Corpo e Sangue di Cristo

il: 

19 Giugno 2025

di: 

corpus_domini

Letture: Gn 14,18-20; 1 Cor 11,23-26; Lc 9,11b-17

Il Vangelo dà grande risalto alla moltiplicazione dei pani e dei pesci: il miracolo ci è riportato da tutti e quattro gli Evangelisti, e Marco e Matteo lo raccontano ben due volte (Mc 6,30-44; 8,1-20; Mt 14,13-21; 15,32-39; Lc 9,10-17; Gv 6,1-13).

La narrazione della moltiplicazione dei pani ha come sfondo il libro dell’Esodo, cui continuamente allude: la moltitudine in cammino, il pane, citazioni implicite del testo (Es 3; 16; 33…) e della tradizione rabbinica su di esso.

Davanti a Gesù stanno le folle affamate: non solo di pane, quanto di senso della vita, di guarigione, di pace, di felicità (Lc 9,11). Gesù mette alla prova (la “prova” è un tema tipicamente esodico: Es 15; 16; 20; 32…) la sua Chiesa, invitandola a sfamare questa gente (Lc 9,13). E la sua Chiesa subito si mette a fare calcoli umani, pensando come potere risolvere il problema secondo la logica mondana. Dobbiamo prendere sul serio la parola di Gesù: “Date loro da mangiare” se vogliamo celebrare l’Eucaristia senza mangiare e bere la nostra condanna, come diceva Paolo in 1 Cor 11,27-29, a conclusione del racconto di istituzione dell’Eucarestia che oggi la Seconda Lettura ci presenta (1 Cor 11,23-26).

La condivisione, la riconciliazione con il fratello devono precedere le nostre preghiere (Mt 5,23-24). Ci sarà detto: “Venite, benedetti, al banchetto del Regno, se avrete dato da mangiare agli affamati” (Mt 25,34-35). Dobbiamo chiederci se possiamo celebrare l’Eucaristia, se prima non abbiamo lottato contro la fame nel mondo. Se prima non abbiamo compartecipato ai nostri beni. Se non abbiamo operato per rapporti sociali di giustizia. Ma noi, invece di metterci in un’ottica di condivisione, di dono, invece di mettere subito in comune quel poco che abbiamo, i nostri cinque pani e due pesci, facciamo subito i conti di quanto denaro occorre per sfamare tutti. Ma Gesù ci dice: “Date loro quel poco che avete. Ciascuno di voi cominci a dare i suoi cinque pani e due pesci, e il problema della fame del mondo, le ingiustizie sociali sui poveri, si risolverebbero, se ognuno di noi mettesse i suoi pochi beni con quelli di tutti gli altri”.

Perché pane e pesce? Il contesto è Pasquale e Messianico insieme: infatti i Rabbini dicevano che Mosè non aveva dato soltanto la manna durante l’Esodo pasquale, aveva dato anche le quaglie, e in alcuni Libri si diceva anche i pesci; ma soprattutto l’apocalittica giudaica diceva che alla fine dei tempi gli eletti, insieme al Messia, avrebbero mangiato il Leviatan, il grande pesce simbolo del demonio, del male, del caos primordiale. Questo banchetto ricorda la Pasqua antica, e ci prefigura anche il banchetto finale.

Gesù spiazza completamente i suoi discepoli, imbandendo la Pasqua messianica: ordina che la folla sia fatta sdraiare (Lc 9,14-15: “anaklitènai” non è essere seduti, ma sdraiati, l’atteggiamento, durante il pasto, degli uomini liberi).

Compaiono quattro verbi che sono quelli propri dell’Eucaristia: 1. Prendere il pane. 2. Pronunciare la benedizione. 3. Spezzare il pane. 4. Donare il Pane. Sono gli stessi verbi che il Prete dice nella Messa: l’Eucarestia ha plasmato il vocabolario della moltiplicazione del pane. Perché Luca era convinto che questa comunione conviviale nel deserto era anticipazione del grande segno Eucaristico lasciato da Gesù, nell’ultima cena, ai suoi Discepoli.

“Ne avanzarono dodici ceste” (Lc 9,17): dodici è il simbolo della pienezza, il simbolo della perfezione, ma è anche il ricordo che questo miracolo avviene per intercessione dei Dodici: cioè Gesù riesce a sfamare la folla tramite la Chiesa che continua a celebrare I’Eucaristia. Gesù continua a salvare tramite tutti noi, che partecipiamo al Banchetto. Gesù si renderà pane spezzato per farsi mangiare, e chiederà anche ai suoi di farsi pane per i fratelli, diventando loro servi (Gv 13). Il brano ha quindi forti riferimenti all’Eucarestia (Mt 26,26: cfr 14,19).

Concretamente che cosa è successo? Il grande biblista Rinaldo Fabris dice che in origine il miracolo sarebbe stato una felice esperienza di cameratismo, e di solidarietà popolare. Il miracolo, secondo Fabris, consisterebbe nel prodigio di una Parola che crea comunione e condivisione sovrabbondante, come fece Melchisedec per Abram (Prima Lettura: Gn 14,18-20). Questa è una lettura un po’ diversa da quella solita, perché soprattutto in Giovanni e in tutta la tradizione si parla di miracolo autentico, di un prodigio, ma certamente si deve dire che questo è un significato importante: cioè ad ogni Eucaristia noi dobbiamo essere trasformati dalla Parola al punto che mettiamo in comune con i fratelli quel poco che abbiamo, e si crea un grande miracolo: che i beni si moltiplicano per tutti.

Se le nostre Messe fossero così! Dobbiamo convertirci perché siano il momento in cui ciascuno di noi, “alter Christus”, altro Cristo, si fa pane e si fa vino per i fratelli, in cui ognuno di noi, mettendo insieme quel poco che ha, crea il miracolo di sfamare il mondo.

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Fonte

Letture: Gn 14,18-20; 1 Cor 11,23-26; Lc 9,11b-17

Il Vangelo dà grande risalto alla moltiplicazione dei pani e dei pesci: il miracolo ci è riportato da tutti e quattro gli Evangelisti, e Marco e Matteo lo raccontano ben due volte (Mc 6,30-44; 8,1-20; Mt 14,13-21; 15,32-39; Lc 9,10-17; Gv 6,1-13).

La narrazione della moltiplicazione dei pani ha come sfondo il libro dell’Esodo, cui continuamente allude: la moltitudine in cammino, il pane, citazioni implicite del testo (Es 3; 16; 33…) e della tradizione rabbinica su di esso.

Davanti a Gesù stanno le folle affamate: non solo di pane, quanto di senso della vita, di guarigione, di pace, di felicità (Lc 9,11). Gesù mette alla prova (la “prova” è un tema tipicamente esodico: Es 15; 16; 20; 32…) la sua Chiesa, invitandola a sfamare questa gente (Lc 9,13). E la sua Chiesa subito si mette a fare calcoli umani, pensando come potere risolvere il problema secondo la logica mondana. Dobbiamo prendere sul serio la parola di Gesù: “Date loro da mangiare” se vogliamo celebrare l’Eucaristia senza mangiare e bere la nostra condanna, come diceva Paolo in 1 Cor 11,27-29, a conclusione del racconto di istituzione dell’Eucarestia che oggi la Seconda Lettura ci presenta (1 Cor 11,23-26).

La condivisione, la riconciliazione con il fratello devono precedere le nostre preghiere (Mt 5,23-24). Ci sarà detto: “Venite, benedetti, al banchetto del Regno, se avrete dato da mangiare agli affamati” (Mt 25,34-35). Dobbiamo chiederci se possiamo celebrare l’Eucaristia, se prima non abbiamo lottato contro la fame nel mondo. Se prima non abbiamo compartecipato ai nostri beni. Se non abbiamo operato per rapporti sociali di giustizia. Ma noi, invece di metterci in un’ottica di condivisione, di dono, invece di mettere subito in comune quel poco che abbiamo, i nostri cinque pani e due pesci, facciamo subito i conti di quanto denaro occorre per sfamare tutti. Ma Gesù ci dice: “Date loro quel poco che avete. Ciascuno di voi cominci a dare i suoi cinque pani e due pesci, e il problema della fame del mondo, le ingiustizie sociali sui poveri, si risolverebbero, se ognuno di noi mettesse i suoi pochi beni con quelli di tutti gli altri”.

Perché pane e pesce? Il contesto è Pasquale e Messianico insieme: infatti i Rabbini dicevano che Mosè non aveva dato soltanto la manna durante l’Esodo pasquale, aveva dato anche le quaglie, e in alcuni Libri si diceva anche i pesci; ma soprattutto l’apocalittica giudaica diceva che alla fine dei tempi gli eletti, insieme al Messia, avrebbero mangiato il Leviatan, il grande pesce simbolo del demonio, del male, del caos primordiale. Questo banchetto ricorda la Pasqua antica, e ci prefigura anche il banchetto finale.

Gesù spiazza completamente i suoi discepoli, imbandendo la Pasqua messianica: ordina che la folla sia fatta sdraiare (Lc 9,14-15: “anaklitènai” non è essere seduti, ma sdraiati, l’atteggiamento, durante il pasto, degli uomini liberi).

Compaiono quattro verbi che sono quelli propri dell’Eucaristia: 1. Prendere il pane. 2. Pronunciare la benedizione. 3. Spezzare il pane. 4. Donare il Pane. Sono gli stessi verbi che il Prete dice nella Messa: l’Eucarestia ha plasmato il vocabolario della moltiplicazione del pane. Perché Luca era convinto che questa comunione conviviale nel deserto era anticipazione del grande segno Eucaristico lasciato da Gesù, nell’ultima cena, ai suoi Discepoli.

“Ne avanzarono dodici ceste” (Lc 9,17): dodici è il simbolo della pienezza, il simbolo della perfezione, ma è anche il ricordo che questo miracolo avviene per intercessione dei Dodici: cioè Gesù riesce a sfamare la folla tramite la Chiesa che continua a celebrare I’Eucaristia. Gesù continua a salvare tramite tutti noi, che partecipiamo al Banchetto. Gesù si renderà pane spezzato per farsi mangiare, e chiederà anche ai suoi di farsi pane per i fratelli, diventando loro servi (Gv 13). Il brano ha quindi forti riferimenti all’Eucarestia (Mt 26,26: cfr 14,19).

Concretamente che cosa è successo? Il grande biblista Rinaldo Fabris dice che in origine il miracolo sarebbe stato una felice esperienza di cameratismo, e di solidarietà popolare. Il miracolo, secondo Fabris, consisterebbe nel prodigio di una Parola che crea comunione e condivisione sovrabbondante, come fece Melchisedec per Abram (Prima Lettura: Gn 14,18-20). Questa è una lettura un po’ diversa da quella solita, perché soprattutto in Giovanni e in tutta la tradizione si parla di miracolo autentico, di un prodigio, ma certamente si deve dire che questo è un significato importante: cioè ad ogni Eucaristia noi dobbiamo essere trasformati dalla Parola al punto che mettiamo in comune con i fratelli quel poco che abbiamo, e si crea un grande miracolo: che i beni si moltiplicano per tutti.

Se le nostre Messe fossero così! Dobbiamo convertirci perché siano il momento in cui ciascuno di noi, “alter Christus”, altro Cristo, si fa pane e si fa vino per i fratelli, in cui ognuno di noi, mettendo insieme quel poco che ha, crea il miracolo di sfamare il mondo.

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