Vi racconto la mia vita missionaria (I parte)

Foto di p. Stefano Camerlengo
Pubblichiamo in tre parti la testimonianza missionaria di p. Stefano Camerlengo, della Consolata, che ora ci scrive dalla Costa d’Avorio
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In Repubblica democratica del Congo, o meglio in Zaire, come si chiamava allora, ho fatto la mia prima esperienza di missione, come diacono. Questo percorso è stato così positivo, e grande era il legame con la gente, che ho chiesto di essere ordinato sacerdote in mezzo a loro. La comunità nella quale avevo lavorato, mi aveva accettato come figlio: era la «mia nuova famiglia».
Dopo l’ordinazione, passai un periodo di missione in Italia, nell’animazione missionaria e nell’accoglienza dei migranti, per tornare poi finalmente in Congo.
Qui ho fatto diverse attività. Ho vissuto in foresta, condividendo la mia vocazione con la gente dei villaggi più sperduti. Ho prestato servizio nella formazione dei giovani missionari e, infine, sono stato responsabile del gruppo dei missionari che lavoravano a Kinshasa, la gigantesca e brulicante capitale.
L’esperienza in Congo è stata per me un grande dono di Dio. Ho vissuto momenti difficili per la situazione travagliata del Paese. Ho sentito forte dentro di me il senso d’impotenza. La missione è anche questo: ti trovi a vivere situazioni nelle quali non hai potere su niente e devi condividere anche questa «inutilità».
La missione è stata per me soprattutto «condivisione della debolezza». I pigmei dicono: «Lo scoiattolo è piccolo, però non è schiavo dell’elefante!». Questo per me è il Vangelo: la forza debole dei poveri.
Poi ci sono esperienze bellissime, autentiche gocce di speranza che ti permettono di andare avanti, anche quando il cammino si fa troppo complicato. Come durante la guerra in Congo, quando ho dovuto abbandonare la missione, scappare con altri abitanti del quartiere, perché ci hanno informato che stanno per bombardare la zona. È un esodo di tristezza, di abbandono, di pianto. Ho vissuto con la gente sulla strada per tre giorni, sfollati. Finiti i bombardamenti ero pronto a tornare a vedere cosa era successo alla missione. Mi alzai, e allora, come per incanto, anche la gente si mise in piedi e decide di rientrare con me. Il missionario come vero pastore che in nome di Gesù riunisce, indica il cammino, marcia con la sua gente, da forza. Una cordata di fraternità e speranza!
Vita di missione
Queste esperienze di vita missionaria mi hanno marcato profondamente e me le porto dentro ancora oggi, in tutti i servizi che sono chiamato a svolgere.
In particolare, posso riassumere tre idee-forza che non mi abbandonano mai.
- Dobbiamo essere «degni» della missione, non dobbiamo aspettarci il ringraziamento della gente per la nostra presenza. Siamo noi che dobbiamo ringraziare perché ci accettano tra loro.
- Nella missione è sempre maggiore quanto ricevi, rispetto a quanto riesci a dare. Alla fine, ti trovi a essere sempre in debito, sia con la gente che con Dio Padre.
- Se vuoi vivere e condividere la tua vita con gli ultimi e i poveri, devi accettarli per quello che sono e non come tu li vorresti; questo è l’inizio di ogni servizio e di ogni cambiamento.
Immagine
- Foto di p. Stefano Camerlengo
Pubblichiamo in tre parti la testimonianza missionaria di p. Stefano Camerlengo, della Consolata, che ora ci scrive dalla Costa d’Avorio
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In Repubblica democratica del Congo, o meglio in Zaire, come si chiamava allora, ho fatto la mia prima esperienza di missione, come diacono. Questo percorso è stato così positivo, e grande era il legame con la gente, che ho chiesto di essere ordinato sacerdote in mezzo a loro. La comunità nella quale avevo lavorato, mi aveva accettato come figlio: era la «mia nuova famiglia».
Dopo l’ordinazione, passai un periodo di missione in Italia, nell’animazione missionaria e nell’accoglienza dei migranti, per tornare poi finalmente in Congo.
Qui ho fatto diverse attività. Ho vissuto in foresta, condividendo la mia vocazione con la gente dei villaggi più sperduti. Ho prestato servizio nella formazione dei giovani missionari e, infine, sono stato responsabile del gruppo dei missionari che lavoravano a Kinshasa, la gigantesca e brulicante capitale.
L’esperienza in Congo è stata per me un grande dono di Dio. Ho vissuto momenti difficili per la situazione travagliata del Paese. Ho sentito forte dentro di me il senso d’impotenza. La missione è anche questo: ti trovi a vivere situazioni nelle quali non hai potere su niente e devi condividere anche questa «inutilità».
La missione è stata per me soprattutto «condivisione della debolezza». I pigmei dicono: «Lo scoiattolo è piccolo, però non è schiavo dell’elefante!». Questo per me è il Vangelo: la forza debole dei poveri.
Poi ci sono esperienze bellissime, autentiche gocce di speranza che ti permettono di andare avanti, anche quando il cammino si fa troppo complicato. Come durante la guerra in Congo, quando ho dovuto abbandonare la missione, scappare con altri abitanti del quartiere, perché ci hanno informato che stanno per bombardare la zona. È un esodo di tristezza, di abbandono, di pianto. Ho vissuto con la gente sulla strada per tre giorni, sfollati. Finiti i bombardamenti ero pronto a tornare a vedere cosa era successo alla missione. Mi alzai, e allora, come per incanto, anche la gente si mise in piedi e decide di rientrare con me. Il missionario come vero pastore che in nome di Gesù riunisce, indica il cammino, marcia con la sua gente, da forza. Una cordata di fraternità e speranza!
Vita di missione
Queste esperienze di vita missionaria mi hanno marcato profondamente e me le porto dentro ancora oggi, in tutti i servizi che sono chiamato a svolgere.
In particolare, posso riassumere tre idee-forza che non mi abbandonano mai.
- Dobbiamo essere «degni» della missione, non dobbiamo aspettarci il ringraziamento della gente per la nostra presenza. Siamo noi che dobbiamo ringraziare perché ci accettano tra loro.
- Nella missione è sempre maggiore quanto ricevi, rispetto a quanto riesci a dare. Alla fine, ti trovi a essere sempre in debito, sia con la gente che con Dio Padre.
- Se vuoi vivere e condividere la tua vita con gli ultimi e i poveri, devi accettarli per quello che sono e non come tu li vorresti; questo è l’inizio di ogni servizio e di ogni cambiamento.
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- Foto di p. Stefano Camerlengo

Foto di p. Stefano Camerlengo