Papa Francesco… Sette giorni dopo
Sono trascorsi solo sette giorni da quando papa Francesco ci ha lasciato. Era la mattina del lunedì in albis (in albis vestibus: in bianche vesti), l’inizio della settimana dopo la Pasqua
In quei giorni, per antica tradizione, i neofiti, coloro che avevano ricevuto il sacramento del battesimo la notte che ricorda la risurrezione di Cristo, portavano una tunica bianca.
È di nuovo lunedì. Un lunedì senza Papa.
Nel mondo dell’iper-comunicazione, questi pochi giorni sono stati un lungo e unico racconto dell’uomo-sacerdote-arcivescovo-pontefice che abbiamo visto (in molti per la prima volta) affacciarsi dalla loggia delle benedizioni di San Pietro nel 2013 salutando con un cordiale “Buonasera”. Quel semplice saluto ha immediatamente spazzato via i giorni dell’abbandono, ovvero quelle settimane trascorse a farci una ragione della decisione inaspettata di Benedetto XVI di allontanarsi volontariamente dal governo della Chiesa. Siamo fatti così, la novità prevale sempre sul passato, seppur recente.
Due giorni fa si sono tenute le solenni esequie del sommo pontefice, le più globali della storia, come le ha definite qualche commentatore. Sul sagrato della basilica di San Pietro, da un lato si estendeva una macchia scura; erano i potenti della terra accorsi a rendere omaggio a un protagonista della vita pubblica mondiale dell’ultimo decennio. Dall’altro, la cromia prevalente era il rosso nella variante della porpora cardinalizia; erano i cardinali accorsi per accompagnare il loro capo nel passaggio alla visione celeste.
Durante la sua omelia, il cardinale Giovan Battista Re ha ripercorso il pontificato di Bergoglio. Nella semplicità delle parole espresse, il decano del collegio cardinalizio ha elencato non i successi di Francesco, ma il suo impegno. Quell’impegno che da un lato non sempre è piaciuto ai potenti della terra, dall’altro non sempre è stato gradito dai principi della Chiesa.
Intanto era un lascito da tradurre ai posteri e Re lo ha fatto, mettendo in luce il filo conduttore di un intero pontificato, la misericordia.
Questi eventi, si sa, fanno prevalere il lato sentimentale, mai quello razionale, fanno venir fuori lacrime e condivisione del dolore. Eppure l’omelia è stata un’ancora di razionalità in un oceano di sentimenti.
Come accade per gli eventi e le personalità che segnano un’epoca, ciascuno ha raccontato il proprio Papa Francesco, tanto è stato l’impatto – non per forza positivo – e lo spendersi di quest’uomo anziano, ma mai domo.
Adesso, il modo peggiore per ricordare Bergoglio, sarebbe quello di curiosare tra i papabili, tra i 135 cardinali elettori, che decideranno il futuro governo della Chiesa. Sì, perché si tratta di un governo assoluto, è bene ribadirlo, un regnante soggetto solo alla propria cultura e personalità, oltre che alla propria interpretazione del Vangelo. Sarebbe un esercizio appassionante quanto ozioso e inutile mettersi a sfogliare identikit più o meno veritieri di uomini di Chiesa attempati e vestiti un modo strano: ecco l’estrema e cinica sintesi del modo in cui potrebbe apparire il collegio cardinalizio.
Da loro verrà il successore di Bergoglio, che si chiamerà Francesco II, che abiterà a Santa Marta, che sarà aperto o chiuso, che sarà progressista-conservatore-moderato, neanche egli stesso lo sa. Perché dal giorno dopo l’elezione, asciugate le lacrime frutto dell’emozione e della responsabilità, dovrà affrontare un passo alla volta il proprio calarsi nei panni del Vescovo di Roma, di questi tempi, non sempre un affare.
Dalla sua, però, avrà il tempo rimanente del Giubileo della speranza, i prossimi mesi dell’anno 2025, il vero lascito di Papa Francesco al proprio successore: tempo di grazia per farsi conoscere e apprezzare, instaurare un rapporto con i cristiani e con il mondo, senza scadere in volitive differenziazioni immediate dal predecessore o, peggio ancora, illusive immedesimazioni. C’è un tempo per tutto.
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