizione. L’”Ascensione” è un’immagine in linguaggio spazio-temporale per esprimere proprio che da un certo momento Cristo non fu più rinvenibile all’interno del limite spazio-temporale della nostra percezione umana: egli è il Vivente al di fuori dello spazio e del tempo, nell’eternità di Dio, “in cielo” (Lc 24,51). Ecco perché nel Nuovo Testamento si parla talora indifferentemente di resurrezione o di ascensione-glorificazione-esaltazione (At 2,32-33;5,30-31; Rm 8,34; Ef 1,20; Fil 2,8-9; 1 Pt 3,21-22).
L’Ascensione conclude la storia evangelica ma nello stesso modo apre la storia della Chiesa (Atti 1, 9-11). Per Luca l’Ascensione ha un duplice significato.
È un salire al Padre (“veniva portato verso il cielo”), precisando in tal modo che la risurrezione di Gesù non è un ritorno alla vita di prima, quasi un passo all’indietro, ma l’entrata in una condizione nuova, un passo in avanti, nella gloria di Dio.
L’Ascensione è però descritta come un distacco, una partenza (“si staccò da loro”): Gesù ritira la sua presenza visibile, sostituendola con una presenza nuova, invisibile e tuttavia più profonda: una presenza che si coglie nella fede, nell’intelligenza delle Scritture, nell’ascolto della Parola, nella frazione del pane e nella fraternità.
Commenta Enzo Bianchi: “Credendo è possibile diventare «testimoni», fino ad annunciare la morte e resurrezione di Cristo come evento che chiede conversione e dona la remissione dei peccati: il perdono da parte di Dio a tutta l’umanità, in attesa della buona notizia della salvezza. Tutti sono testimoni – sottolinea Luca –, tutti annunciatori del Vangelo, non solo gli Undici, gli apostoli, ma anche gli altri presenti nello stesso luogo. Sì, Gesù, quest’uomo di Nazaret, figlio di Maria e di Dio, che solo Dio poteva darci, era venuto soprattutto come visita da parte di Dio (cf. Lc 1,68): una visita non per la punizione, per il castigo dei peccati commessi dal popolo di Dio e dall’intera umanità, ma una visita che annunciava il perdono dei peccati (cfr Lc 1,77)”. E ora, come afferma la Seconda Lettura, “abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne” (Eb 9,24-28; 10,19-23),
“Dunque i discepoli, testimoni di questa misericordia vissuta, insegnata e raccontata da Gesù, devono annunciarla a tutte le genti. Questa è la predicazione della chiesa, la quale invece è spesso tentata di attribuirsi compiti che il Signore non le ha dato: l’unico compito evangelico è annunciare e fare misericordia, che significherà servizio ai poveri, ai malati, ai sofferenti, vicinanza e solidarietà con i peccatori. «Cominciando da Gerusalemme» e fino ai confini del mondo i testimoni, quali viandanti e pellegrini, ovunque annunceranno il perdono dei peccati, quindi perdoneranno e inviteranno tutti a perdonare: questo il Vangelo, la buona notizia. Essere testimoni di tale annuncio (e non di altro!) è un’impresa ardua, perché sembra poco credibile, quasi impossibile da realizzare, eppure quei poveri discepoli e quelle povere discepole la sera di Pasqua hanno ascoltato, capito e da allora hanno tentato di mettere in pratica nient’altro che questo: il perdono, la remissione dei peccati. Ci vorrà «la potenza venuta dall’alto», la discesa dello Spirito santo da Dio, per essere abilitati ad adempiere questo mandato, ma nessuna paura: quando Gesù, il Figlio di Dio, sale al cielo, ecco che dal cielo discende lo Spirito di Dio, che è anche e sempre Spirito di Gesù Cristo, forza che sempre ci accompagna e ci ispira in questa missione” (E. Bianchi).
Salendo al cielo, Gesù lascia ai suoi la sua benedizione, che è l’immersione dei suoi nello Spirito Santo (Lc 3,16), che rende la comunità profetica e sacerdotale, riempiendola di una “gioia grande” che supera ogni distacco: “Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio” (Lc 24,53). Che la nostra vita sia sempre una felicità infinita, perché Dio, con il suo Spirito, resta sempre accanto a noi!
Ascensione
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– di:
At 1,1-11; Eb 9,24-28; 10,19-23; Lc 24,46-53
Luca negli Atti pone l’Ascensione dopo quaranta giorni dalla Resurrezione (Prima Lettura: At 1,3), per indicare il tempo compiuto, stabilito da Dio (tale è il significato biblico del numero quaranta): nel Vangelo invece l’Ascensione avviene nel giorno stesso di Pasqua (Lc 24,50-52), per sottolineare che Resurrezione e Ascensione sono l’unico momento dell’”entrare nella gloria”(Lc 24,26). Certamente Gesù Risorto fu visto come tale per un periodo preciso di tempo, dopo di che egli non si manifestò più in apparizione. L’”Ascensione” è un’immagine in linguaggio spazio-temporale per esprimere proprio che da un certo momento Cristo non fu più rinvenibile all’interno del limite spazio-temporale della nostra percezione umana: egli è il Vivente al di fuori dello spazio e del tempo, nell’eternità di Dio, “in cielo” (Lc 24,51). Ecco perché nel Nuovo Testamento si parla talora indifferentemente di resurrezione o di ascensione-glorificazione-esaltazione (At 2,32-33;5,30-31; Rm 8,34; Ef 1,20; Fil 2,8-9; 1 Pt 3,21-22).
L’Ascensione conclude la storia evangelica ma nello stesso modo apre la storia della Chiesa (Atti 1, 9-11). Per Luca l’Ascensione ha un duplice significato.
È un salire al Padre (“veniva portato verso il cielo”), precisando in tal modo che la risurrezione di Gesù non è un ritorno alla vita di prima, quasi un passo all’indietro, ma l’entrata in una condizione nuova, un passo in avanti, nella gloria di Dio.
L’Ascensione è però descritta come un distacco, una partenza (“si staccò da loro”): Gesù ritira la sua presenza visibile, sostituendola con una presenza nuova, invisibile e tuttavia più profonda: una presenza che si coglie nella fede, nell’intelligenza delle Scritture, nell’ascolto della Parola, nella frazione del pane e nella fraternità.
Commenta Enzo Bianchi: “Credendo è possibile diventare «testimoni», fino ad annunciare la morte e resurrezione di Cristo come evento che chiede conversione e dona la remissione dei peccati: il perdono da parte di Dio a tutta l’umanità, in attesa della buona notizia della salvezza. Tutti sono testimoni – sottolinea Luca –, tutti annunciatori del Vangelo, non solo gli Undici, gli apostoli, ma anche gli altri presenti nello stesso luogo. Sì, Gesù, quest’uomo di Nazaret, figlio di Maria e di Dio, che solo Dio poteva darci, era venuto soprattutto come visita da parte di Dio (cf. Lc 1,68): una visita non per la punizione, per il castigo dei peccati commessi dal popolo di Dio e dall’intera umanità, ma una visita che annunciava il perdono dei peccati (cfr Lc 1,77)”. E ora, come afferma la Seconda Lettura, “abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne” (Eb 9,24-28; 10,19-23),
“Dunque i discepoli, testimoni di questa misericordia vissuta, insegnata e raccontata da Gesù, devono annunciarla a tutte le genti. Questa è la predicazione della chiesa, la quale invece è spesso tentata di attribuirsi compiti che il Signore non le ha dato: l’unico compito evangelico è annunciare e fare misericordia, che significherà servizio ai poveri, ai malati, ai sofferenti, vicinanza e solidarietà con i peccatori. «Cominciando da Gerusalemme» e fino ai confini del mondo i testimoni, quali viandanti e pellegrini, ovunque annunceranno il perdono dei peccati, quindi perdoneranno e inviteranno tutti a perdonare: questo il Vangelo, la buona notizia. Essere testimoni di tale annuncio (e non di altro!) è un’impresa ardua, perché sembra poco credibile, quasi impossibile da realizzare, eppure quei poveri discepoli e quelle povere discepole la sera di Pasqua hanno ascoltato, capito e da allora hanno tentato di mettere in pratica nient’altro che questo: il perdono, la remissione dei peccati. Ci vorrà «la potenza venuta dall’alto», la discesa dello Spirito santo da Dio, per essere abilitati ad adempiere questo mandato, ma nessuna paura: quando Gesù, il Figlio di Dio, sale al cielo, ecco che dal cielo discende lo Spirito di Dio, che è anche e sempre Spirito di Gesù Cristo, forza che sempre ci accompagna e ci ispira in questa missione” (E. Bianchi).
Salendo al cielo, Gesù lascia ai suoi la sua benedizione, che è l’immersione dei suoi nello Spirito Santo (Lc 3,16), che rende la comunità profetica e sacerdotale, riempiendola di una “gioia grande” che supera ogni distacco: “Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio” (Lc 24,53). Che la nostra vita sia sempre una felicità infinita, perché Dio, con il suo Spirito, resta sempre accanto a noi!
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