Ci vorrebbe un miracolo

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11 Aprile 2025

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Nella Repubblica democratica del Congo, dove la missionaria saveriana vive sei mesi l’anno, la situazione non cambia. “Il Paese piange”… e noi?

(di suor Teresina Caffi)

In questi mesi, tanti media hanno dato notizia dell’acuirsi dei combattimenti nell’est della Repubblica Democratica del Congo, precisamente nel Nord-Kivu e nella sua capitale Goma. L’occupazione della città ha provocato, secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa, 800 morti fra i soldati (dei due fronti) e 100 fra i civili, ma il conto esatto è ancora da fare. Quasi cinquemila i feriti che gli ospedali e i centri sanitari non sono in grado di accogliere tutti. Come mai questa guerra? È forse una guerra civile, tribale?

Apparentemente il movimento M23, che l’ha riaccesa a partire dal novembre 2021, è congolese e senza dubbio ci sono congolesi fra le sue file, ma chi lo sostiene, secondo i dati Onu, con circa quattromila soldati, armi, mezzi e munizioni è il Rwanda. Questo piccolo Paese confinante con la RD del Congo conduce guerra a fasi alterne al Congo dal 1996. Il suo pretesto della presenza, peraltro tenacemente negata, delle sue truppe nel Paese è la presenza in esso delle FDLR (Forze democratiche di liberazione del Rwanda), opposizione armata al regime che regge il Rwanda da trent’anni. Le truppe ruandesi verrebbero anche in soccorso della popolazione rwandese Tutsi che abita in Congo e che a dire del governo è minacciata.

Sicuramente nei momenti di guerra ci sono stati momenti persecutori nei confronti di questo gruppo in reazione all’aggressione subita. Ma i due popoli si incontrano quotidianamente e normalmente e senza difficoltà ogni giorno, attraverso le frontiere che fanno vivere con gli scambi le popolazioni al di qua e al di là delle frontiere. E molte persone d’origine rwandese vivono tranquillamente nel Paese e viceversa.

Le ragioni di questa ricorrente violenza e dell’acuirsi attuale del conflitto sono altrove: nelle ricchezze del sottosuolo (minerali per l’elettronica e la transizione verde) e del suolo (pascoli, agricoltura), nella terra.

Quando si vede il grande dispiego di mezzi sofisticati e costosi per la guerra in mano all’M23 ci si chiede da dove vengano e pensare semplicemente che vengono dal vicino Rwanda è troppo poco: vengono dall’aiuto internazionale. Il Rwanda è il pupillo degli Stati Uniti, della Gran Bretagna, dell’Unione Europea. La performance di certe innovazioni tecnologiche nasconde la povertà di gran parte della popolazione e il silenzio dittatoriale che la domina.

È un Paese che continua a piangere con un occhio solo impedendo all’altro di versare lacrime: eppure entrambe le componenti della popolazione hanno sofferto moltissimo negli anni di guerra civile iniziati nel 1990.

Il Rwanda serve gli interessi internazionali perché fornisce seimila soldati per le missioni di pace internazionali (Repubblica del Congo, Etiopia, Mozambico) ma soprattutto perché è il piede a terra degli acquirenti di minerali strategici. Il Rwanda ne possiede solo una minima parte. Si calcola che il 90% delle esportazioni di coltan e altri minerali venga illegalmente dal Congo. Naturalmente non senza la complicità di funzionari congolesi.

Ma ora non c’è già più bisogno di passare frontiere: giacché la conquista ha fatto nei fatti di Rwanda e Nord-Kivu un unico paese. E la fame non si ferma lì.

Dopo l’occupazione sanguinosa di Goma, le truppe mirano al Sud-Kivu, pure ricco in minerali. Anzi, Corneille Nangaa, l’ex presidente della CENI che dopo aver dichiarato vincitore Tshisekedi ora lo combatte, ha detto di voler andare fino a Kinshasa. Come fece nel 1996-97 Laurent-Désiré Kabila.

Da oltre tre anni la popolazione del nord-Kivu, aggredita, uccisa, costretta a fuggire e a vivere miseramente in campi di fortuna, chiede aiuto alla comunità internazionale perché venga ristabilito il diritto. Inutilmente. I vari tentativi regionali di giungere a un accordo sono finora stati vani. Il cessate il fuoco dell’agosto scorso è dimenticato.

Anzi, l’unione europea ha fatto in febbraio 2024 un accordo col Rwanda in vista della trasformazione ed esportazione di minerali strategici che il Rwanda attinge dal Congo. E ha dato anche quest’anno come l’anno scorso 20 milioni di euro per il sostegno alle operazioni di pace del Rwanda in Mozambico. Chi sorveglia come vengono usati in Congo? E come può un Paese pretendere di portare la pace in un Paese, quando fa la guerra in un altro?

La RD del Congo è un Paese pieno di problemi e di fragilità, a cominciare dalle sue autorità. Questo non è però un motivo per ignorare il suo diritto a vivere con dignità, nel rispetto delle frontiere. Il popolo congolese sa che cosa significa l’occupazione ruandese. Lo ha sperimentato con i suoi milioni di morti. Anche il popolo ruandese sta soffrendo, costretto a sacrificare la sua gioventù in una guerra di occupazione e di prestigio.

Che fare? Aiuti umanitari? Certo, ma non basta. Il popolo congolese chiede alla comunità internazionale, agli Stati Uniti, alla gran Bretagna, alla Cina… di mettere fine al teatro di tanti anni, di pure condanne verbali. Essa ha modo di intimare il rispetto delle frontiere e dei popoli. Ma occorrerebbe che amasse il diritto più che il denaro. Ci vorrebbe un miracolo.

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