Imparare la speranza: principio etico o necessità?

Il Direttore Responsabile e la Direttrice Editoriale, in un articolo di “Laborcare Journal”, parlano di speranza
di Gianluca Favero e Mariella Orsi
Il Tema della Speranza lo ritroviamo, in questo 2025, in molti ambiti: anche Papa Francesco ha dedicato a questo valore il Giubileo. “La Speranza contro ogni Speranza” (San Paolo). Desideriamo dare particolare rilievo, in questo Editoriale, alle parole espresse dai vari Autori che hanno arricchito questo numero 44. Sin da ora ci preme ringraziare tutte e tutti coloro che, con i loro articoli hanno nutrito questo numero 44.
Come scrive Arianna Cozzolino nel Suo articolo: “Speranza, Verità e Rispetto” … “Accostare i termini “malato terminale” e “Speranza” sembra ad alcuni suonare come un ossimoro, ma la presa in carico di malati affetti da patologie cronico-evolutive ad andamento infausto non può prescindere dal domandarsi che rapporto ci sia tra un processo di comunicazione e consapevolizzazione del malato ( se lo desidera) sulla sua malattia e il rispetto della sua persona e delle sue volontà. (…) la Speranza non può essere utilizzata come una lente monodimensionale, affermata come schermo a protezione dalla realtà ma, in vero, piegata all’ incapacità di trovare le parole per parlare di malattia e morte. Esiste un tema etico che scorre attraverso questi aspetti, a partire dal consenso informato, chiaramente delineato nella legge 219/17 assieme a quello della Pianificazione Condivisa delle Cure e delle Disposizioni Anticipate di trattamento”.
In un’intervista il Prof. Eugenio Borgna alla domanda: “Che cosa è la Speranza” la definì citando frasi che andavano da Sant’Agostino (“memoria del futuro”), passando dal filosofo danese Soren Kierkegaard (“è la passione del possibile” per arrivare a Giacomo Leopardi con una definizione decisamente cupa: “la speranza nasce dalla disperazione stessa”.
Il nostro desiderio sarebbe quello di caratterizzare questo Editoriale con una sorta di scambio di riflessioni sul tema della Speranza per affermare, come diceva il Prof. Borgna: “ … Non si può vivere senza speranza. Se questa muore, muore anche ogni possibilità di realizzare qualcosa nella nostra vita. La speranza è intesa dalle neuroscienze come una medicina: agisce su di noi così come fanno gli psicofarmaci. Mai rifiutare la Speranza …”.
In effetti buona parte degli articoli evidenziano questa consapevolezza che si ritrova sia nelle fasi di cura più critiche, che in attesa dei momenti che accompagnano la fine della vita.
Guglielmo Conzales pone in evidenza che: “In Terapia Intensiva, dove l’evoluzione clinica è spesso incerta e i risultati difficili da prevedere, la Speranza diventa una risorsa fondamentale per affrontare la sofferenza e l’angoscia. Questi sentimenti negativi sono oggi ancora più frequenti, in considerazione del fatto che molti pazienti sottoposti a procedure invasive sono trattati con regimi di sedazione che, mirando a favorire una maggiore collaborazione attiva del paziente, comportano una minore profondità della sedazione stessa e quindi una maggiore consapevolezza di se’…”.
La Speranza potrebbe, quindi, essere considerata un sentimento che migliora la cosiddetta Umanizzazione delle Cure (imperativo Etico) grazie al dialogo, quando e se possibile, non solo con la persona assistita, ma, anche, coinvolgendo i parenti stessi proprio come ci ricorda Consales: “L’umanizzazione delle cure non è solo un concetto astratto …”
La relazione di cura se non sostenuta dalla Speranza incrementa la solitudine dei curati, e contravviene ad un principio etico che è quello di stare nella relazione mentre si continua ad assistere ad atteggiamenti paternalistici per non ascoltare pazienti.
La Speranza, secondo le parole del Prof. Borgna:” .. si può manifestare in due modi diversi: come perdita della Speranza; oppure come compagna di strada, che ci fa riflettere e ci porta a considerare il significato della vita, della preghiera (per chi crede) … Se si ha fede si resiste e si può essere portatori di una Speranza che non muore, ma che continua a illuminare anche il cammino oscuro che viviamo tutti…”.
Concludiamo con l’affermazione di Guido Miccinesi: “La Speranza nella malattia grave è, a mio parere, principalmente questa: riuscire ad essere vivi sino alla fine. Gustare ogni sollievo del corpo, anche quelli offerti dalla medicina con le sue reti e strutture di assistenza, con i suoi presidi e le sue medicine che pur avremmo desiderato non conoscere mai; lasciarsi abbracciare da ogni consolazione e da ogni ascolto profondo senza giudizio ( …) mettere il cuore in ogni nuova libertà di parola e di azione, o anche di senso, che la malattia rende possibile, come attraverso la scelta consapevole sulle cure cui sottoporsi; raccontare, quando è il caso, il senso nascosto della propria vita a chi ci è caro per lasciare un segno meno distorto dal caos di una vita sospinta spesso al di là dei propri limiti e delle proprie responsabilità dalle pressioni sociali …”.
“Vivere, giorno dopo giorno, con nuova intensità. Essere vivi sino alla fine. È la Speranza più vera e più nobile che ho visto realizzarsi in tanti, ma non in tutti. Una Speranza alternativa non c’è: quella promessa dal diniego della malattia, dall’immobilizzazione sul solo problema della sopravvivenza, dall’evitamento del pensiero di quanto inevitabilmente accaduto non dà gioia, non mi è mai parsa vera Speranza ma solo difesa legittima e transitoria in attesa di un sostegno, di una via di uscita, di un’apertura verso una nuova intensità della vita”.
-
E’ possibile consultare il numero completo della rivista sul sito www.laborcare.it
Fonte
- Laborcare Journal (Editoriale n. 44)
Immagine
- Creata digitalmente da spazio + spadoni
Il Direttore Responsabile e la Direttrice Editoriale, in un articolo di “Laborcare Journal”, parlano di speranza
di Gianluca Favero e Mariella Orsi
Il Tema della Speranza lo ritroviamo, in questo 2025, in molti ambiti: anche Papa Francesco ha dedicato a questo valore il Giubileo. “La Speranza contro ogni Speranza” (San Paolo). Desideriamo dare particolare rilievo, in questo Editoriale, alle parole espresse dai vari Autori che hanno arricchito questo numero 44. Sin da ora ci preme ringraziare tutte e tutti coloro che, con i loro articoli hanno nutrito questo numero 44.
Come scrive Arianna Cozzolino nel Suo articolo: “Speranza, Verità e Rispetto” … “Accostare i termini “malato terminale” e “Speranza” sembra ad alcuni suonare come un ossimoro, ma la presa in carico di malati affetti da patologie cronico-evolutive ad andamento infausto non può prescindere dal domandarsi che rapporto ci sia tra un processo di comunicazione e consapevolizzazione del malato ( se lo desidera) sulla sua malattia e il rispetto della sua persona e delle sue volontà. (…) la Speranza non può essere utilizzata come una lente monodimensionale, affermata come schermo a protezione dalla realtà ma, in vero, piegata all’ incapacità di trovare le parole per parlare di malattia e morte. Esiste un tema etico che scorre attraverso questi aspetti, a partire dal consenso informato, chiaramente delineato nella legge 219/17 assieme a quello della Pianificazione Condivisa delle Cure e delle Disposizioni Anticipate di trattamento”.
In un’intervista il Prof. Eugenio Borgna alla domanda: “Che cosa è la Speranza” la definì citando frasi che andavano da Sant’Agostino (“memoria del futuro”), passando dal filosofo danese Soren Kierkegaard (“è la passione del possibile” per arrivare a Giacomo Leopardi con una definizione decisamente cupa: “la speranza nasce dalla disperazione stessa”.
Il nostro desiderio sarebbe quello di caratterizzare questo Editoriale con una sorta di scambio di riflessioni sul tema della Speranza per affermare, come diceva il Prof. Borgna: “ … Non si può vivere senza speranza. Se questa muore, muore anche ogni possibilità di realizzare qualcosa nella nostra vita. La speranza è intesa dalle neuroscienze come una medicina: agisce su di noi così come fanno gli psicofarmaci. Mai rifiutare la Speranza …”.
In effetti buona parte degli articoli evidenziano questa consapevolezza che si ritrova sia nelle fasi di cura più critiche, che in attesa dei momenti che accompagnano la fine della vita.
Guglielmo Conzales pone in evidenza che: “In Terapia Intensiva, dove l’evoluzione clinica è spesso incerta e i risultati difficili da prevedere, la Speranza diventa una risorsa fondamentale per affrontare la sofferenza e l’angoscia. Questi sentimenti negativi sono oggi ancora più frequenti, in considerazione del fatto che molti pazienti sottoposti a procedure invasive sono trattati con regimi di sedazione che, mirando a favorire una maggiore collaborazione attiva del paziente, comportano una minore profondità della sedazione stessa e quindi una maggiore consapevolezza di se’…”.
La Speranza potrebbe, quindi, essere considerata un sentimento che migliora la cosiddetta Umanizzazione delle Cure (imperativo Etico) grazie al dialogo, quando e se possibile, non solo con la persona assistita, ma, anche, coinvolgendo i parenti stessi proprio come ci ricorda Consales: “L’umanizzazione delle cure non è solo un concetto astratto …”
La relazione di cura se non sostenuta dalla Speranza incrementa la solitudine dei curati, e contravviene ad un principio etico che è quello di stare nella relazione mentre si continua ad assistere ad atteggiamenti paternalistici per non ascoltare pazienti.
La Speranza, secondo le parole del Prof. Borgna:” .. si può manifestare in due modi diversi: come perdita della Speranza; oppure come compagna di strada, che ci fa riflettere e ci porta a considerare il significato della vita, della preghiera (per chi crede) … Se si ha fede si resiste e si può essere portatori di una Speranza che non muore, ma che continua a illuminare anche il cammino oscuro che viviamo tutti…”.
Concludiamo con l’affermazione di Guido Miccinesi: “La Speranza nella malattia grave è, a mio parere, principalmente questa: riuscire ad essere vivi sino alla fine. Gustare ogni sollievo del corpo, anche quelli offerti dalla medicina con le sue reti e strutture di assistenza, con i suoi presidi e le sue medicine che pur avremmo desiderato non conoscere mai; lasciarsi abbracciare da ogni consolazione e da ogni ascolto profondo senza giudizio ( …) mettere il cuore in ogni nuova libertà di parola e di azione, o anche di senso, che la malattia rende possibile, come attraverso la scelta consapevole sulle cure cui sottoporsi; raccontare, quando è il caso, il senso nascosto della propria vita a chi ci è caro per lasciare un segno meno distorto dal caos di una vita sospinta spesso al di là dei propri limiti e delle proprie responsabilità dalle pressioni sociali …”.
“Vivere, giorno dopo giorno, con nuova intensità. Essere vivi sino alla fine. È la Speranza più vera e più nobile che ho visto realizzarsi in tanti, ma non in tutti. Una Speranza alternativa non c’è: quella promessa dal diniego della malattia, dall’immobilizzazione sul solo problema della sopravvivenza, dall’evitamento del pensiero di quanto inevitabilmente accaduto non dà gioia, non mi è mai parsa vera Speranza ma solo difesa legittima e transitoria in attesa di un sostegno, di una via di uscita, di un’apertura verso una nuova intensità della vita”.
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E’ possibile consultare il numero completo della rivista sul sito www.laborcare.it
Fonte
- Laborcare Journal (Editoriale n. 44)
Immagine
- Creata digitalmente da spazio + spadoni
