Pepe Mujica: “Dobbiamo vivere per cercare di costruire speranza”
E’ morto l’ex presidente dell’Uruguay che, benché ateo, papa Francesco definiva “un uomo saggio”, lontano da spreco e consumismo
(Redazione Festival della Missione)
«È possibile parlare di solidarietà e che “siamo tutti uniti” in un’economia basata sulla concorrenza spietata?
Fin dove arriva la nostra fratellanza?».
Aveva chiesto davanti ai potenti del mondo a Rio, l’allora presidente dell’Uruguay, morto il 13 maggio all’età di 89 anni a Montevideo, a causa di un tumore all’esofago. «Il Nelson Mandela del Sudamerica», «il presidente più povero del mondo», «un Don Chisciotte travestito da Sancho Panza». Sono tante le definizioni che hanno provato a descriverlo. Papa Francesco lo aveva fatto semplicemente così: «Pepe Mujica è un uomo saggio».
Benché si sia sempre dichiarato ateo, aveva stretto una profonda e sincera amicizia con Bergoglio, che lo riteneva un «esempio per la politica latinoamericana e del mondo», «un politico di razza». Una comunanza che nella loro diversità risuona nel segno della sobrietà.
Diventato presidente tra il 2010 e il 2015, Mujica scelse di donare il 90% del suo stipendio a progetti sociali, destinando gran parte dei fondi alla costruzione di case popolari nelle periferie di Montevideo.
Continuò a vivere nella sua umile fattoria a Rincón del Cerro, lontano dai lussi del potere. In quell’isolamento rurale, Mujica si sentiva più a suo agio che nei palazzi del governo.
Nato nel 1935 nel quartiere rurale di Paso de la Arena da un’orticoltrice e un piccolo allevatore, Mujica iniziò presto a protestare per i diritti dei lavoratori del suo quartiere. A 14 anni già scendeva in strada per rivendicare salari più dignitosi.
Durante gli anni della militanza conobbe anche la compagna di tutta la vita, Lucia Topolansky, con la quale ha sempre vissuto nella sua fattoria a Rincón del Cerro, a mezz’ora di macchina da Montevideo. Da lì partì per il suo primo giorno da senatore nel 1999 in motocicletta, che non abbandonò mai insieme al suo Maggiolino Volkswagen azzurro del 1987.
Lì ha ha scelto di morire e di riposare “sotto la grande sequoia” dove nel 2018 aveva seppellito la sua cagnolina con tre zampe Manuela. Un uomo colto, amante della lettura – con una particolare predilezione per Seneca – icona della sinistra e amato dai giovani.
Della sua verbosità restano le tante frasi rimaste celebri: «Dobbiamo vivere per cercare di costruire speranza. Ciò che realizzeremo sarà poco rispetto a ciò che speriamo, ma che senso ha la vita se non abbiamo un piccolo sogno e una piccola speranza? Dobbiamo dare ragione al miracolo di essere nati».