Conflitto in Sudan: dove si perde la memoria, urge la misericordia
Mentre l’attenzione del mondo è rivolta ad altri scenari geopolitici, in Sudan si consuma nel silenzio una delle guerre più ignorate
La guerra civile in Sudan. Iniziata il 15 aprile 2023, questa tragedia ha causato centinaia di migliaia di morti, milioni di sfollati e un’implosione totale dei servizi sanitari, educativi e sociali del Paese. Eppure, nonostante l’enormità della crisi, le notizie su ciò che accade in Sudan appaiono raramente sulle prime pagine.
È una guerra senza copertura mediatica, senza pressioni diplomatiche efficaci, senza solidarietà internazionale tangibile. È, a tutti gli effetti, la guerra più dimenticata. Ed è proprio in questo oblio che diventa urgente riscoprire il valore della misericordia: un principio umano, spirituale e politico, necessario per riaccendere la speranza e fermare il dolore.
Le origini del conflitto: SAF contro RSF
Il Sudan ha una lunga storia di instabilità politica, colpi di stato e guerre civili. Dopo la caduta del dittatore Omar al-Bashir nel 2019, il Paese ha intrapreso un fragile percorso di transizione democratica. Tuttavia, le tensioni tra le due principali forze armate – l’esercito regolare (SAF) e le Forze di Supporto Rapido (RSF), una potente milizia paramilitare – sono rapidamente degenerate. Nel 2023, la competizione per il potere è esplosa in un conflitto armato totale, trasformando città come Khartoum, Omdurman e il Darfur in teatri di violenze inimmaginabili. Le due fazioni combattono per il controllo del paese, ma è la popolazione civile a pagare il prezzo più alto.
La crisi umanitaria: un popolo in fuga
Secondo le Nazioni Unite, oltre 8 milioni di persone sono state costrette a fuggire dalle proprie case. Più della metà della popolazione sudanese – circa 25 milioni di persone – necessita di assistenza umanitaria urgente. Le città sono senza acqua potabile, elettricità, cibo e medicinali. Gli ospedali sono stati bombardati o occupati dai combattenti.
Nei campi profughi, le condizioni sono drammatiche: mancano servizi igienici, i bambini muoiono per malattie prevenibili, le donne sono esposte alla violenza sessuale e alla tratta. In tutto ciò, la misericordia – intesa come empatia concreta e operativa – è la chiave per comprendere e agire. Non si tratta solo di pietà, ma della capacità di sentire la sofferenza altrui come propria.
Le donne, quindi, sono le prime vittime della guerra. Le testimonianze parlano di stupri sistematici usati come arma di guerra, di bambine costrette a matrimoni forzati, di madri che muoiono durante il parto per la mancanza di cure. I bambini, invece, crescono sotto le bombe, senza scuole né futuro. Molti sono reclutati come soldati o cadono nelle mani dei trafficanti.
Il silenzio del mondo e la voce della Chiesa
Nonostante l’enormità della tragedia, la risposta internazionale è stata deludente. I tavoli negoziali sono falliti uno dopo l’altro, e le grandi potenze sembrano più preoccupate dai loro interessi regionali che dal destino del popolo sudanese. Le sanzioni sono inefficaci, gli appelli umanitari restano inascoltati.
La comunità internazionale ha il dovere morale di agire, ma troppo spesso l’azione umanitaria è condizionata da calcoli geopolitici. In questo contesto, la misericordia dovrebbe ispirare una nuova etica delle relazioni internazionali: una politica capace di mettere al centro la dignità della persona, prima degli interessi strategici.
In questo caos, la Chiesa cattolica e altre organizzazioni religiose e laiche stanno offrendo un esempio concreto di misericordia. Missionari, suore, medici volontari e operatori delle ONG restano sul campo, anche a rischio della propria vita, per garantire cibo, cure e un minimo di protezione ai più vulnerabili.
Molti di loro operano lontani dai riflettori. Eppure, le loro storie sono testimonianze di speranza. In loro, la misericordia si fa carne, si traduce in azione.
Misericordia come azione concreta
La misericordia non è solo un sentimento, ma un imperativo etico. In Sudan, essere misericordiosi oggi significa:
- Sostenere chi opera sul campo con donazioni, volontariato e preghiera.
- Fare pressione sui governi affinché si impegnino in negoziati reali e nel rispetto del diritto internazionale.
- Promuovere campagne di sensibilizzazione nelle scuole, nelle parrocchie, nei media.
Papa Francesco ha spesso ribadito che «la misericordia è il cuore pulsante del Vangelo». È tempo che questo cuore batta anche per il Sudan.
Il conflitto in Sudan non è solo una tragedia africana, è una ferita aperta nell’umanità. Ogni giorno che passa senza intervento, senza ascolto, senza aiuto, è un giorno perso per la giustizia. Il popolo sudanese non chiede carità, ma solidarietà. Non pretende compassione, ma misericordia: quella forza che sa farsi prossimo, che non guarda da un’altra parte, che risponde con amore alla barbarie.
Il Sudan può ancora rinascere, ma ha bisogno del nostro impegno. Guardare altrove oggi significa essere complici del dolore. Guardare con misericordia, invece, può essere il primo passo per la pace.