“Il Vangelo mi ha portato in Perù”
L’elezione di papa Leone XIV ha inevitabilmente fatto luce sul Perù. Proponiamo, quindi, un articolo di Popoli e Missione che ci porta lì
Intervista a don Ivan Manzoni, fidei donum della diocesi di Como, rientrato dal Perù nel 2022
A Carabayllo, nell’estrema periferia a nord di Lima, i tetti di lamiera sono en pendant con il cielo grigio del Perù. «È praticamente un deserto, dove non piove mai, sempre umido», spiega don Ivan Manzoni, fidei donum della diocesi di Como, rientrato a fine aprile 2022 dopo nove anni di missione.
È arido, il paesaggio di Carabayllo, e di verde non c’è nulla, se non la speranza. Quella della povera gente «che negli ultimi 30-40 anni si è riversata in città dalla foresta, alla vana ricerca di un futuro migliore».
Lima, oggi, conta 10 milioni di abitanti «ma non ce la fa a sostenere questo numero, non riesce a rispondere alle aspettative di chi cerca lavoro, più servizi, più diritti», continua il sacerdote, nato a Verceia (Sondrio) nel 1978.
È arrivato dalla Val Chiavenna nel 2013, prima nella parrocchia di “San Pedro” con don Roberto Seregni e poi, dal 2016, in quella di “Nuestra Señora de Fatima”; e la nebbia non gli ha impedito di vedere. «Il degrado, la criminalità, la povertà. E, ancora, quella sorta di case, fatte di legno o di terra, ammucchiate tra i cerros, dove la gente vive spesso senz’acqua e fognature».
Gli occhi allenati «fin da bambino, da un parroco aperto alla missione» gli consentono infatti di allargare lo sguardo. Non si limitano, quindi, ai dati sul lavoro nero («prima della pandemia, la percentuale era del 70%») né alle cronache sulla classe dirigente corrotta («a partire dal 1990, con il Presidente Fujimori, tutti i capi di Stato sono stati inquisiti»).
Gli occhi di don Ivan guardano oltre. Cercano tra le curve di esistenze difficili la schiena dritta della dignità. Scorgono «uomini e donne che si sanno inventare e che, con un carrettino, escono a vendere caramelle sui bus o a riparare marmitte sul bordo strada».
In un Paese ricchissimo di materie prime, «è la gente la risorsa più grande, con una straordinaria intelligenza nello studiare i modi per cavarsela e dei sacrifici non indifferenti».
Di fatto, però, il Perù è un territorio molto sfruttato «e tutto avviene senza alcun controllo, nella totale indifferenza verso l’aspetto ecologico e a scapito dei pastori e dei contadini a cui vengono sottratte le terre; in più, l’assenza di strade e di collegamenti penalizza fortemente il turismo e il livello dell’istruzione è molto basso».
È qui che si consuma la sfida della Chiesa, «nel cercare di accompagnare questo popolo, senza cadere nell’assistenzialismo». La diocesi di Como ha inviato i suoi primi missionari a Carabayllo nel 2011: «da allora, diverse sono state le proposte e le attività, a condizione che ognuno facesse la sua parte». Si sono attivate diverse pastorali; è nato un poliambulatorio con fisioterapia, logopedia e uno sportello psicologico che ha lavorato molto con i bambini abusati.
Una parrocchia, la sua, con 75.000 abitanti distribuiti tra 12 comunità, grazie alle quali don Ivan sente «di essere cresciuto, come prete e come persona». La corresponsabilità, il coinvolgimento dei laici gli hanno lasciato la capacità di fidarsi. «Noi non siamo dei factotum, non dobbiamo essere dappertutto», dice il fidei donum, «e possiamo accettare l’idea che le cose possano essere fatte diversamente».
Ma è presto per osare a pochi mesi dal rientro, tanto più che è in attesa di una destinazione. «Dopo 9 anni, ho trovato grossi cambiamenti in Italia», ammette un po’ spaesato.
Ciò che gli resta, oltre alla nostalgia per chi gli ha voluto bene e lo ha accolto in una terra straniera, è la certezza che questa attenzione a 360 gradi debba essere di tutti, sia per chi non parte sia per chi con difficoltà ritorna.
«Dio ti precede sempre. L’esperienza più forte di fede e di umanità l’ho fatta in un carcere di sicurezza, di cui ero cappellano. 2500 detenuti, spesso ragazzi, con accuse gravissime, mi hanno fatto scoprire la misericordia di Dio. Mi ha toccato vedere degli ex sicari e trafficanti che ci aspettavano e si preparavano studiando la Bibbia; nei 10 padiglioni, avevano anche creato delle piccole comunità di base».
Alla fine, cita san Paolo e la prima lettera ai Corinzi (9, 16-27): mi sono fatto tutto per tutti. «è questa la missione: il Vangelo ti prende e non puoi fare a meno di correre per annunciarlo».
Nei ricordi di quella fede semplice, la nebbia fitta di Carabayllo scompare. Tutto, ora, per il giovane fidei donum, sembra più chiaro. «Non sono io che ho portato il Vangelo, ma è il Vangelo che ha portato me».
(Loredana Brigante, Popoli e Missione, novembre 2022, p. 44-45)
Fonte
- Popoli e Missione (novembre 2022)
Immagine
- Foto di don Daniele Varoli