Credere oggi: un viaggio possibile | Luigi Spadoni intervista Carlo Miglietta
In un tempo in cui credere sembra sempre più difficile, le parole di Carlo Miglietta ci ricordano che la fede è un cammino da vivere con coraggio e passione, non un’eredità da custodire con timore
Carlo Miglietta è biblista, medico, autore di numerosi testi di approfondimento spirituale e teologico. Da sempre impegnato nella formazione e nell’annuncio, ha recentemente pubblicato un nuovo libro dal titolo provocatorio e diretto: “Perché credere, cosa credere, come credere. I fondamenti della Fede” (Editrice Gribaudi).
Un’opera che si rivolge tanto a chi ha già una fede solida quanto a chi si sente in ricerca, offrendo uno sguardo limpido e appassionato sulla bellezza della fede cristiana.
Luigi Spadoni – fondatore di spazio + spadoni e amico di lunga data dell’autore – lo ha incontrato per una chiacchierata a cuore aperto.
L’intervista
1. Carlo, partiamo dal titolo: “Perché credere, cosa credere, come credere”. Tre domande enormi, ma anche molto concrete. Quando hai sentito che era il momento giusto per scriverci un libro sopra?
Ho sempre pensato, fin da ragazzo, che la cosa più importante della vita fosse affrontare il problema della Fede. Se fosse vera o no l’esistenza di Dio, perché la risposta in un senso o nell’altro avrebbe radicalmente cambiato la mia vita.
Penso sia quanto mai urgente, in una società secolarizzata, che sembra indifferente quando non ostile al pensiero religioso, delineare con chiarezza un cammino alla Fede, che ponga le basi razionali al nostro credere, in modo che ciò coinvolga profondamente la nostra esistenza, e al contempo ci renda capaci di “essere pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in noi” (1 Pt 3,15).
Sento quest’esigenza soprattutto ora che sono anziano e che colgo l’urgenza di trasmettere il mio cammino di Fede ai carissimi figli e nipoti, e a tante altre persone che la vita mi ha posto dinnanzi.
È vero: siamo in un momento storico di crisi del pensiero. Non dedichiamo più tempo a interrogarci sulle grandi questioni della vita: “Chi sono? Da dove vengo? Dove vado?”. Ma queste domande restano sopite nel cuore di ciascuno, e se non trovano risposta la nostra vita finisce di non avere un senso, e di essere abitata dalla paura e talvolta dalla disperazione.
2. Tu parli a credenti, cercatori, dubbiosi… ma chi avevi davvero in mente mentre scrivevi? C’è un volto, una storia, una generazione a cui ti rivolgi in modo particolare?
Papa Francesco scriveva nella prima Enciclica del suo pontificato, la “Lumen fidei”: “L’uomo ha bisogno di conoscenza, ha bisogno di verità, perché senza di essa non si sostiene, non va avanti. La fede, senza verità, non salva, non rende sicuri i nostri passi. Resta una bella fiaba, la proiezione dei nostri desideri di felicità, qualcosa che ci accontenta solo nella misura in cui vogliamo illuderci. Oppure si riduce a un bel sentimento, che consola e riscalda, ma resta soggetto al mutarsi del nostro animo, alla variabilità dei tempi, incapace di sorreggere un cammino costante nella vita”.
Oggi va molto di moda nell’Evangelizzazione, soprattutto dei cosiddetti “lontani”, e nella Pastorale Giovanile, di parlare del vero volto di Dio, presentare la sua infinita bellezza e il suo immenso amore, la sua misericordia e la sua tenerezza.
Ascoltiamo questo annuncio con gioia, con senso di liberazione. Ce n’è veramente bisogno. Ed è una vita che scrivo e tengo Corsi biblici su queste tematiche. Ma forse talora siamo poi tiepidi nella vita cristiana per un semplice fatto: perché non siamo convinti che Dio esista e che ci abbia parlato in quell’oscuro falegname di Nazaret, Gesù.
Anche della Fata Turchina di Pinocchio diciamo che era bella, simpatica, generosa. Ma tutti poi sappiamo che non è esistita, e non cambiamo quindi la nostra vita a causa sua.
E infatti, dopo gli iniziali entusiasmi, può giustamente sorgere il dubbio: ma perché Gesù deve essere il senso della mia vita? Che prove ne ho? Ho solo la bellezza del suo messaggio? E perché non devo cercare la pienezza della mia vita in Maometto, o in Budda, o in Gandhi, o in questo o quel Maestro di spiritualità?
Il momento dell’emozione può cedere il passo a quello della paura di aver seguito una strada sbagliata o senza sufficiente fondamento.
3. La tua formazione è davvero particolare: sei medico e biblista. Come convivono, nella tua vita, il rigore della scienza e il fuoco della Parola, lo scoglio della malattia e l’onda della misericordia?
Ho iniziato a scrivere questo testo due anni fa nel giorno della Festa di San Luca (18 ottobre), che sento a me particolarmente vicino perché come me era Medico (Col 4,14) e Biblista, uomo di Scienza e della Parola di Dio (ha scritto addirittura un Vangelo e gli Atti degli Apostoli…), che nel prologo del suo Vangelo afferma: “Ho deciso anch’io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo, perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto” (Lc 1,3-4).
Scriveva Giovanni Paolo II nella “Catechesi tradendae”: “Io insisto sulla necessità di un insegnamento cristiano organico e sistematico, perché da diverse parti si tende a minimizzarne l’importanza… È altrettanto vano sostenere l’abbandono di uno studio serio e sistematico del messaggio di Cristo in nome di un metodo che privilegia l’esperienza vitale. Nessuno può raggiungere la verità integrale con una semplice esperienza privata… Noi abbiamo bisogno di una catechesi che insegni ai giovani ed agli adulti delle nostre comunità ad essere lucidi e coerenti nella loro fede, ad affermare con serenità la loro identità cristiana e cattolica, a «vedere l’invisibile» e ad aderire così fortemente all’assoluto di Dio, da poterlo testimoniare entro una civiltà materialista, che lo nega”.
4. In tanti oggi si sentono dire che “credere non ha più senso”. Tu invece rilanci, e con forza. Che cosa rende ancora così urgente e così bella la scelta di credere?
Siamo in un momento di grande confusione, in una società che sembra senza valori e stimoli, intristiti dal male che vediamo attorno a noi e che pare invincibile. Siamo in un tempo in cui aumentano l’ansia, la depressione, i suicidi, o in cui ci si butta in ogni sorta di piaceri effimeri, che però alla fine ci lasciano delusi, amareggiati e storditi.
Ma solo Gesù è la realizzazione dell’uomo. Egli, con il suo sublime messaggio, riempie i nostri cuori di soddisfazione, e dà alla nostra esistenza il senso del vivere e anche del morire.
5. Quando ci chiediamo “cosa credere”, spesso ci sentiamo smarriti tra dottrine, tradizioni, opinioni… Come possiamo ritrovare il cuore della fede, senza perderci nei dettagli?
Come afferma Alberto Maggi, “ancora oggi, a duemila e più anni dal messaggio di Gesù, l’immagine che molti cristiani e anche non cristiani hanno di Dio, è un misto del Padre di Gesù, è un misto del dio degli ebrei e soprattutto un bel miscuglio di divinità pagane. Tutto frullato in quell’unica cosa che noi chiamiamo Dio”.
Prima di accogliere la novità e la bellezza del Vangelo, cioè della “gioiosa” notizia rivelata da Gesù Cristo, dobbiamo rottamare le tante false immagini di Dio che albergano in noi. Alcune ci derivano da una lettura essenzialmente fondamentalista dell’Antico Testamento, che non tiene conto che la rivelazione di Dio è progressiva, si è fatta strada faticosamente nella storia di Israele, e che ha trovato la sua esegesi ultima, la sua pienezza, la sua realizzazione, solo in Gesù.
Così tante volte l’idea di Dio radicata in noi è piuttosto quella che abbiamo ereditato dal paganesimo, di un Dio Padrone, che esige sacrifici, geloso degli uomini, loro controllore, meritocratico, che deve intervenire sempre con la sua potenza, o che abbiamo tratto da speculazioni filosofiche, un Dio lontano, “motore immobile”, causa del male, Giudice inflessibile, e non la meravigliosa novità propostaci da Gesù Cristo, di un Dio che è solo Amore, Tenerezza, Misericordia.
6. E “come credere”? Perché non basta dire “sì, io credo”: tu ci porti a fare un passo in più, verso una fede vissuta e non solo pensata. Ma come si fa davvero? Da dove si comincia?
Come credere: il Dio di Gesù Cristo, che si rivela come Amore e come Tenerezza infinita, vuole essere riamato negli uomini, nei fratelli. La prima dimensione della vita cristiana sarà quindi l’amore per gli altri, fino a dare la vita per loro, nel servizio e nella dedizione soprattutto ai più poveri, agli emarginati, agli esclusi. È questo il modo con cui Dio vuole che si corrisponda al suo amore. Ed è anche il modo per sperimentare concretamente l’Amore di Dio, e accrescere continuamente la Fede. La seconda dimensione è quella della gioia. Una vita cristiana che non sia letizia e serenità anche nei momenti di prova e di sofferenza, è una vita che non è stata ancora totalmente abitata dall’Amore e dalla letizia di Dio. I cristiani devono continuamente esercitarsi a lottare contro lo spirito di tristezza per testimoniare al mondo lo splendore e la felicità di Dio.
7. In spazio + spadoni insistiamo molto sul legame tra fede e opere di misericordia. Nel tuo libro, c’è lo stesso respiro. Per te, una fede che non diventa concretezza… è ancora fede?
Il Dio di Gesù Cristo è il Dio che ci ama di amore infinito. E come ogni amante, vuole essere riamato. Ma non ci chiede tanto dichiarazioni d’amore per lui, che certamente gli fanno molto piacere, ma vuole che lo amiamo concretamente negli altri uomini e in tutte le creature. Scriveva Papa Francesco nella “Dilexit nos”: “Dobbiamo tornare alla Parola di Dio per riconoscere che la migliore risposta all’amore del suo Cuore è l’amore per i fratelli; non c’è gesto più grande che possiamo offrirgli per ricambiare amore per amore. La Parola di Dio lo dice con totale chiarezza”. La Fede deve diventare Carità, servizio, condivisione della vita dei poveri, dei sofferenti, degli scartati.
8. Da anni ti dedichi alla catechesi, alla formazione, all’annuncio. Ma oggi, secondo te, come si può trasmettere la fede senza risultare noiosi o moralisti?
La gioia del cristiano è anche allegria, umorismo. “Tristezza e malinconia fuori di casa mia”, diceva Teresa d’Avila.
Filippo Neri, per il suo carattere burlone, fu anche chiamato il “Santo della gioia” o il “Giullare di Dio”, sempre pronto a coniugare la sua alta spiritualità con battute, scherzi, lazzi: e soleva dire anche lui: “Scrupoli e malinconie, fuori da casa mia”. Don Bosco, che fondò nel suo Oratorio la “Società dell’allegria”, affermava: “La gioia è la più bella creatura uscita dalle mani di Dio dopo l’amore… Voglio che tutti servano volentieri il Signore con santa allegria, anche in mezzo alle difficoltà… Il diavolo ha paura della gente allegra!”. E il suo allievo Domenico Savio: “In questo facciamo consistere la santità: nello stare molto allegri!”. E così Giuseppe Allamano, cresciuto anche lui alla scuola di don Bosco, soleva dire: “Nessun broncio! Sempre gioia voglio, sempre facce allegre. L’allegria è una bella virtù”. Piergiorgio Frassati scrive alla sorella: “Finché la fede mi darà forza, sempre allegro. La tristezza è una malattia quasi sempre prodotta dall’ateismo”.
Essere tristi, umanamente tristi, è un grande torto che si fa a Dio, quasi che egli non sia capace di rendere felici coloro che lo amano. È la gioia dei credenti, infatti, che narra al mondo la gloria di Dio! Questo, infatti, chiedono gli uomini: “Mostri il Signore la sua gloria: e voi credenti fateci vedere la vostra gioia!” (cfr Is 66,5).
9. Hai un amore profondo per la Bibbia, che si percepisce in ogni pagina. Se ti chiedessi un passo, uno solo, che ti porti sempre dietro nel cuore… quale sarebbe?
La Parola di Dio ci conquista ed appassiona. Il cristiano che la medita diventa sempre l’uomo afferrato dalla Parola, invaso, posseduto da essa: Geremia parla addirittura di seduzione; la Parola diventa in lui un fuoco ardente, che brucia nelle ossa, incontenibile: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso… Mi dicevo: «Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!». Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo” (Ger 20,7.9).
10. E per finire, se avessi davanti i lettori di Mission – molti dei quali impegnati, in cammino, a volte anche stanchi – quale messaggio vorresti lasciare loro con questo libro?
Lo dico con le parole di Paolo: “Rallegratevi nel Signore sempre, ve lo ripeto ancora, rallegratevi…! Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla” (Fil 4,4-6).
Conclusione
“Perché credere, cosa credere, come credere” è più di un libro: è un invito a mettersi in viaggio, a riscoprire la bellezza di una fede ragionata, incarnata, contagiosa.
Un’occasione per tornare a porci le domande giuste e, magari, per lasciarci sorprendere da risposte nuove.
Saluto finale
Luigi: Carlo, grazie di cuore per questa chiacchierata. Come sempre, parlare con te è come fare una passeggiata nel Vangelo con gli occhi bene aperti sulla realtà.