Papa Francesco: “attraversata la porta, c’è la festa”

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26 Aprile 2025

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Mentre si celebrano i funerali di papa Francesco, spazio + spadoni ricorda alcuni suoi pensieri sulla morte che aprono il cuore alla speranza

I funerali mettono sempre tristezza, e oggi il mondo intero piange un Papa.

La Chiesa, e non solo, gli si stringe attorno, orfana di un padre che ha sempre avuto parole di misericordia per gli ultimi, privata di un grande uomo di Dio che non ha mai smesso di ricordare l’urgenza della pace, che non ha mai fatto mancare le parole forti così come le carezze.

Di papa Francesco, ricorderemo sempre il suo sorriso misericordioso, quella capacità di essere una presenza tenera e autorevole allo stesso tempo, la dolcezza con cui sapeva far arrivare al cuore delle persone anche i messaggi più duri e difficili.

Ci ha saputo anche parlare della morte, a modo suo. Non ci ha indorato la pillola, ma ci ha aiutati a guardare oltre, verso quel mistero di resurrezione di cui lui stesso è testimone.

Quasi agli inizi del suo pontificato, in una catechesi del 17 giugno 2015, aveva pronunciato queste parole che, oggi, ancor di più fanno luce sul dolore e danno speranza:

“L’amore è più forte della morte. Per questo la strada è far crescere l’amore, renderlo più solido, e l’amore ci custodirà fino al giorno in cui ogni lacrima sarà asciugata, quando «non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno». Se ci lasciamo sostenere da questa fede, l’esperienza del lutto può generare una più forte solidarietà dei legami famigliari, una nuova apertura al dolore delle altre famiglie, una nuova fraternità con le famiglie che nascono e rinascono nella speranza”.

L’amore era, per lui, il centro di ogni cosa: ciò che dà senso, colore e calore alla vita, alla fede, alle relazioni, quelle che ha saputo tenere con tutti, a prescindere dal credo religioso, dalla provenienza geografica, dalle origini, dall’età.

Ai “vecchietti” presenti all’Udienza del 24 agosto 2022, a conclusione di un ciclo di catechesi sulla Vecchiaia”, aveva fatto questo discorso:

“Il Signore risorto è Colui che è andato prima, che è risorto prima di tutti, poi andremo noi: questo è il nostro destino: risorgere […] Ce lo dice l’esperienza dei discepoli, ai quali Egli appare per quaranta giorni dopo la sua risurrezione. Il Signore mostra le ferite che hanno sigillato il suo sacrificio; ma non sono più le brutture dell’avvilimento dolorosamente patito, ormai sono la prova indelebile del suo amore fedele sino alla fine. Gesù risorto con il suo corpo vive nell’intimità trinitaria di Dio! E in essa non perde la memoria, non abbandona la propria storia, non scioglie le relazioni in cui è vissuto sulla terra.
Ai suoi amici ha promesso: «Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (Gv 14,3). Lui se ne è andato per preparare il posto a tutti noi e dopo aver preparato un posto verrà. Non verrà solo alla fine per tutti, verrà ogni volta per ognuno di noi. Verrà a cercarci per portarci da Lui.
In questo senso la morte è un po’ il passo all’incontro con Gesù che mi sta aspettando per portarmi da Lui”.

La sua fede in Gesù Risorto diventa consapevolezza e consolazione, perciò invita chi è più in là con gli anni a fare un ulteriore passo di amore e misericordia, per essere “luce per gli altri”, per “dare frutto”, anche e nonostante la sofferenza.

“Nella nostra vecchiaia, care e cari coetanei, e parlo ai “vecchi” e alle “vecchiette”, nella nostra vecchiaia l’importanza di tanti “dettagli” di cui è fatta la vita – una carezza, un sorriso, un gesto, un lavoro apprezzato, una sorpresa inaspettata, un’allegria ospitale, un legame fedele – si rende più acuta. L’essenziale della vita, che in prossimità del nostro congedo teniamo più caro, ci appare definitivamente chiaro. Ecco: questa sapienza della vecchiaia è il luogo della nostra gestazione, che illumina la vita dei bambini, dei giovani, degli adulti, e dell’intera comunità. Noi “vecchi” dovremmo essere questo per gli altri: luce per gli altri. L’intera nostra vita appare come un seme che dovrà essere sotterrato perché nasca il suo fiore e il suo frutto. Nascerà, insieme con tutto il resto del mondo. Non senza doglie, non senza dolore, ma nascerà (cfr Gv 16,21-23). E la vita del corpo risorto sarà cento e mille volte più viva di come l’abbiamo assaggiata su questa terra (cfr Mc 10,28-31)”.

Papa Francesco, in questa e più occasioni, non ha ignorato la nostra umanità, la paura terrena, il senso di smarrimento che coglie alla fine della vita. Tuttavia, ci parla di una porta e di una festa che ci attende più in là:

“Cari fratelli e sorelle, specialmente voi anziani, il meglio della vita è ancora tutto da vedere; “Ma siamo vecchi, cosa dobbiamo vedere in più?” Il meglio, perché il meglio della vita è ancora tutto da vedere.
Speriamo questa pienezza di vita che ci aspetta tutti, quando il Signore ci chiamerà.
La Madre del Signore e Madre nostra, che ci ha preceduti in Paradiso, ci restituisca la trepidazione dell’attesa perché non è un’attesa anestetizzata, non è un’attesa annoiata, no, è un’attesa con trepidazione:
“Quando verrà il mio Signore? Quando potrò andare là?”
Un po’ di paura perché questo passaggio non so cosa significa e passare quella porta dà un po’ di paura ma c’è sempre la mano del Signore che ti porta avanti e attraversata la porta c’è la festa.
Siamo attenti, voi cari “vecchi” e care “vecchiette”, coetanei, siamo attenti,
Lui ci sta aspettando, soltanto un passaggio e poi la festa”.

Fino alla fine, papa Francesco è stato un esempio. E oggi, mentre la sua bara passa sotto i nostri occhi pieni di lacrime, noi ricordiamo quanto ci ha detto sulla morte e la resurrezione, così che il cuore possa sorridere e aprire la porta alla speranza e… alla festa!

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  • Immagine realizzata digitalmente da spazio + spadoni

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