Ubuntu, dignità e identità di ogni persona

Su Popoli e Missione, il giornalista Beppe Magri ci parla dell’Ubuntu, che in Africa è una cultura e uno stile di vita
I popoli di origine bantu dell’Africa subequatoriale nel loro patrimonio linguistico condividono il termine ubuntu, diffuso in tutto il mondo non per il suo significato di valore umano universale, ma semplicemente per essere stato adottato come “marchio” di un sistema operativo con varie applicazioni open source (cioè gratuite), utilizzato da milioni di utenti informatici.
In realtà la parola ubuntu, traducibile in «io sono perché noi siamo» rappresenta uno dei capisaldi culturali dell’Africa in quanto ne sintetizza il proprio essere sociale, stabilendo l’identità di ogni persona attraverso il riconoscimento della reciproca dignità.
Più che nelle elaborazioni intellettuali o digitali), quindi, il significato del termine ubuntu è da ricercare o riscoprire nella saggezza popolare che le culture tradizionali sono in grado di trasmettere per tenere saldi i legami sociali.
Eppure ai giorni nostri si stanno diffondendo nuove culture asociali generate dalla globalizzazione, come quelle che, per intenderci, papa Francesco chiama «cultura dello scarto» e «cultura dell’indifferenza». Esse rappresentano la negazione dei principi universali condivisi che garantiscono la fecondità dei passaggi intergenerazionali per l’intera umanità. Principi e valori compromessi dalla “manipolazione delle coscienze” operata dai potentati economici capaci di farsi rappresentativi anche del potere politico e militare in molte parti del mondo.
I primi a farne le spese sono come sempre i poveri, per i quali queste “culture” individualiste e consumiste non riservano alcuno spazio di reale libertà. L’ubuntu, invece, rappresenta un pensiero sociale umanizzante, la proposta di un vero e proprio stile di vita comunitario. L’«io sono perché noi siamo» esprime anche un pensiero pratico dal valore universale, patrimonio certamente della cultura africana che l’ha partorito, ma che può essere condiviso da tutte le culture ancora in grado di resistere alla famelica avidità di denaro, di potere e di prestigio.
In fin dei conti, nonostante l’attuale tempo storico avverso, l’ubuntu è, di fatto, uno stile di vita personale e comunitario già praticato in molte parti del mondo e testimoniato in particolare dai tanti missionari che, con la loro dedizione evangelica ai più poveri nelle “periferie geografiche ed esistenziali” dei cinque continenti, rendono presente questa forma concreta di “fraternità e amicizia sociale”. «Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”.» (Fratelli tutti, 35).
Fonte
- Popoli e Misisone, aprile 2025, p. 50
Su Popoli e Missione, il giornalista Beppe Magri ci parla dell’Ubuntu, che in Africa è una cultura e uno stile di vita
I popoli di origine bantu dell’Africa subequatoriale nel loro patrimonio linguistico condividono il termine ubuntu, diffuso in tutto il mondo non per il suo significato di valore umano universale, ma semplicemente per essere stato adottato come “marchio” di un sistema operativo con varie applicazioni open source (cioè gratuite), utilizzato da milioni di utenti informatici.
In realtà la parola ubuntu, traducibile in «io sono perché noi siamo» rappresenta uno dei capisaldi culturali dell’Africa in quanto ne sintetizza il proprio essere sociale, stabilendo l’identità di ogni persona attraverso il riconoscimento della reciproca dignità.
Più che nelle elaborazioni intellettuali o digitali), quindi, il significato del termine ubuntu è da ricercare o riscoprire nella saggezza popolare che le culture tradizionali sono in grado di trasmettere per tenere saldi i legami sociali.
Eppure ai giorni nostri si stanno diffondendo nuove culture asociali generate dalla globalizzazione, come quelle che, per intenderci, papa Francesco chiama «cultura dello scarto» e «cultura dell’indifferenza». Esse rappresentano la negazione dei principi universali condivisi che garantiscono la fecondità dei passaggi intergenerazionali per l’intera umanità. Principi e valori compromessi dalla “manipolazione delle coscienze” operata dai potentati economici capaci di farsi rappresentativi anche del potere politico e militare in molte parti del mondo.
I primi a farne le spese sono come sempre i poveri, per i quali queste “culture” individualiste e consumiste non riservano alcuno spazio di reale libertà. L’ubuntu, invece, rappresenta un pensiero sociale umanizzante, la proposta di un vero e proprio stile di vita comunitario. L’«io sono perché noi siamo» esprime anche un pensiero pratico dal valore universale, patrimonio certamente della cultura africana che l’ha partorito, ma che può essere condiviso da tutte le culture ancora in grado di resistere alla famelica avidità di denaro, di potere e di prestigio.
In fin dei conti, nonostante l’attuale tempo storico avverso, l’ubuntu è, di fatto, uno stile di vita personale e comunitario già praticato in molte parti del mondo e testimoniato in particolare dai tanti missionari che, con la loro dedizione evangelica ai più poveri nelle “periferie geografiche ed esistenziali” dei cinque continenti, rendono presente questa forma concreta di “fraternità e amicizia sociale”. «Voglia il Cielo che alla fine non ci siano più “gli altri”, ma solo un “noi”.» (Fratelli tutti, 35).
Fonte
- Popoli e Misisone, aprile 2025, p. 50
