“Che fare?” – Davanti alla fame di Gaza, la domanda che ci interroga

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26 Luglio 2025

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Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini: “A Gaza situazione umanitaria moralmente inaccettabile”

Ho letto con profondo turbamento le parole del cardinale Pizzaballa. Le ho lette non come un’analisi politica, ma come un grido umano e spirituale che attraversa le coscienze.

Come abitante di spazio + spadoni, dove il Vangelo si traduce in opere di misericordia, sento che quel grido non può lasciarci indifferenti. Che fare? È la domanda più difficile, ma anche la più necessaria.

Il Vicario della Custodia di Terra Santa, padre Ibrahim Falta, lo ha detto chiaramente: morire di fame e di sete è ingiusto e ingiustificabile. Nella Striscia di Gaza, non è solo il cibo a mancare. Mancano acqua, cure, elettricità. Mancano sicurezza e speranza. Più di un milione di persone vive sotto assedio, tra cui migliaia di bambini, madri, anziani. E il mondo, spesso, guarda altrove. Questo silenzio è insostenibile. Questo blocco dei beni essenziali è inaccettabile. È la fame usata come arma, la sete imposta come condanna. È il degrado della dignità umana al rango di danno collaterale. E questo ci riguarda. Perché nessuna guerra, nessuna causa, nessuna logica geopolitica può giustificare l’affamare un popolo.

In questo contesto, risuonano oggi con straordinaria attualità le parole di Papa Leone XIII, che nel 1891, nella sua enciclica Rerum Novarum, affermava che la fame, la miseria, la privazione non sono un destino, ma un’ingiustizia sociale da sanare.
Scriveva che la Chiesa non può rimanere estranea alle sofferenze dei poveri, e che il bene comune esige giustizia, partecipazione, solidarietà concreta: “Il primo dovere della carità cristiana è quello di guarire le piaghe della miseria umana”.
Quella “piaga” oggi ha il nome di Gaza.

Noi di spazio + spadoni crediamo profondamente che le opere di misericordia non siano soltanto gesti di bontà, ma atti radicali e profetici. Dare da mangiare agli affamati non è una scelta accessoria, è un’urgenza evangelica. È il volto stesso del Vangelo che si fa carne nelle tragedie del nostro tempo.

Oggi, dare da mangiare è anche denunciare l’ingiustizia.
Oggi, dare da bere è anche resistere all’indifferenza.
Oggi, accogliere è anche gridare verità di fronte a chi chiude i varchi dell’umanità.
Il Vangelo ci interpella senza mezzi termini: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare” (Mt 25,35).
E oggi Cristo ha il volto scavato dei bambini di Gaza, delle madri che non hanno latte, dei padri che scavano sotto le macerie in cerca di un pezzo di pane. Non possiamo ignorarlo.

Che fare, allora?

Possiamo agire. Possiamo pregare. Possiamo far circolare parole vere. Possiamo sostenere chi resiste, chi cura, chi sfama. Possiamo – e dobbiamo – dare voce a chi voce non ha.
Non si tratta di scegliere un campo, ma di scegliere l’Uomo, sempre e comunque. Di scegliere la misericordia, che è giustizia con amore.

Papa Leone XIII ci ha lasciato una visione lucida e coraggiosa: una Chiesa che non si chiude nei templi, ma che scende nei vicoli, nelle baracche, nei campi profughi. Una Chiesa che ascolta e risponde, con gesti e parole, al grido dei poveri. È questa la Chiesa che vogliamo costruire, giorno dopo giorno, anche con spazio + spadoni.

Che fare? Continuare a camminare nella direzione del Vangelo. E non distogliere mai lo sguardo da chi ha fame.

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Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini: “A Gaza situazione umanitaria moralmente inaccettabile”

Ho letto con profondo turbamento le parole del cardinale Pizzaballa. Le ho lette non come un’analisi politica, ma come un grido umano e spirituale che attraversa le coscienze.

Come abitante di spazio + spadoni, dove il Vangelo si traduce in opere di misericordia, sento che quel grido non può lasciarci indifferenti. Che fare? È la domanda più difficile, ma anche la più necessaria.

Il Vicario della Custodia di Terra Santa, padre Ibrahim Falta, lo ha detto chiaramente: morire di fame e di sete è ingiusto e ingiustificabile. Nella Striscia di Gaza, non è solo il cibo a mancare. Mancano acqua, cure, elettricità. Mancano sicurezza e speranza. Più di un milione di persone vive sotto assedio, tra cui migliaia di bambini, madri, anziani. E il mondo, spesso, guarda altrove. Questo silenzio è insostenibile. Questo blocco dei beni essenziali è inaccettabile. È la fame usata come arma, la sete imposta come condanna. È il degrado della dignità umana al rango di danno collaterale. E questo ci riguarda. Perché nessuna guerra, nessuna causa, nessuna logica geopolitica può giustificare l’affamare un popolo.

In questo contesto, risuonano oggi con straordinaria attualità le parole di Papa Leone XIII, che nel 1891, nella sua enciclica Rerum Novarum, affermava che la fame, la miseria, la privazione non sono un destino, ma un’ingiustizia sociale da sanare.
Scriveva che la Chiesa non può rimanere estranea alle sofferenze dei poveri, e che il bene comune esige giustizia, partecipazione, solidarietà concreta: “Il primo dovere della carità cristiana è quello di guarire le piaghe della miseria umana”.
Quella “piaga” oggi ha il nome di Gaza.

Noi di spazio + spadoni crediamo profondamente che le opere di misericordia non siano soltanto gesti di bontà, ma atti radicali e profetici. Dare da mangiare agli affamati non è una scelta accessoria, è un’urgenza evangelica. È il volto stesso del Vangelo che si fa carne nelle tragedie del nostro tempo.

Oggi, dare da mangiare è anche denunciare l’ingiustizia.
Oggi, dare da bere è anche resistere all’indifferenza.
Oggi, accogliere è anche gridare verità di fronte a chi chiude i varchi dell’umanità.
Il Vangelo ci interpella senza mezzi termini: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare” (Mt 25,35).
E oggi Cristo ha il volto scavato dei bambini di Gaza, delle madri che non hanno latte, dei padri che scavano sotto le macerie in cerca di un pezzo di pane. Non possiamo ignorarlo.

Che fare, allora?

Possiamo agire. Possiamo pregare. Possiamo far circolare parole vere. Possiamo sostenere chi resiste, chi cura, chi sfama. Possiamo – e dobbiamo – dare voce a chi voce non ha.
Non si tratta di scegliere un campo, ma di scegliere l’Uomo, sempre e comunque. Di scegliere la misericordia, che è giustizia con amore.

Papa Leone XIII ci ha lasciato una visione lucida e coraggiosa: una Chiesa che non si chiude nei templi, ma che scende nei vicoli, nelle baracche, nei campi profughi. Una Chiesa che ascolta e risponde, con gesti e parole, al grido dei poveri. È questa la Chiesa che vogliamo costruire, giorno dopo giorno, anche con spazio + spadoni.

Che fare? Continuare a camminare nella direzione del Vangelo. E non distogliere mai lo sguardo da chi ha fame.

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