Ruanda | “Anche due ruote possono diventare motore di misericordia”

il: 

12 Agosto 2025

di: 

Ruanda

Il nostro corrispondente Rodrigue ci racconta le opere di misericordia a Rwamagana, in Ruanda, dove un gruppo di volontari fa visita ai poveri e agli ammalati in bicicletta

A una dozzina di chilometri da Rwamagana, nel villaggio di Ruhunda, un gruppo di volontari ha trovato nelle opere di misericordia un modo concreto per vivere le opere di misericordia nella vita quotidiana. Attorno a suor Illuminée, religiosa della Congregazione Ingoro y’orukundo (Casa della carità), questi uomini, donne, giovani e bambini si sono riuniti da due anni per fare della compassione e del servizio ai malati la loro missione cristiana. È una comunità animata dallo stesso spirito: vivere le opere di misericordia con generosità, semplicità e fedeltà.

Questo gruppo è nato sulla scia della “RéEvolution des œuvres de miséricorde” (RiEvoluzione delle opere di misericordia), un’iniziativa lanciata da spazio + spadoni attraverso il progetto Opera M. Un’iniziativa che vuole rinnovare la comprensione e la pratica delle opere di misericordia nel contesto contemporaneo, ponendo l’accento sull’impegno nei confronti dei più vulnerabili.
I volontari di Ruhunda hanno fatto propria questa visione. Il loro motto è chiaro: la misericordia non si limita a un ideale spirituale, ma si traduce in gesti concreti di compassione, condivisione e amore per il prossimo.

Lo scorso 20 luglio, questa convinzione si è concretizzata ancora una volta in un’azione semplice ma potente. I volontari si sono organizzati misericordia-bicicletta2per visitare i malati dell’ospedale di Rwamagana.
Si sono impegnati a visitare i malati più dimenticati, i più poveri, quelli che non hanno parenti che possano andare a trovarli o portare loro un pasto caldo. Grazie a un’ammirevole mobilitazione della comunità, sono riusciti a preparare e distribuire pasti caldi a più di 400 pazienti. Riso, fagioli, banane plantain, verdure: cibi semplici ma ricchi di calore umano.

Aurore, una delle volontarie, ci racconta con emozione i preparativi di questa giornata: «Come avete visto nelle immagini, abbiamo trasportato il cibo in secchi, sulle biciclette. Dalla nostra parrocchia all’ospedale ci sono circa 12 chilometri. Chi aveva la moto l’ha usata, ma per molti di noi era la bicicletta o i piedi». Aggiunge con un sorriso: «L’amore non conosce limiti. Anche due ruote possono diventare motore di misericordia».

Questa iniziativa nasce dalla condivisione dei beni da parte dei membri. Tutto è stato realizzato con risorse locali, in uno spirito di donazione volontaria. Ognuno dà ciò che può: banane dal proprio campo, fagioli del proprio raccolto, qualche pezzo di carbone per cucinare o anche solo dell’acqua. Alcuni si occupano della cucina, altri della logistica, altri ancora del coordinamento con le autorità sanitarie. È stata inviata una lettera all’ospedale tramite il parroco della parrocchia, per annunciare la visita e concordare il momento opportuno.

Questo tipo di organizzazione popolare è emblematico di una Chiesa che vuole essere vicina alla gente, radicata nella vita quotidiana. Non si tratta semplicemente di fare del bene, ma di creare legami, di costruire una comunità di fratellanza attorno ai più deboli. L’esperienza vissuta a Ruhunda dimostra che le opere di misericordia non sono solo una responsabilità individuale, ma una dinamica comunitaria che trasforma le relazioni e dà un volto concreto al Vangelo.

Incontrando i malati, parlando con loro, ascoltandoli, condividendo un pasto con loro, questi volontari incarnano una Chiesa in uscita, come desiderava Papa Francesco. Una Chiesa che non si accontenta di predicare, ma che cammina con i poveri, li sostiene e riconosce in loro la presenza di Cristo sofferente.

Una Chiesa-comunione che dimostra come un piccolo gruppo, con pochi mezzi, possa realizzare grandi cose quando è animato dall’amore per il prossimo. Ciò ci ricorda che le opere di misericordia rimangono ancora oggi un potente strumento per costruire un’umanità più fraterna.

Fonte e immagine

Il nostro corrispondente Rodrigue ci racconta le opere di misericordia a Rwamagana, in Ruanda, dove un gruppo di volontari fa visita ai poveri e agli ammalati in bicicletta

A una dozzina di chilometri da Rwamagana, nel villaggio di Ruhunda, un gruppo di volontari ha trovato nelle opere di misericordia un modo concreto per vivere le opere di misericordia nella vita quotidiana. Attorno a suor Illuminée, religiosa della Congregazione Ingoro y’orukundo (Casa della carità), questi uomini, donne, giovani e bambini si sono riuniti da due anni per fare della compassione e del servizio ai malati la loro missione cristiana. È una comunità animata dallo stesso spirito: vivere le opere di misericordia con generosità, semplicità e fedeltà.

Questo gruppo è nato sulla scia della “RéEvolution des œuvres de miséricorde” (RiEvoluzione delle opere di misericordia), un’iniziativa lanciata da spazio + spadoni attraverso il progetto Opera M. Un’iniziativa che vuole rinnovare la comprensione e la pratica delle opere di misericordia nel contesto contemporaneo, ponendo l’accento sull’impegno nei confronti dei più vulnerabili.
I volontari di Ruhunda hanno fatto propria questa visione. Il loro motto è chiaro: la misericordia non si limita a un ideale spirituale, ma si traduce in gesti concreti di compassione, condivisione e amore per il prossimo.

Lo scorso 20 luglio, questa convinzione si è concretizzata ancora una volta in un’azione semplice ma potente. I volontari si sono organizzati misericordia-bicicletta2per visitare i malati dell’ospedale di Rwamagana.
Si sono impegnati a visitare i malati più dimenticati, i più poveri, quelli che non hanno parenti che possano andare a trovarli o portare loro un pasto caldo. Grazie a un’ammirevole mobilitazione della comunità, sono riusciti a preparare e distribuire pasti caldi a più di 400 pazienti. Riso, fagioli, banane plantain, verdure: cibi semplici ma ricchi di calore umano.

Aurore, una delle volontarie, ci racconta con emozione i preparativi di questa giornata: «Come avete visto nelle immagini, abbiamo trasportato il cibo in secchi, sulle biciclette. Dalla nostra parrocchia all’ospedale ci sono circa 12 chilometri. Chi aveva la moto l’ha usata, ma per molti di noi era la bicicletta o i piedi». Aggiunge con un sorriso: «L’amore non conosce limiti. Anche due ruote possono diventare motore di misericordia».

Questa iniziativa nasce dalla condivisione dei beni da parte dei membri. Tutto è stato realizzato con risorse locali, in uno spirito di donazione volontaria. Ognuno dà ciò che può: banane dal proprio campo, fagioli del proprio raccolto, qualche pezzo di carbone per cucinare o anche solo dell’acqua. Alcuni si occupano della cucina, altri della logistica, altri ancora del coordinamento con le autorità sanitarie. È stata inviata una lettera all’ospedale tramite il parroco della parrocchia, per annunciare la visita e concordare il momento opportuno.

Questo tipo di organizzazione popolare è emblematico di una Chiesa che vuole essere vicina alla gente, radicata nella vita quotidiana. Non si tratta semplicemente di fare del bene, ma di creare legami, di costruire una comunità di fratellanza attorno ai più deboli. L’esperienza vissuta a Ruhunda dimostra che le opere di misericordia non sono solo una responsabilità individuale, ma una dinamica comunitaria che trasforma le relazioni e dà un volto concreto al Vangelo.

Incontrando i malati, parlando con loro, ascoltandoli, condividendo un pasto con loro, questi volontari incarnano una Chiesa in uscita, come desiderava Papa Francesco. Una Chiesa che non si accontenta di predicare, ma che cammina con i poveri, li sostiene e riconosce in loro la presenza di Cristo sofferente.

Una Chiesa-comunione che dimostra come un piccolo gruppo, con pochi mezzi, possa realizzare grandi cose quando è animato dall’amore per il prossimo. Ciò ci ricorda che le opere di misericordia rimangono ancora oggi un potente strumento per costruire un’umanità più fraterna.

Fonte e immagine

Ruanda

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