La Parabola della rete: chiamati a misericordiare e a chiedere misericordia, non a giudicare

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21 Giugno 2025

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Dal libro “Mashàl. Le parabole: profumo di misericordia” di Palmarita Guida, la parabola della rete. Il riassunto e il testo integrale

Nel Vangelo di Matteo, la parabola della rete gettata in mare ci offre una delle immagini più concrete e suggestive del Regno dei cieli. Gesù paragona il Regno a una grande rete che raccoglie ogni genere di pesci, buoni e cattivi, separati solo alla fine, quando la rete viene tirata a riva. Questa scena di pesca, ambientata sul lago di Tiberiade, parla direttamente alla vita quotidiana di quei pescatori, ma il suo messaggio va molto oltre.

Il significato della parabola

La rete rappresenta la comunità cristiana e l’annuncio del Vangelo, che abbraccia tutti: santi e peccatori, sinceri e ipocriti, giusti e ingiusti. Ma il giudizio – il momento in cui si distinguono i pesci buoni da quelli cattivi – non è compito nostro. È prerogativa degli angeli, cioè di Dio stesso. Come nella parabola della zizzania, anche qui emerge una verità fondamentale: non spetta all’uomo giudicare e separare.

Il bene e il male non si possono riconoscere subito, soprattutto se si trovano mescolati nel cuore umano. L’apparenza spesso inganna: ciò che sembra buono può non esserlo, e viceversa. Siamo tutti “nella rete”, nessuno escluso, e siamo chiamati a vivere con gli altri, accogliendo la diversità, anche quella che ci provoca o ci destabilizza.

Il momento della separazione

Solo alla fine della storia – quando la rete è piena – avviene la vera selezione. È un’immagine potente del giudizio finale, ma anche della realizzazione del progetto di Dio. Non è la quantità a contare, ma la qualità: cosa resta, cosa è stato fruttuoso, cosa ha avuto valore. I “pesci cattivi” rappresentano ciò che è inutile, che non ha portato frutto, che non ha contribuito al bene comune. Vengono gettati via, nella “fornace ardente”, espressione che indica la frustrazione, la perdita, il rimpianto per non aver colto l’occasione della vita.

La responsabilità personale

Questa parabola non è una minaccia, ma un appello alla responsabilità: non giudicare, ma vivi bene. Non fare la cernita degli altri, ma impegnati a essere “pesce buono”. L’annuncio della Parola – simboleggiato dalla rete gettata – è compito di tutti i battezzati. Siamo pescatori, non giudici.

Il discepolo-scriba

Gesù conclude con una riflessione sul vero discepolo: chi diventa discepolo del Regno è come un padrone di casa che sa unire il nuovo con l’antico, il passato con il presente. La fede non cancella la tradizione, ma la compie. Un vero discepolo sa trarre dal suo tesoro sia la memoria (l’Antico Testamento, le radici) sia la novità (la venuta del Regno, la Parola incarnata).

Conclusione

La parabola della rete è un richiamo forte e attuale: viviamo in una rete che ci raccoglie tutti, senza distinzioni immediate. Il compito di ciascuno non è giudicare gli altri, ma lasciarsi trasformare dalla Parola, impegnarsi nella vita, puntare al tesoro vero che è Cristo. La separazione finale non spetta a noi, ma nel frattempo siamo chiamati a essere strumenti di bene, portatori di misericordia, e testimoni di una speranza che salva.

“Avete capito tutte queste cose?”
Questa domanda di Gesù non è retorica, ma esistenziale: abbiamo capito che fede significa vivere con responsabilità, nella grazia, nel perdono, nella giustizia? Se la risposta è sì, allora siamo davvero discepoli del Regno.

LEGGI IL TESTO INTEGRALE

Fonte

  • Guida Palmarita, Mashàl. Le parabole: profumo di misericordia, Gribaudi editore

Immagine

  • Immagine creata digitalmente da spazio + spadoni

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