Missione in Perù | Più tempo e braccia per fare missione
L’elezione di papa Leone XIV ha fatto luce sul Perù. Attraverso questo articolo, conosciamo una realtà di questo Paese e l’attività di un missionario
Intervista a don Daniele Varoli, fidei donum della diocesi di Casale Monferrato, in Perù per 24 anni
Non è stato facile intervistare il fidei donum don Daniele Varoli, impegnato per 24 anni in Perù con l’Operazione Mato Grosso. Una rincorsa continua per via di due fattori importanti che sempre più spesso in missione vengono meno (tanto in America latina quanto nella diocesi di Casale Monferrato): il tempo e le risorse.
«In questi giorni, c’è sempre qualcosa da fare. Tra una cosa e un’altra, non c’è mai un momento di calma per fermarsi». Inizia così la nostra intervista, con delle scuse.
Ma un “figlio di contadini amante della campagna” – come lui si presenta da subito – lo sa che per seminare ci vuole pazienza. Occorre fatica e serve tempo. Tanto più che il movimento di volontariato fondato dal salesiano padre Ugo De Censi, grazie al quale ha maturato la sua vocazione, traccia percorsi di vita che fondono lavoro e riflessione, concretezza e spiritualità.
Nato nel 1961 a Faenza, tra le colline romagnole, don Daniele ha iniziato il suo cammino con OMG a 27-28 anni: «negli anni ‘90, nei campi di lavoro, facevamo la raccolta del vetro, del ferro, della plastica, della frutta, e il ricavato andava alle missioni; poi, nel tempo libero, si stava insieme agli altri giovani».
Dopo aver conosciuto padre Ugo, “uomo straordinario” che gli ha «indicato un cammino concreto sui passi della carità e del vangelo nella ricerca di Dio», la partenza come volontario in Perù (1992), il ritorno a casa per la morte del padre (1993) e l’inizio in seminario (1994) nella diocesi di Huari.
«Nel 1996, il vescovo di Huànuco monsignor Artale, pur avendo chiesto la presenza di volontari per affidare loro le parrocchie più lontane e abbandonate, mi ha mandato in Italia a completare gli studi, a Casale Monferrato».
Da lì è ripartito nel 2000, subito dopo l’ordinazione sacerdotale, e qui è tornato di nuovo, a gennaio 2024, dopo una lunghissima permanenza in Perù.
«Resterò in Italia per un po’: per riallacciare i ponti con la diocesi, stare vicino al vescovo Gianni Sacchi e ai sacerdoti, creare rapporti con i giovani, andare a trovare la mia mamma novantenne e ringraziare i benefattori», dice don Varoli, che vorrebbe anche «riuscire ad andare a Roma per conoscere il Papa».
Troppo poco tempo e troppe cose da fare, tanto più che doveva essere un anno di pausa dal lavoro in missione, una sorta di riposo. E, invece, ad ottobre, per non lasciare tre paesi senza guida spirituale, gli sono anche state affidate le parrocchie di Cocconato, Tonengo e Moransengo fino a giugno.
È comunque un vulcano di energia, don Daniele. A prescindere da tutti gli impegni e le possibili stanchezze. Ci racconta la sua storia tutta d’un fiato; ed è così che vive le sue giornate.
«Quest’estate, ho partecipato ai campi; per me, i ragazzi sono importantissimi, perché loro sono il futuro e diventano il canale tra l’Italia e le missioni. Il sabato, infatti, quando non devo celebrare, cerco di ritagliarmi del tempo per stare con loro».
I giovani e l’educazione sono la priorità nelle attività dell’Operazione Mato Grosso. «In particolare, quand’ero in Perù, ci occupavamo dell’accoglienza dei bambini di 12-13 anni che avevano concluso le elementari. Per cinque anni li ospitavamo gratuitamente nei “Taller don Bosco”, dove oltre a mangiare, studiare, pregare, dormire, avevano la possibilità di imparare un mestiere (falegnameria e scultura per i maschi e ricamo e cucito per le femmine). Si aggiungevano poi i turni di pulizia, la cura dell’orto, l’accudimento degli animali e la raccolta della legna». Soprattutto, si faceva visita ai poveri nei paesini più piccoli: si cercava di portare l’acqua potabile e sistemare le loro abitazioni.
«La vallata del Maraňòn, dov’è situata “Nuestra Señora de las Mercedes”, a 3200 metri, era una zona provata dal terrorismo e dalla miseria. Una parrocchia molto ampia, con 1.000 abitanti e numerosi comuni distanti tra loro anche 5 ore di macchina».
Dopo i primi 4 anni a Pachas, è subentrata la missione a Quivilla da maggio 2004 a gennaio 2024: «ci si aiutava con le altre tre parrocchie, dove operavano sacerdoti e volontari italiani accompagnati dai peruani. Una rete pensata per poterci sostenere a vicenda e per far crescere la vocazione e l’impegno dei ragazzi che accogliamo».
Lo dice a voce alta don Daniele Varoli («ci vorrebbero più persone, siamo un po’ soli»), ma subito dopo pensa a Pedro e a Vanessa, la coppia di volontari peruani che, con i suoi 5 bambini, segue l’oratorio e la scuola Taller don Bosco.
«Sono la nostra ricchezza, un dono della Provvidenza. Senza la collaborazione dei ragazzi del luogo che hanno fatto loro lo spirito di don Bosco, potremmo fare ben poco».
(Loredana Brigante, Popoli e Missione, dicembre 2024, p. 62-63)
Fonte
- Popoli e Missione (dicembre 2024)
Immagine
- Foto di don Daniele Varoli