Un’opera di misericordia a settimana con… Carlo Miglietta | 6. VISITARE I CARCERATI

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10 Ottobre 2025

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Visitare i carcerati

Il commento del biblista Carlo Miglietta della sesta opera di misericordia corporale: Visitare i carcerati

La situazione

Nel mondo centinaia di migliaia di persone sono nelle carceri, spesso totalmente innocenti, ma scomode al regime di turno, trattate con disumanità, violenza, talora torture.

In Italia, al 30 giugno 2024, il numero di detenuti nelle carceri italiane era di 61.480, con un aumento di 1.314 unità rispetto al semestre precedente. Le carceri italiane sono sovraffollate, con un tasso di affollamento del 119%, cioè ovvero 61.468 detenuti per 47.067 posti.

Il sovraffollamento porta a una serie di problemi: gli spazi ristretti, la mancanza di igiene, la difficoltà a garantire servizi essenziali, l’aumento di rischio di conflitti e aggressioni, l’impossibilità di offrire programmi di riabilitazione e inserimento lavorativo.

Circa il 60% dei condannati ha già scontato una pena in carcere, indicando un problema di recidiva. Il 31% dei detenuti sono cittadini di altri Paesi. Le donne rappresentano il 4,3% dei detenuti. Pochi detenuti, il 24%, sono coinvolti in attività lavorative, e solo il 34% frequenta corsi di istruzione. Seimila persone detenute nel nostro paese hanno una diagnosi psichiatrica grave, e quindicimila fanno uso di psicofarmaci.

Sommando i suicidi in carcere avvenuti nel 2024 e quelli avvenuti tra gennaio e maggio 2025 si arriva ad un totale di 124 casi, mentre almeno 2.262 persone sono state salvati in extremis da compagni di cella o da agenti.

Il carcerato è persona

Il giudice Rodolfo Venditti affermava: “Non esiste un ladro, ma una persona che ha commesso un furto; non esiste un assassino, ma una persona che ha commesso un omicidio; non esiste uno stupratore, ma una persona che ha commesso uno stupro, ma ha tutte le possibilità di non sbagliare più in futuro” (Giustizia come servizio all’uomo. Riflessioni di un magistrato, 1995 e 2017).

Più volte don Luigi Ciotti ha affermato che se fossimo vissuti in contesti sociali di alcuni che definiamo criminali, senza affetti, senza educazione, senza modelli positivi, forse anche noi saremmo peggiori di loro.

Ha detto papa Francesco ai reclusi di San Vittore a Milano nel 2017: “Io non ho il coraggio di dire a nessuna persona che è in carcere: «Se lo merita». Perché voi e non io? Il Signore ama me quanto voi, lo stesso Gesù è in voi e in me, noi siamo fratelli peccatori”. E ancora: “Gesù non ha dimenticato neppure i detenuti. Ponendo la visita ai carcerati tra le opere di misericordia, ha voluto invitarci, anzitutto, a non farci giudici di nessuno… Qualunque cosa un carcerato possa aver fatto, egli rimane pur sempre amato da Dio. Chi può entrare nell’intimo della sua coscienza per capire che cosa prova? Chi può comprenderne il dolore e il rimorso? È troppo facile lavarsi le mani affermando che ha sbagliato. Un cristiano è chiamato piuttosto a farsene carico, perché chi ha sbagliato comprenda il male compiuto e ritorni in sé stesso. La mancanza di libertà è senza dubbio una delle privazioni più grandi per l’essere umano. Se a questa si aggiunge il degrado per le condizioni spesso prive di umanità in cui queste persone si trovano a vivere, allora è davvero il caso in cui un cristiano si sente provocato a fare di tutto per restituire loro dignità”.

Ma Dio “non disprezza i suoi che sono prigionieri” (Sl 68,34), “fa uscire con gioia i prigionieri” (Sl 67,7), “libera i prigionieri” (Sl 145,7), “riconduce i prigionieri di Sion” (Sl 125,1), “strappa dal carcere la mia vita” (Sl 141,8).

E Gesù si dichiara venuto per “per proclamare ai prigionieri la liberazione…, per rimettere in libertà gli oppressi” (Lc 4,18; cfr Is 61,1; 42,7; 49,9): “Per questo sta scritto: «Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri»” (Ef 4,8; cfr Sl 67,19).

“Uno degli ultimi impegni pubblici di papa Francesco è stato giovedì Santo 17 aprile 2025, pochi giorni prima di morire, quando si è recato al carcere di Regina Coeli per incontrare le persone detenute.

Si tratta di un appuntamento che il Pontefice aveva rinnovato di anno in anno. «A me piace fare tutti gli anni quello che ha fatto Gesù il Giovedì Santo, la lavanda dei piedi, in carcere», aveva detto il Papa.

Durante il suo magistero con frequenza ha manifestato preoccupazione per le condizioni di detenzione, chiedendo anche provvedimenti di clemenza per le persone detenute” (P. Gonnella).

Il 26 dicembre 2024, papa Francesco aveva voluto aprire la Porta Santa nella chiesa del Padre Nostro, all’interno del carcere romano di Rebibbia con un gesto che ha fatto la storia: è stata la prima volta che un pontefice ha aperto una Porta Santa non in una basilica ma all’interno di un penitenziario che, però, come dichiarò lui stesso, per un giorno è diventato esso stessa “basilica”.

“Io – fu allora il commento del Pontefice – ho voluto spalancare la Porta oggi, qui. La prima l’ho fatta a San Pietro, la seconda è vostra. È un bel gesto quello di spalancare, aprire: aprire le porte. Ma più importante è quello che significa: è aprire il cuore. I cuori chiusi, quelli duri, non aiutano a vivere, per questo la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire, e soprattutto, aprire i cuori alla speranza. Vi auguro molta pace, molta pace. E tutti i giorni prego per voi”. E, nel suo testamento, ha donato duecentomila euro ai detenuti, come gesto concreto di solidarietà e di aiuto.

Gesù carcerato

            Ha detto papa Francesco: “Non dimentichiamo che anche Gesù e gli apostoli hanno fatto esperienza della prigione. Nei racconti della Passione conosciamo le sofferenze a cui il Signore è stato sottoposto: catturato, trascinato come un malfattore, deriso, flagellato, incoronato di spine… Lui, il solo Innocente! E anche san Pietro e san Paolo sono stati in carcere (cfr At 12,5; Fil 1,12-17)… È commovente la pagina degli Atti degli Apostoli in cui viene raccontata la prigionia di Paolo: si sentiva solo e desiderava che qualcuno degli amici gli facesse visita (cfr 2 Tm 4,9-15). Si sentiva solo perché la grande maggioranza lo aveva lasciato solo… il grande Paolo”.

Ha detto il cardinal Zuppi: “I detenuti sono i fratelli più piccoli di Gesù”.

Che cosa possiamo fare

            Ci sono tante associazioni di volontariato che entrano nelle carceri per aiutare i Cappellani, i pochi Psicologi, gli Assistenti sociali. Ogni Parrocchia, Gruppo, Movimento dovrebbe affiancare queste Associazioni fornendo materiale di vestiario e per l’igiene personale ai detenuti bisognosi, abilitandosi alle visite ai carcerati, entrando in corrispondenza con loro, creando posti di accoglienza ove i detenuti passare i tempi di libertà vigilata, inserendo i carcerati, finita la pena, nel mondo del lavoro o fornendo loro una sistemazione abitativa.

Con la stessa carità con cui i buoni Samaritani, ai tempi di Acaz, re di Giuda, “si misero a rifocillare i prigionieri; quanti erano nudi li rivestirono e li calzarono con capi di vestiario presi dal bottino; diedero loro da mangiare e da bere, li medicarono con unzioni; quindi, trasportando su asini gli inabili a marciare, li condussero in Gerico, città delle palme, presso i loro fratelli. Poi tornarono in Samaria” (2 Cr 28,15).

“Ma al di là della possibilità di «entrare» in carcere per un gesto di solidarietà, la questione si pone in termini culturali. Siamo in grado di riconoscere il peso della solitudine e dell’umiliazione, del rimorso e della disperazione di chi vive recluso, e cercare di colmare un abisso che solo l’accoglienza e la vicinanza possono in qualche modo fare propri? Siamo in grado di interrogarci rispetto a quali misure riusciranno a rendere consapevole del male compiuto colui che ha trasgredito? Riusciamo ad immaginare quali processi potranno generare una riconciliazione tra «vittima» e «carnefice»?” (R. Davanzo).

Ciascuno deve interrogarsi su come obbedire al comando della Parola di Dio: “Avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di esser spogliati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e più duraturi” (Eb 10,34); “Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che soffrono, essendo anche voi in un corpo mortale” (Eb 13,3).

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Il commento del biblista Carlo Miglietta della sesta opera di misericordia corporale: Visitare i carcerati

La situazione

Nel mondo centinaia di migliaia di persone sono nelle carceri, spesso totalmente innocenti, ma scomode al regime di turno, trattate con disumanità, violenza, talora torture.

In Italia, al 30 giugno 2024, il numero di detenuti nelle carceri italiane era di 61.480, con un aumento di 1.314 unità rispetto al semestre precedente. Le carceri italiane sono sovraffollate, con un tasso di affollamento del 119%, cioè ovvero 61.468 detenuti per 47.067 posti.

Il sovraffollamento porta a una serie di problemi: gli spazi ristretti, la mancanza di igiene, la difficoltà a garantire servizi essenziali, l’aumento di rischio di conflitti e aggressioni, l’impossibilità di offrire programmi di riabilitazione e inserimento lavorativo.

Circa il 60% dei condannati ha già scontato una pena in carcere, indicando un problema di recidiva. Il 31% dei detenuti sono cittadini di altri Paesi. Le donne rappresentano il 4,3% dei detenuti. Pochi detenuti, il 24%, sono coinvolti in attività lavorative, e solo il 34% frequenta corsi di istruzione. Seimila persone detenute nel nostro paese hanno una diagnosi psichiatrica grave, e quindicimila fanno uso di psicofarmaci.

Sommando i suicidi in carcere avvenuti nel 2024 e quelli avvenuti tra gennaio e maggio 2025 si arriva ad un totale di 124 casi, mentre almeno 2.262 persone sono state salvati in extremis da compagni di cella o da agenti.

Il carcerato è persona

Il giudice Rodolfo Venditti affermava: “Non esiste un ladro, ma una persona che ha commesso un furto; non esiste un assassino, ma una persona che ha commesso un omicidio; non esiste uno stupratore, ma una persona che ha commesso uno stupro, ma ha tutte le possibilità di non sbagliare più in futuro” (Giustizia come servizio all’uomo. Riflessioni di un magistrato, 1995 e 2017).

Più volte don Luigi Ciotti ha affermato che se fossimo vissuti in contesti sociali di alcuni che definiamo criminali, senza affetti, senza educazione, senza modelli positivi, forse anche noi saremmo peggiori di loro.

Ha detto papa Francesco ai reclusi di San Vittore a Milano nel 2017: “Io non ho il coraggio di dire a nessuna persona che è in carcere: «Se lo merita». Perché voi e non io? Il Signore ama me quanto voi, lo stesso Gesù è in voi e in me, noi siamo fratelli peccatori”. E ancora: “Gesù non ha dimenticato neppure i detenuti. Ponendo la visita ai carcerati tra le opere di misericordia, ha voluto invitarci, anzitutto, a non farci giudici di nessuno… Qualunque cosa un carcerato possa aver fatto, egli rimane pur sempre amato da Dio. Chi può entrare nell’intimo della sua coscienza per capire che cosa prova? Chi può comprenderne il dolore e il rimorso? È troppo facile lavarsi le mani affermando che ha sbagliato. Un cristiano è chiamato piuttosto a farsene carico, perché chi ha sbagliato comprenda il male compiuto e ritorni in sé stesso. La mancanza di libertà è senza dubbio una delle privazioni più grandi per l’essere umano. Se a questa si aggiunge il degrado per le condizioni spesso prive di umanità in cui queste persone si trovano a vivere, allora è davvero il caso in cui un cristiano si sente provocato a fare di tutto per restituire loro dignità”.

Ma Dio “non disprezza i suoi che sono prigionieri” (Sl 68,34), “fa uscire con gioia i prigionieri” (Sl 67,7), “libera i prigionieri” (Sl 145,7), “riconduce i prigionieri di Sion” (Sl 125,1), “strappa dal carcere la mia vita” (Sl 141,8).

E Gesù si dichiara venuto per “per proclamare ai prigionieri la liberazione…, per rimettere in libertà gli oppressi” (Lc 4,18; cfr Is 61,1; 42,7; 49,9): “Per questo sta scritto: «Ascendendo in cielo ha portato con sé prigionieri»” (Ef 4,8; cfr Sl 67,19).

“Uno degli ultimi impegni pubblici di papa Francesco è stato giovedì Santo 17 aprile 2025, pochi giorni prima di morire, quando si è recato al carcere di Regina Coeli per incontrare le persone detenute.

Si tratta di un appuntamento che il Pontefice aveva rinnovato di anno in anno. «A me piace fare tutti gli anni quello che ha fatto Gesù il Giovedì Santo, la lavanda dei piedi, in carcere», aveva detto il Papa.

Durante il suo magistero con frequenza ha manifestato preoccupazione per le condizioni di detenzione, chiedendo anche provvedimenti di clemenza per le persone detenute” (P. Gonnella).

Il 26 dicembre 2024, papa Francesco aveva voluto aprire la Porta Santa nella chiesa del Padre Nostro, all’interno del carcere romano di Rebibbia con un gesto che ha fatto la storia: è stata la prima volta che un pontefice ha aperto una Porta Santa non in una basilica ma all’interno di un penitenziario che, però, come dichiarò lui stesso, per un giorno è diventato esso stessa “basilica”.

“Io – fu allora il commento del Pontefice – ho voluto spalancare la Porta oggi, qui. La prima l’ho fatta a San Pietro, la seconda è vostra. È un bel gesto quello di spalancare, aprire: aprire le porte. Ma più importante è quello che significa: è aprire il cuore. I cuori chiusi, quelli duri, non aiutano a vivere, per questo la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire, e soprattutto, aprire i cuori alla speranza. Vi auguro molta pace, molta pace. E tutti i giorni prego per voi”. E, nel suo testamento, ha donato duecentomila euro ai detenuti, come gesto concreto di solidarietà e di aiuto.

Gesù carcerato

            Ha detto papa Francesco: “Non dimentichiamo che anche Gesù e gli apostoli hanno fatto esperienza della prigione. Nei racconti della Passione conosciamo le sofferenze a cui il Signore è stato sottoposto: catturato, trascinato come un malfattore, deriso, flagellato, incoronato di spine… Lui, il solo Innocente! E anche san Pietro e san Paolo sono stati in carcere (cfr At 12,5; Fil 1,12-17)… È commovente la pagina degli Atti degli Apostoli in cui viene raccontata la prigionia di Paolo: si sentiva solo e desiderava che qualcuno degli amici gli facesse visita (cfr 2 Tm 4,9-15). Si sentiva solo perché la grande maggioranza lo aveva lasciato solo… il grande Paolo”.

Ha detto il cardinal Zuppi: “I detenuti sono i fratelli più piccoli di Gesù”.

Che cosa possiamo fare

            Ci sono tante associazioni di volontariato che entrano nelle carceri per aiutare i Cappellani, i pochi Psicologi, gli Assistenti sociali. Ogni Parrocchia, Gruppo, Movimento dovrebbe affiancare queste Associazioni fornendo materiale di vestiario e per l’igiene personale ai detenuti bisognosi, abilitandosi alle visite ai carcerati, entrando in corrispondenza con loro, creando posti di accoglienza ove i detenuti passare i tempi di libertà vigilata, inserendo i carcerati, finita la pena, nel mondo del lavoro o fornendo loro una sistemazione abitativa.

Con la stessa carità con cui i buoni Samaritani, ai tempi di Acaz, re di Giuda, “si misero a rifocillare i prigionieri; quanti erano nudi li rivestirono e li calzarono con capi di vestiario presi dal bottino; diedero loro da mangiare e da bere, li medicarono con unzioni; quindi, trasportando su asini gli inabili a marciare, li condussero in Gerico, città delle palme, presso i loro fratelli. Poi tornarono in Samaria” (2 Cr 28,15).

“Ma al di là della possibilità di «entrare» in carcere per un gesto di solidarietà, la questione si pone in termini culturali. Siamo in grado di riconoscere il peso della solitudine e dell’umiliazione, del rimorso e della disperazione di chi vive recluso, e cercare di colmare un abisso che solo l’accoglienza e la vicinanza possono in qualche modo fare propri? Siamo in grado di interrogarci rispetto a quali misure riusciranno a rendere consapevole del male compiuto colui che ha trasgredito? Riusciamo ad immaginare quali processi potranno generare una riconciliazione tra «vittima» e «carnefice»?” (R. Davanzo).

Ciascuno deve interrogarsi su come obbedire al comando della Parola di Dio: “Avete preso parte alle sofferenze dei carcerati e avete accettato con gioia di esser spogliati delle vostre sostanze, sapendo di possedere beni migliori e più duraturi” (Eb 10,34); “Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che soffrono, essendo anche voi in un corpo mortale” (Eb 13,3).

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