Il cammino quaresimale ci porta oggi ai piedi della Croce. La Croce è la massima espressione dell’amore di Dio per noi, il momento storicamente culminante del chinarsi di Dio sull’umanità per abbracciarla e per salvarla. Purtroppo però, per noi, il Crocifisso non è più “scandalo…, stoltezza” (1 Cor 1,23), e insieme meraviglia di fronte a cui cadere in commossa adorazione: ormai ci siamo abituati alla vista di questo simbolo sacro, che molti ormai portano al collo come un portafortuna qualsiasi, tra un cornetto e un quadrifoglio. Anche nelle nostre chiese, spesso i Crocifissi sono pie raffigurazioni su cui il nostro occhio è abituato a posarsi: il Gesù che vi è infisso è magari sereno e quasi glorioso, e ci sfugge così la comprensione del massimo miracolo dell’amore di Dio. Il Gesù crocifisso non è più colui che “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi…, disprezzato e reietto dagli uomini” (Is 53,2-3).
Dovremmo saper ancora turbarci davanti al Crocifisso. Siamo l’unica religione che ha come emblema un torturato con le più crudeli sevizie, con ogni macabro e folle mezzo inventato dalla cattiveria umana. Ma proprio per questo ogni uomo, anche quello che ha subito le violenze più terribili, che è colpito dal male più atroce, può volgere al Crocifisso lo sguardo a trovare in quel Dio che vi è infisso la massima comprensione, la più piena solidarietà. Non vi è dolore che non sia compreso nelle sofferenze di Cristo, non vi è male che egli non abbia assunto su di sé: ecco perché egli è veramente il “Dio con noi” (Mt 1,23).
Sul suo “volto sfigurato, disfatto, sono stampate le impronte di tutte le miserie del mondo. Un volto che raccoglie la documentazione di tutte le torture che gli uomini di ogni tempo dovranno subire. Il Corpo di Cristo diventa il continente smisurato del dolore umano. Su quella croce c’è il peso di coloro che non ne possono più… Davvero, con la croce Cristo riceve il sacramento del dolore umano. Ecco Colui che «porta, sopporta, porta via la nostra angoscia» (K. Barth)… Che parafulmine, quella croce… È pesante la croce. Perché è pesante la croce di milioni di creature. E Cristo, che le porta tutte, diventa «Colui che non ce la fa più»: «Presero un certo Simone di Cirene…, e gli posero addosso la croce perché la portasse dietro a Gesù» (Lc 23,26). Da quel momento chiunque può gridare: «Non ne posso più!». Sa che c’è Qualcuno che lo comprende. Perché ha provato” (A. Pronzato).
Papa Francesco ci invita a “guardare Cristo crocifisso… Guardalo. Guarda le piaghe. Entra nelle piaghe. Per quelle piaghe noi siamo stati guariti. Ti senti avvelenato, ti senti triste, senti che la tua vita non va, è piena di difficoltà e anche di malattia? Guarda lì. In silenzio. Guarda… Soprattutto nei momenti brutti, nei momenti difficili, avvelenàti un po’ dall’aver detto nel nostro cuore qualche delusione contro Dio, bisogna guardare specialmente le piaghe. Cristo innalzato come il serpente di Numeri 21,4-9: perché lui si è fatto serpente, si è annientato tutto per vincere «il» serpente maligno”. Cristo che si è fatto per noi «uomo dei dolori, che ben conosce il patire»” (Is 53,3), che “ha presentato il dorso ai flagellatori, le guance a coloro che gli strappavano la barba, che non ha sottratto la faccia agli insulti e agli sputi” (Prima Lettura: Is 50,4-7), che “ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini…, e umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,6-11).
Luca per questa sezione utilizza certamente Marco, ma introduce un taglio decisamente personale alla comprensione del mistero: egli infatti, come lo definì Dante Alighieri, è lo “scriba mansuetudinis Christi”, e scrive il “Vangelo della mansuetudine di Cristo”. Perciò omette ciò che può turbare l’ordinata successione del racconto; elimina le scene particolarmente dure o violente; sottolinea Gesù come Maestro ed Evangelizzatore anche nella Passione. E invita il lettore, cioè noi, ad assistere al dramma di Gesù non da lontano, come in Marco, ma a seguire l’esempio di Simone di Cirene, e a portare anche noi, vicino a lui, la sua croce; riconoscendoci tutti nella debolezza di Pietro e nella speranza del buon ladrone.
Domenica Delle Palme: Passione Del Signore
il:
– di:
Letture: Is 50,4-7; Fil 2,6-11; Lc 21,14-23,56
Il cammino quaresimale ci porta oggi ai piedi della Croce. La Croce è la massima espressione dell’amore di Dio per noi, il momento storicamente culminante del chinarsi di Dio sull’umanità per abbracciarla e per salvarla. Purtroppo però, per noi, il Crocifisso non è più “scandalo…, stoltezza” (1 Cor 1,23), e insieme meraviglia di fronte a cui cadere in commossa adorazione: ormai ci siamo abituati alla vista di questo simbolo sacro, che molti ormai portano al collo come un portafortuna qualsiasi, tra un cornetto e un quadrifoglio. Anche nelle nostre chiese, spesso i Crocifissi sono pie raffigurazioni su cui il nostro occhio è abituato a posarsi: il Gesù che vi è infisso è magari sereno e quasi glorioso, e ci sfugge così la comprensione del massimo miracolo dell’amore di Dio. Il Gesù crocifisso non è più colui che “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi…, disprezzato e reietto dagli uomini” (Is 53,2-3).
Dovremmo saper ancora turbarci davanti al Crocifisso. Siamo l’unica religione che ha come emblema un torturato con le più crudeli sevizie, con ogni macabro e folle mezzo inventato dalla cattiveria umana. Ma proprio per questo ogni uomo, anche quello che ha subito le violenze più terribili, che è colpito dal male più atroce, può volgere al Crocifisso lo sguardo a trovare in quel Dio che vi è infisso la massima comprensione, la più piena solidarietà. Non vi è dolore che non sia compreso nelle sofferenze di Cristo, non vi è male che egli non abbia assunto su di sé: ecco perché egli è veramente il “Dio con noi” (Mt 1,23).
Sul suo “volto sfigurato, disfatto, sono stampate le impronte di tutte le miserie del mondo. Un volto che raccoglie la documentazione di tutte le torture che gli uomini di ogni tempo dovranno subire. Il Corpo di Cristo diventa il continente smisurato del dolore umano. Su quella croce c’è il peso di coloro che non ne possono più… Davvero, con la croce Cristo riceve il sacramento del dolore umano. Ecco Colui che «porta, sopporta, porta via la nostra angoscia» (K. Barth)… Che parafulmine, quella croce… È pesante la croce. Perché è pesante la croce di milioni di creature. E Cristo, che le porta tutte, diventa «Colui che non ce la fa più»: «Presero un certo Simone di Cirene…, e gli posero addosso la croce perché la portasse dietro a Gesù» (Lc 23,26). Da quel momento chiunque può gridare: «Non ne posso più!». Sa che c’è Qualcuno che lo comprende. Perché ha provato” (A. Pronzato).
Papa Francesco ci invita a “guardare Cristo crocifisso… Guardalo. Guarda le piaghe. Entra nelle piaghe. Per quelle piaghe noi siamo stati guariti. Ti senti avvelenato, ti senti triste, senti che la tua vita non va, è piena di difficoltà e anche di malattia? Guarda lì. In silenzio. Guarda… Soprattutto nei momenti brutti, nei momenti difficili, avvelenàti un po’ dall’aver detto nel nostro cuore qualche delusione contro Dio, bisogna guardare specialmente le piaghe. Cristo innalzato come il serpente di Numeri 21,4-9: perché lui si è fatto serpente, si è annientato tutto per vincere «il» serpente maligno”. Cristo che si è fatto per noi «uomo dei dolori, che ben conosce il patire»” (Is 53,3), che “ha presentato il dorso ai flagellatori, le guance a coloro che gli strappavano la barba, che non ha sottratto la faccia agli insulti e agli sputi” (Prima Lettura: Is 50,4-7), che “ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini…, e umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Fil 2,6-11).
Luca per questa sezione utilizza certamente Marco, ma introduce un taglio decisamente personale alla comprensione del mistero: egli infatti, come lo definì Dante Alighieri, è lo “scriba mansuetudinis Christi”, e scrive il “Vangelo della mansuetudine di Cristo”. Perciò omette ciò che può turbare l’ordinata successione del racconto; elimina le scene particolarmente dure o violente; sottolinea Gesù come Maestro ed Evangelizzatore anche nella Passione. E invita il lettore, cioè noi, ad assistere al dramma di Gesù non da lontano, come in Marco, ma a seguire l’esempio di Simone di Cirene, e a portare anche noi, vicino a lui, la sua croce; riconoscendoci tutti nella debolezza di Pietro e nella speranza del buon ladrone.
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