UISG | Intervista alla Madre Generale Nadine Adjagba (Benin)

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2 Maggio 2025

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Intervista a suor Nadine Adjagba, Madre Generale della Congregazione “Servantes de la Lumière du Christ” (Serve della Luce di Cristo) – Benin

*In attesa dell’Assemblea plenaria UISG delle Superiore Generali, che si terrà a Roma dal 5 al 9 maggio, spazio + spadoni intervista alcune Madri Generali delle Congregazioni religiose

1. Madre, questa intervista arriva in un momento particolare, con la scomparsa di Papa Francesco. Come ha reagito la sua comunità a questa notizia?

La nostra comunità ha vissuto questo evento con grande serenità. Va detto che quando abbiamo appreso la notizia dell’improvvisa e inaspettata dipartita di Papa Francesco, siamo stati sopraffatti dall’emozione e da una tristezza indescrivibile. Ma poi, nella preghiera e nella gratitudine a Dio per aver dotato l’umanità di questo prezioso servitore della Buona Novella della Salvezza, la speranza cristiana ha messo radici nei nostri cuori. Infatti, come avrete notato, Papa Francesco è stato un padre per tutti noi, e per noi religiose in particolare. Ci ha sempre incoraggiato, ascoltato e ha apprezzato la nostra missione.

2. Quale messaggio vi ha lasciato il Papa ?

Papa Francesco ci ha insegnato a essere donne riconosciute per quello che siamo, per il nostro contributo alla Chiesa e all’umanità, con un cuore intensamente impregnato di Vangelo, per essere più vicine, povere con e tra i più poveri. Lo abbiamo quindi accompagnato con le nostre preghiere, come figlie traboccanti di gratitudine.

3. Nella vostra Congregazione, come vivete il legame con le opere di misericordia? Come illuminano le vostre azioni quotidiane?

Le opere di misericordia sono parte integrante del nostro carisma di servire la Luce di Cristo, e quindi al centro della nostra missione. Ci guidano nella nostra vita apostolica, nelle nostre scelte comunitarie e ci aiutano a rimanere fedeli al Vangelo attraverso i gesti più semplici: pregare, nutrire, educare, accompagnare, visitare i malati, accogliere chi è solo, mostrare compassione.

4. In Benin, la misericordia non è un’idea: è una necessità concreta. In che misura la riEvoluzione delle opere di misericordia e la collaborazione con spazio + spadoni hanno rivitalizzato il vostro carisma?

Direi con grande gioia che l’incontro con spazio + spadoni è per noi un vero e proprio dono, oltre che una chiamata da parte del Signore Gesù Cristo, la Luce del mondo da cui siamo chiamati a irradiare questa Luce del cuore che è amore, misericordia di Dio per il nostro mondo macchiato da tante turpitudini.

L’effetto di questo incontro provvidenziale è quindi per noi un risveglio, un segnale forte. La riEvoluzione ci ha sfidato a ricollegarci al nostro fondatore, il compianto Mons. Robert C.M. SASTRE, a rileggere il nostro carisma con occhi nuovi, non come un’eredità da conservare, ma come un seme da coltivare. Spazio + spadoni ci ha offerto strumenti, formazione, ma soprattutto una visione condivisa, che ci ha spinto a uscire, a riconnetterci e a rinnovarci.

5. Quando inizierà il vostro progetto HIC SUM con suor Rachelle?

Tutte le sorelle coinvolte sono entusiaste. È un processo, ma crediamo che questo progetto non solo sostenga, ma possa cambiare il modo in cui viviamo la nostra presenza tra la gente. Suor Rachelle sta aspettando che vengano presi gli accordi necessari per l’acquisizione di un visto a questo scopo; è quindi molto disponibile e pronta a seguire un corso di formazione in Italia con voi.

6. In che modo il progetto renderà la comunità autonoma e sostenibile nel tempo?

L’autonomia sarebbe l’obiettivo, con l’acquisizione dei mezzi finanziari per affrontare meglio questa realtà, per contribuire allo sviluppo delle opere di misericordia e quindi al recupero della persona umana che ritroverà la sua vera dignità.

Grazie a Hic Sum, svilupperemo attività generatrici di reddito che coinvolgano la popolazione locale. Vogliamo che la comunità sia in grado di sostenersi e di essere a sua volta generativa, in particolare per i bambini, le giovani donne e altre persone vulnerabili.

Qual è la sfida più grande che una congregazione africana deve affrontare oggi? Rimanere radicati nella propria cultura senza chiudersi agli altri, essere fedeli alla missione in un mondo che cambia, formare nuove generazioni di religiose che siano allo stesso tempo spirituali e competenti. Non è facile, ma ci sono molti segni di speranza. Non è un caso che il nostro amato compianto Papa Francesco abbia dedicato questo anno giubilare alla speranza.

7. Qual è il volto della vocazione femminile in Africa oggi, soprattutto nel suo Paese?

Direi che è giovane e pieno di entusiasmo. Le nostre figlie hanno un cuore aperto a Dio e vogliono servire. Tuttavia, non possiamo ignorare la tendenza a lasciarsi influenzare da tutti i barlumi di questo mondo illusorio, perché allo stesso tempo portano con sé delle ferite.

Le ragazze in generale provengono da famiglie segnate dalla povertà, dall’instabilità, a volte da guerre silenziose. La nostra missione è camminare con loro con grande pazienza, mostrando che Dio può trasformare ogni storia di fragilità in una storia di speranza, in una storia meravigliosa, Lui l’Onnipotente che scrive diritto tra le righe storte che siamo noi. Perché Lui è il Dio dell’impossibile, benevolo e misericordioso.

8. Cosa significa per lei, donna africana consacrata, il termine “generatività”, che spazio + spadoni propone con tanta forza?

La generatività fa parte della nostra cultura africana: nella mia cultura africana, le donne sono legate alla fertilità, sono le principali protagoniste dell’esistenza umana. Per quanto siano dispensatrici e protettrici della vita, sono anche capaci, per ignoranza, di affondare e, a loro volta, di provocare il contrario. Dopo tutto, la donna dà la vita, educa e costruisce comunità. Ecco perché è essenziale una corretta educazione delle donne stesse. Per noi, generatività significa non vivere ritirate nella nostra protezione, ma essere madri spirituali della nostra gente. Non basta fare cose buone: dobbiamo lasciare dietro di noi i semi del cambiamento, dell’autonomia, della fede vissuta.

9. Può raccontarci un episodio recente della sua comunità che l’ha particolarmente toccata?

Sì, una giovane donna cresciuta con molte difficoltà ha deciso di lavorare come volontaria dopo aver partecipato a un corso di formazione offerto nell’ambito del progetto OPERAM. Con le lacrime agli occhi, ha detto: “Ora so che Dio non si dimentica di nessuno. Questo mi ricorda che anche un semplice gesto può cambiare il senso di una vita”.

10. Quale messaggio vorrebbe portare alle altre Superiore Generali che incontrerà a Roma?

Vorrei semplicemente invitarle a camminare insieme senza paura, come donne forti e unite. La Chiesa ha bisogno di persone consacrate che sappiano costruire, curare e seminare il futuro. Solo se camminiamo insieme, cosa che è già iniziata timidamente, camminando insieme soprattutto senza lasciarci scoraggiare dalle difficoltà, potremo rendere visibile il volto materno di Dio in questo tempo.

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