Vita e fede di una missionaria

il: 

17 Agosto 2025

di: 

Maria Antonietta Papa
Maria Antonietta Papa

Foto di spazio + spadoni

Su “Popoli e Missione”, la testimonianza di suor Antonietta Papa che, oggi, in una comunità inter-congregazionale a Lampedusa, porta avanti un progetto dell’UISG

(a cura di Chiara Pellicci)

Sono partita per la missione con un forte desiderio di servire il prossimo e di portare la luce del Vangelo e con esso la dignità e la libertà della persona in luoghi dove molti non avevano mai sentito parlare di Cristo.

Incontro con il Cardinale Dieudonné Nzapalainga, C.S. Sp., Arcivescovo Metropolita di Bangui (Repubblica Centrafricana)

Incontro con il Cardinale Dieudonné Nzapalainga, C.S. Sp., Arcivescovo Metropolita di Bangui (Repubblica Centrafricana)

Avevamo – come Figlie di Maria Missionarie, congregazione alla quale appartengo – appena aperto una missione in Amazzonia, avendo riscoperto il nostro carisma ad gentes. Ho affrontato varie sfide che davvero non avevo previsto: la lingua che non conoscevo bene, le culture diverse dalle mie. Avevo imparato la semplicità nell’insegnare ai ragazzi nelle nostre scuole a Roma e il senso di giustizia e solidarietà nella parrocchia della Trasfigurazione: mi sono state molto utili, perché sono virtù fondamentali per il servizio missionario.

Mai avrei pensato, come suora, di amministrare due parrocchie territorialmente enormi: Pimenta Bueno, più estesa della Liguria, e Espigao do Oeste, più vasta del Molise. Le due parrocchie erano rimaste senza sacerdoti e nell’attesa il vescovo di JiParanà, dom Antonio Possamai, affidò alla nostra comunità, composta di tre sorelle, l’amministrazione e la cura pastorale delle due parrocchie.

Il Brasile stava vivendo un periodo di trasformazione politica e sociale, che ha influenzato profondamente anche la sfera religiosa. La Chiesa era chiamata ad impegnarsi attivamente e più direttamente nella lotta contro l’ingiustizia sociale e la povertà, a volte anche nelle questioni sociali e politiche, sostenendo movimenti contadini, sindacati e comunità di base.

Essere solidali con i poveri, annunciando il Vangelo e denunciando l’oppressione politica ed economica, promuovendo i diritti umani, era l’obiettivo di ogni laico, di ogni agente di pastorale, prete o suora impegnato nei movimenti. È stato un periodo dove i conflitti della terra, la migrazione forzata, la violenza sui contadini e gli indios era all’ordine del giorno. In quegli anni uccisero padre Ezechiele Ramin, suor Adelaide Molinari, padre Josimo Tavares e tanti altri. Questo accadde soprattutto nelle aree rurali, dove c’erano conflitti legati alla terra, alla giustizia sociale e ai diritti delle popolazioni indigene e contadine.

I missionari erano spesso visti come una minaccia dalle élite locali, dai pro contro i missionari e gli agenti pastorali dei diritti umani continuò anche negli anni successivi, segno delle profonde disuguaglianze e ingiustizie sociali che caratterizzavano (e in parte ancora caratterizzano) il Brasile.

Certamente il nostro compito era diventato, malgrado la nostra piccolezza, di importante rilievo: non era solo insegnare, ma entrare, conoscere le vicende umane, la sofferenza, la gioia, la vita, e a partire da lì annunciare la vera libertà e verità in Cristo, indicare la Via. Ciò comportava chiaramente denunciare tutto ciò che si oppone a Cristo e al suo Vangelo. Ma soprattutto eravamo chiamate, ieri come oggi, ad amare, ascoltare e servire con umiltà.

La mia fede è cresciuta durante questo periodo.

Tradurre il Vangelo in azione concrete, leggere con gli occhi della gente semplice le parabole…

Ho imparato a fidarmi di Dio in ogni passo, sapendo che, anche nei momenti di difficoltà, Lui era con me, anche se in realtà non sembrava.

Il Magnificat pregato ad ogni vespro è la preghiera più rivoluzionaria che mi affascina e speravo nel versetto “ha innalzato gli umili”, sapendo che gli umili hanno il cuore di Dio e vedono con i suoi occhi.

Ogni preghiera con loro, ogni gesto di gentilezza, di tenerezza e ogni piccola vittoria sono state un segno della Sua presenza e guida, l’essere testimoni viventi dell’amore di Cristo.

Ho conosciuto altre terre, altri popoli, ma questo periodo vissuto in Brasile mi ha insegnato moltissimo. Con altri occhi guardo ora la realtà.

Essere missionaria non significa solo viaggiare in terre lontane, ma vivere ogni giorno come testimone del Suo amore e della Sua grazia. Essere questo volto umano di Dio Padre/Madre è quello che sono chiamata ad essere oggi a Lampedusa, dove insieme ad una comunità inter-congregazionale portiamo avanti il progetto iniziato dall’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) nel 2015, ovvero accogliere i migranti che sbarcano a molo. Collaboriamo con la Croce Rossa, con le forze dell’ordine, con i medici e i ragazzi di Mediterranean Hope, un progetto dell’unione delle Chiese valdesi.

Siamo sul molo per portare un segnale di umanità e tutta l’accoglienza ai nostri fratelli e sorelle migranti che arrivano da ogni dove, spinti dalle guerre, dalla siccità, dall’illusione che in Europa viviamo di benessere. Oggi viviamo l’incapacità di sostenere la pesantezza del quotidiano e di affrontare le sfide che la vita ci propone. Per questo la missionaria è chiamata ad essere esperta in umanità, a vivere profondamente, a conoscere le sfaccettature dell’animo, ad essere perennemente innamorata, ad amare.

Fonte

  • Popoli e Missione 1/2025, pp. 46-47

Immagine

  • Foto di spazio + spadoni 
  • Nella foto all’interno, l’incontro con il Cardinale Dieudonné Nzapalainga, C.S. Sp., Arcivescovo Metropolita di Bangui (Repubblica Centrafricana)

Su “Popoli e Missione”, la testimonianza di suor Antonietta Papa che, oggi, in una comunità inter-congregazionale a Lampedusa, porta avanti un progetto dell’UISG

(a cura di Chiara Pellicci)

Sono partita per la missione con un forte desiderio di servire il prossimo e di portare la luce del Vangelo e con esso la dignità e la libertà della persona in luoghi dove molti non avevano mai sentito parlare di Cristo.

Incontro con il Cardinale Dieudonné Nzapalainga, C.S. Sp., Arcivescovo Metropolita di Bangui (Repubblica Centrafricana)

Incontro con il Cardinale Dieudonné Nzapalainga, C.S. Sp., Arcivescovo Metropolita di Bangui (Repubblica Centrafricana)

Avevamo – come Figlie di Maria Missionarie, congregazione alla quale appartengo – appena aperto una missione in Amazzonia, avendo riscoperto il nostro carisma ad gentes. Ho affrontato varie sfide che davvero non avevo previsto: la lingua che non conoscevo bene, le culture diverse dalle mie. Avevo imparato la semplicità nell’insegnare ai ragazzi nelle nostre scuole a Roma e il senso di giustizia e solidarietà nella parrocchia della Trasfigurazione: mi sono state molto utili, perché sono virtù fondamentali per il servizio missionario.

Mai avrei pensato, come suora, di amministrare due parrocchie territorialmente enormi: Pimenta Bueno, più estesa della Liguria, e Espigao do Oeste, più vasta del Molise. Le due parrocchie erano rimaste senza sacerdoti e nell’attesa il vescovo di JiParanà, dom Antonio Possamai, affidò alla nostra comunità, composta di tre sorelle, l’amministrazione e la cura pastorale delle due parrocchie.

Il Brasile stava vivendo un periodo di trasformazione politica e sociale, che ha influenzato profondamente anche la sfera religiosa. La Chiesa era chiamata ad impegnarsi attivamente e più direttamente nella lotta contro l’ingiustizia sociale e la povertà, a volte anche nelle questioni sociali e politiche, sostenendo movimenti contadini, sindacati e comunità di base.

Essere solidali con i poveri, annunciando il Vangelo e denunciando l’oppressione politica ed economica, promuovendo i diritti umani, era l’obiettivo di ogni laico, di ogni agente di pastorale, prete o suora impegnato nei movimenti. È stato un periodo dove i conflitti della terra, la migrazione forzata, la violenza sui contadini e gli indios era all’ordine del giorno. In quegli anni uccisero padre Ezechiele Ramin, suor Adelaide Molinari, padre Josimo Tavares e tanti altri. Questo accadde soprattutto nelle aree rurali, dove c’erano conflitti legati alla terra, alla giustizia sociale e ai diritti delle popolazioni indigene e contadine.

I missionari erano spesso visti come una minaccia dalle élite locali, dai pro contro i missionari e gli agenti pastorali dei diritti umani continuò anche negli anni successivi, segno delle profonde disuguaglianze e ingiustizie sociali che caratterizzavano (e in parte ancora caratterizzano) il Brasile.

Certamente il nostro compito era diventato, malgrado la nostra piccolezza, di importante rilievo: non era solo insegnare, ma entrare, conoscere le vicende umane, la sofferenza, la gioia, la vita, e a partire da lì annunciare la vera libertà e verità in Cristo, indicare la Via. Ciò comportava chiaramente denunciare tutto ciò che si oppone a Cristo e al suo Vangelo. Ma soprattutto eravamo chiamate, ieri come oggi, ad amare, ascoltare e servire con umiltà.

La mia fede è cresciuta durante questo periodo.

Tradurre il Vangelo in azione concrete, leggere con gli occhi della gente semplice le parabole…

Ho imparato a fidarmi di Dio in ogni passo, sapendo che, anche nei momenti di difficoltà, Lui era con me, anche se in realtà non sembrava.

Il Magnificat pregato ad ogni vespro è la preghiera più rivoluzionaria che mi affascina e speravo nel versetto “ha innalzato gli umili”, sapendo che gli umili hanno il cuore di Dio e vedono con i suoi occhi.

Ogni preghiera con loro, ogni gesto di gentilezza, di tenerezza e ogni piccola vittoria sono state un segno della Sua presenza e guida, l’essere testimoni viventi dell’amore di Cristo.

Ho conosciuto altre terre, altri popoli, ma questo periodo vissuto in Brasile mi ha insegnato moltissimo. Con altri occhi guardo ora la realtà.

Essere missionaria non significa solo viaggiare in terre lontane, ma vivere ogni giorno come testimone del Suo amore e della Sua grazia. Essere questo volto umano di Dio Padre/Madre è quello che sono chiamata ad essere oggi a Lampedusa, dove insieme ad una comunità inter-congregazionale portiamo avanti il progetto iniziato dall’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) nel 2015, ovvero accogliere i migranti che sbarcano a molo. Collaboriamo con la Croce Rossa, con le forze dell’ordine, con i medici e i ragazzi di Mediterranean Hope, un progetto dell’unione delle Chiese valdesi.

Siamo sul molo per portare un segnale di umanità e tutta l’accoglienza ai nostri fratelli e sorelle migranti che arrivano da ogni dove, spinti dalle guerre, dalla siccità, dall’illusione che in Europa viviamo di benessere. Oggi viviamo l’incapacità di sostenere la pesantezza del quotidiano e di affrontare le sfide che la vita ci propone. Per questo la missionaria è chiamata ad essere esperta in umanità, a vivere profondamente, a conoscere le sfaccettature dell’animo, ad essere perennemente innamorata, ad amare.

Fonte

  • Popoli e Missione 1/2025, pp. 46-47

Immagine

  • Foto di spazio + spadoni 
  • Nella foto all’interno, l’incontro con il Cardinale Dieudonné Nzapalainga, C.S. Sp., Arcivescovo Metropolita di Bangui (Repubblica Centrafricana)
Maria Antonietta Papa
Maria Antonietta Papa

Foto di spazio + spadoni

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