Festival della Missione | Il volto di… un sacerdote africano

Don Rodrigue Akakpo: dal Togo a Reggio Emilia
Direttamente da Torino, al Festival della Missione, spazio + spadoni intervista don Rodrigue Akakpo, sacerdote del Togo e direttore dell’Ufficio diocesano Migrantes di Ferrara
1. Qual è il senso della presenza al Festival della Missione? Perché partecipare?
Il Festival della Missione è una grande occasione di incontro; inoltre, sono interessato ad approfondire e poi divulgare le mie conoscenze dei valori umani e spirituali.
2. Un “volto” che nella tua vita è stato importante per la tua vocazione e vita missionaria?
Spiritualmente, sono legato agli insegnamenti di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo che, oltre ad essere Dottore della Chiesa, è anche patrona delle missioni. Fin dal Seminario Minore nel mio Paese – il Togo – sono stato attratto dei suoi temi sull’Amore, la semplicità e la fiducia, la grandezza dell’Amore di Cristo Gesù nella “piccolezza”.
La piccolezza dei gesti quotidiani, dei “piccoli uffici” di ogni giorno, ma anche nell’uso di un linguaggio anti-retorico, privo di ogni intento autoreferenziale, dove le parole altisonanti, patrimonio di pochi, vengono sostituite da parole che anche le “culture” delle periferie linguistiche, esistenziali, culturali e religiose possono comprendere, fare proprie, “indossare”, come un abito su misura.
3. Cosa pensi di portare al Festival come sacerdote e come africano?
Chi come me ha le proprie radici nel continente africano, non può non portare al Festival la speranza e la gioia che lo caratterizzano.
Anche perché la Chiesa africana propone strade nuove per avvicinarsi ai poveri e per testimoniare un Amore che è alla base di tutto.
Potrei anche condividere la mia esperienza di sacerdote africano ordinato in Italia nove anni fa e direttore dell’ufficio diocesano Migrantes.
4. Cosa ti porterai invece a casa da Torino?
Conto di portare a casa uno sguardo nuovo, dopo aver ritrovato vecchi amici e fatto nuove conoscenze.
5. Alla luce di questo evento, come vedi intrecciarsi misericordia e missione?
Papa Francesco affermava chiaramente «che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia».
Definendo la Chiesa “ospedale da campo”, Francesco invita a ripensare in modo radicale la vita ecclesiale, cioè a dare la priorità ai feriti e a porre le esigenze del prossimo prima delle nostre. La “Chiesa ospedale da campo” ci obbliga a ripensare la nostra identità, la nostra missione e la nostra vita comune di discepoli di Gesù Cristo per diffondere le opere di misericordia. Ci fa diventare comunità che legge le esigenze del prossimo e condivide i suoi talenti per trovare modi creativi per aiutare i più bisognosi (Lc 4,18-19).
La misericordia è una realtà concreta con cui Cristo rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio figlio.
6. Che cosa significa essere misericordiosi?
Essere misericordiosi è più che essere compassionevoli; la misericordia non riguarda il sentimento o l’emozione, non è una elemosina, ma è una azione.
La misericordia è amore che si spinge sempre “oltre” per annunziare un lieto messaggio, non stando seduti ad aspettare che chi ha bisogno si faccia vivo. Missione è uscire verso le periferie, lì dove abitano gli oppressi; stare al fianco dei feriti sul campo di battaglia. È qualcosa di radicale, e la misericordia è sempre radicale.
Papa Francesco ci ha sempre rammentato questa verità e ha fatto appello alle nostre radici cristiane, aiutandoci a comprendere che questa è una sfida eterna per noi: «Siamo chiamati a far crescere una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli» . Non c’è contrapposizione tra Misericordia e Missione. La misericordia ha bisogno della Missione per non cadere nel soggettivismo, ma anche la Missione ne ha per la misericordia, per non scivolare in una sterile autoreferenzialità:
7. C’è un passaggio dell’omelia per il Giubileo dei migranti e del mondo missionario che ti ha colpito?
«Fratelli e sorelle, oggi si apre nella storia della Chiesa un’epoca missionaria nuova. Se per lungo tempo alla missione abbiamo associato il “partire”, l’andare verso terre lontane che non avevano conosciuto il Vangelo o versavano in situazioni di povertà, oggi le frontiere della missione non sono più quelle geografiche, perché la povertà, la sofferenza e il desiderio di una speranza più grande, sono loro a venire verso di noi. Ce lo testimonia la storia di tanti nostri fratelli migranti, il dramma della loro fuga dalla violenza, la sofferenza che li accompagna, la paura di non farcela, il rischio di pericolose traversate lungo le coste del mare, il loro grido di dolore e di disperazione: fratelli e sorelle, quelle barche che sperano di avvistare un porto sicuro in cui fermarsi e quegli occhi carichi di angoscia e speranza che cercano una terra ferma in cui approdare, non possono e non devono trovare la freddezza dell’indifferenza o lo stigma della discriminazione!» .
Un invito aperto
A Torino, dal 9 al 12 ottobre, ci troveremo dove la Missione accende il cuore.
Ti aspettiamo allo stand di spazio + spadoni, per incontrarci, conoscerci e continuare insieme a costruire un mondo di opere di misericordia che non conosce confini.
Festival della Missione – Piazza Castello, Torino
www.spaziospadoni.org
Segui il racconto su MISSION, tradotto in oltre 30 lingue.
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- Immagine creata digitalmente da spazio + spadoni
Direttamente da Torino, al Festival della Missione, spazio + spadoni intervista don Rodrigue Akakpo, sacerdote del Togo e direttore dell’Ufficio diocesano Migrantes di Ferrara
1. Qual è il senso della presenza al Festival della Missione? Perché partecipare?
Il Festival della Missione è una grande occasione di incontro; inoltre, sono interessato ad approfondire e poi divulgare le mie conoscenze dei valori umani e spirituali.
2. Un “volto” che nella tua vita è stato importante per la tua vocazione e vita missionaria?
Spiritualmente, sono legato agli insegnamenti di Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo che, oltre ad essere Dottore della Chiesa, è anche patrona delle missioni. Fin dal Seminario Minore nel mio Paese – il Togo – sono stato attratto dei suoi temi sull’Amore, la semplicità e la fiducia, la grandezza dell’Amore di Cristo Gesù nella “piccolezza”.
La piccolezza dei gesti quotidiani, dei “piccoli uffici” di ogni giorno, ma anche nell’uso di un linguaggio anti-retorico, privo di ogni intento autoreferenziale, dove le parole altisonanti, patrimonio di pochi, vengono sostituite da parole che anche le “culture” delle periferie linguistiche, esistenziali, culturali e religiose possono comprendere, fare proprie, “indossare”, come un abito su misura.
3. Cosa pensi di portare al Festival come sacerdote e come africano?
Chi come me ha le proprie radici nel continente africano, non può non portare al Festival la speranza e la gioia che lo caratterizzano.
Anche perché la Chiesa africana propone strade nuove per avvicinarsi ai poveri e per testimoniare un Amore che è alla base di tutto.
Potrei anche condividere la mia esperienza di sacerdote africano ordinato in Italia nove anni fa e direttore dell’ufficio diocesano Migrantes.
4. Cosa ti porterai invece a casa da Torino?
Conto di portare a casa uno sguardo nuovo, dopo aver ritrovato vecchi amici e fatto nuove conoscenze.
5. Alla luce di questo evento, come vedi intrecciarsi misericordia e missione?
Papa Francesco affermava chiaramente «che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia».
Definendo la Chiesa “ospedale da campo”, Francesco invita a ripensare in modo radicale la vita ecclesiale, cioè a dare la priorità ai feriti e a porre le esigenze del prossimo prima delle nostre. La “Chiesa ospedale da campo” ci obbliga a ripensare la nostra identità, la nostra missione e la nostra vita comune di discepoli di Gesù Cristo per diffondere le opere di misericordia. Ci fa diventare comunità che legge le esigenze del prossimo e condivide i suoi talenti per trovare modi creativi per aiutare i più bisognosi (Lc 4,18-19).
La misericordia è una realtà concreta con cui Cristo rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio figlio.
6. Che cosa significa essere misericordiosi?
Essere misericordiosi è più che essere compassionevoli; la misericordia non riguarda il sentimento o l’emozione, non è una elemosina, ma è una azione.
La misericordia è amore che si spinge sempre “oltre” per annunziare un lieto messaggio, non stando seduti ad aspettare che chi ha bisogno si faccia vivo. Missione è uscire verso le periferie, lì dove abitano gli oppressi; stare al fianco dei feriti sul campo di battaglia. È qualcosa di radicale, e la misericordia è sempre radicale.
Papa Francesco ci ha sempre rammentato questa verità e ha fatto appello alle nostre radici cristiane, aiutandoci a comprendere che questa è una sfida eterna per noi: «Siamo chiamati a far crescere una cultura della misericordia, basata sulla riscoperta dell’incontro con gli altri: una cultura in cui nessuno guarda all’altro con indifferenza né gira lo sguardo quando vede la sofferenza dei fratelli» . Non c’è contrapposizione tra Misericordia e Missione. La misericordia ha bisogno della Missione per non cadere nel soggettivismo, ma anche la Missione ne ha per la misericordia, per non scivolare in una sterile autoreferenzialità:
7. C’è un passaggio dell’omelia per il Giubileo dei migranti e del mondo missionario che ti ha colpito?
«Fratelli e sorelle, oggi si apre nella storia della Chiesa un’epoca missionaria nuova. Se per lungo tempo alla missione abbiamo associato il “partire”, l’andare verso terre lontane che non avevano conosciuto il Vangelo o versavano in situazioni di povertà, oggi le frontiere della missione non sono più quelle geografiche, perché la povertà, la sofferenza e il desiderio di una speranza più grande, sono loro a venire verso di noi. Ce lo testimonia la storia di tanti nostri fratelli migranti, il dramma della loro fuga dalla violenza, la sofferenza che li accompagna, la paura di non farcela, il rischio di pericolose traversate lungo le coste del mare, il loro grido di dolore e di disperazione: fratelli e sorelle, quelle barche che sperano di avvistare un porto sicuro in cui fermarsi e quegli occhi carichi di angoscia e speranza che cercano una terra ferma in cui approdare, non possono e non devono trovare la freddezza dell’indifferenza o lo stigma della discriminazione!» .
Un invito aperto
A Torino, dal 9 al 12 ottobre, ci troveremo dove la Missione accende il cuore.
Ti aspettiamo allo stand di spazio + spadoni, per incontrarci, conoscerci e continuare insieme a costruire un mondo di opere di misericordia che non conosce confini.
Festival della Missione – Piazza Castello, Torino
www.spaziospadoni.org
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- Immagine creata digitalmente da spazio + spadoni

Don Rodrigue Akakpo: dal Togo a Reggio Emilia