Darfur | Cibo e misericordia, non ambaz

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22 Agosto 2025

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fame-Africa
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Foto di G star Media (Pexels)

Darfur, la fame come arma. Quando il cibo per animali diventa pasto per gli esseri umani, bisogna agire con le opere

“Dar da mangiare agli affamati” non è solo la prima delle opere di misericordia corporale, è anche uno dei gesti più urgenti e necessari per restituire dignità a chi vive nella miseria più estrema. Oggi, questo grido di misericordia si leva forte dal cuore dell’Africa, in particolare dal Darfur, una regione del Sudan dilaniata da anni di guerra, ma oggi colpita da una forma ancor più subdola e crudele di violenza: la fame come arma.

Il contesto: El Fasher sotto assedio

Nella città di El Fasher, capitale del Darfur Settentrionale, centinaia di migliaia di civili sono intrappolati da mesi in un assedio spietato da parte delle RSF (Rapid Support Forces). Le vie di accesso sono bloccate, i mercati sono svuotati, gli aiuti umanitari non riescono più a entrare. Il risultato? Il costo del cibo è diventato insostenibile, le scorte scarseggiano e i più poveri si ritrovano a mangiare ciò che non è mai stato pensato per gli esseri umani.

L’ambaz: sopravvivere con il cibo per animali

La popolazione affamata è costretta a nutrirsi di ambaz, un residuo agricolo usato normalmente come mangime per bestiame, ottenuto dalla spremitura di semi di girasole, sesamo o arachidi. Le madri lo cuociono come un porridge, cercando di sfamare almeno i più piccoli. Ma l’ambaz non è adatto al consumo umano: è povero di nutrienti, non contiene le vitamine essenziali e può sviluppare tossine pericolose per il fegato se conservato male. Ciononostante, è l’unico alimento disponibile per molti.

In alcune zone, una sola porzione di cibo costa quanto un’intera giornata di lavoro, rendendo impossibile per le famiglie acquistare anche solo il pane. La fame sta diventando strumento di controllo, una forma di guerra silenziosa che spezza corpi e speranze.

La carità come risposta alla guerra

In questo scenario, si fa ancora più urgente il richiamo alla misericordia attiva, alla concretezza dell’amore cristiano che si fa azione. La prima opera di misericordia corporale — “Dar da mangiare agli affamati” — non è un concetto astratto, ma un dovere che interpella ciascuno di noi.

Oggi, la fame nel Darfur ci chiede di non voltare lo sguardo altrove. Davanti a bambini costretti a mangiare cibo per animali, davanti a madri che cucinano porzioni che sanno non essere sicure, la carità non può essere rinviata.

Misericordia: una questione di giustizia

Dare da mangiare agli affamati non è solo un gesto di bontà, è un atto di giustizia. È restituire al fratello affamato ciò che gli spetta di diritto: la possibilità di vivere, di nutrirsi, di crescere. La carità vera è fatta di condivisione, ma anche di denuncia, di presa di posizione, di impegno per cambiare le strutture ingiuste che producono povertà e morte.

Come realtà impegnata a vivere e diffondere le opere di misericordia, spazio + spadoni non può restare indifferente. Di fronte alla tragedia del Darfur, sentiamo il bisogno di:

  • Informare, perché la consapevolezza è il primo passo verso il cambiamento;
  • Pregare, perché la fede sostiene l’azione e dà forza a chi soffre;
  • Agire, sostenendo le organizzazioni umanitarie che operano sul campo, promuovendo campagne solidali e mobilitando comunità e parrocchie.

Gesù ci ha detto: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare” (Mt 25,35). Questa Parola oggi prende un volto preciso: quello dei bambini di El Fasher, delle donne dei campi profughi di Zamzam e Abu Shouk, degli anziani che non riescono più a camminare per cercare cibo.

A loro vogliamo rispondere con misericordia concreta, perché la fame non può aspettare.

Fonte

Immagine

  • Foto di G star Media (Pexels)

Darfur, la fame come arma. Quando il cibo per animali diventa pasto per gli esseri umani, bisogna agire con le opere

“Dar da mangiare agli affamati” non è solo la prima delle opere di misericordia corporale, è anche uno dei gesti più urgenti e necessari per restituire dignità a chi vive nella miseria più estrema. Oggi, questo grido di misericordia si leva forte dal cuore dell’Africa, in particolare dal Darfur, una regione del Sudan dilaniata da anni di guerra, ma oggi colpita da una forma ancor più subdola e crudele di violenza: la fame come arma.

Il contesto: El Fasher sotto assedio

Nella città di El Fasher, capitale del Darfur Settentrionale, centinaia di migliaia di civili sono intrappolati da mesi in un assedio spietato da parte delle RSF (Rapid Support Forces). Le vie di accesso sono bloccate, i mercati sono svuotati, gli aiuti umanitari non riescono più a entrare. Il risultato? Il costo del cibo è diventato insostenibile, le scorte scarseggiano e i più poveri si ritrovano a mangiare ciò che non è mai stato pensato per gli esseri umani.

L’ambaz: sopravvivere con il cibo per animali

La popolazione affamata è costretta a nutrirsi di ambaz, un residuo agricolo usato normalmente come mangime per bestiame, ottenuto dalla spremitura di semi di girasole, sesamo o arachidi. Le madri lo cuociono come un porridge, cercando di sfamare almeno i più piccoli. Ma l’ambaz non è adatto al consumo umano: è povero di nutrienti, non contiene le vitamine essenziali e può sviluppare tossine pericolose per il fegato se conservato male. Ciononostante, è l’unico alimento disponibile per molti.

In alcune zone, una sola porzione di cibo costa quanto un’intera giornata di lavoro, rendendo impossibile per le famiglie acquistare anche solo il pane. La fame sta diventando strumento di controllo, una forma di guerra silenziosa che spezza corpi e speranze.

La carità come risposta alla guerra

In questo scenario, si fa ancora più urgente il richiamo alla misericordia attiva, alla concretezza dell’amore cristiano che si fa azione. La prima opera di misericordia corporale — “Dar da mangiare agli affamati” — non è un concetto astratto, ma un dovere che interpella ciascuno di noi.

Oggi, la fame nel Darfur ci chiede di non voltare lo sguardo altrove. Davanti a bambini costretti a mangiare cibo per animali, davanti a madri che cucinano porzioni che sanno non essere sicure, la carità non può essere rinviata.

Misericordia: una questione di giustizia

Dare da mangiare agli affamati non è solo un gesto di bontà, è un atto di giustizia. È restituire al fratello affamato ciò che gli spetta di diritto: la possibilità di vivere, di nutrirsi, di crescere. La carità vera è fatta di condivisione, ma anche di denuncia, di presa di posizione, di impegno per cambiare le strutture ingiuste che producono povertà e morte.

Come realtà impegnata a vivere e diffondere le opere di misericordia, spazio + spadoni non può restare indifferente. Di fronte alla tragedia del Darfur, sentiamo il bisogno di:

  • Informare, perché la consapevolezza è il primo passo verso il cambiamento;
  • Pregare, perché la fede sostiene l’azione e dà forza a chi soffre;
  • Agire, sostenendo le organizzazioni umanitarie che operano sul campo, promuovendo campagne solidali e mobilitando comunità e parrocchie.

Gesù ci ha detto: “Avevo fame e mi avete dato da mangiare” (Mt 25,35). Questa Parola oggi prende un volto preciso: quello dei bambini di El Fasher, delle donne dei campi profughi di Zamzam e Abu Shouk, degli anziani che non riescono più a camminare per cercare cibo.

A loro vogliamo rispondere con misericordia concreta, perché la fame non può aspettare.

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  • Foto di G star Media (Pexels)
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