L’Eucarestia è “fonte e apice della vita cristiana” (LG n. 11). I Sinottici si soffermano a lungo sulla sua istituzione, alla vigilia della Passione: tutti considerano fondamentale “quel” gesto operato da Gesù.
Era tipico degli antichi profeti esprimersi attraverso azioni sceniche, gesti simbolico-rivelativi, talora veri e propri “mimi”, che dovevano servire a imprimere bene, nella mente degli astanti, un preciso messaggio (Ger 13,1-11; 18,1-12; 19; 27-28,10; 51,63; Ez 3,24-5,4; Zac 11,15…). Nell’ultima Cena, Gesù compie un “mimo”: prende il pane e il vino, e li dà in cibo e bevanda, affermando che essi sono il suo corpo e il suo sangue “versati per molti”: è la rivelazione “scenica” del suo amore, del suo donarsi totalmente, del suo svuotarsi fino al sacrificio supremo. Anche noi talora diciamo: “Ti voglio così bene che ti mangerei”: e Gesù ci dice che ci ha amato fino a farsi mangiare, fino ad essere consumato per noi: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). E obbliga i suoi a vivere nella stessa logica di amore e di dono: “Fate questo in memoria di me” (1 Cor 11,24-25).
Per questo Giovanni non riporta il racconto dell’istituzione dell’Eucarestia, ma lo sostituisce con quello della lavanda dei piedi (Gv 13,1-30): con un “mimo” parallelo, egli fa la migliore esegesi dell’Eucarestia: essa è Dio che scende all’ultimo posto, che si fa schiavo per amore, che serve fino al dono totale. E i discepoli del Signore dovranno lavarsi i piedi gli uni gli altri, farsi servi degli altri, amando come Gesù ha amato (Gv 13,34; 15,12). È questo il mistero dell’Eucarestia: Dio che si annulla per amore, e che ci chiede di annullarci per amore (Lc 22,24-27; Mc 10,42-45).
Per l’importanza dell’Eucarestia come “memoriale” di Cristo morto e risorto, cioè come esperienza di amore concreto che ci porta a donarci gli uni agli altri, Marco dedica al tema del “pane” un’intera sezione del suo Vangelo (Mc 6,30-7,23). Di fronte alle folle affamate, Gesù dice: “Date voi stessi loro da mangiare” (6,37): la prima comunità ha ben compreso, come elementi costitutivi della Chiesa, prima la Parola, che porta alla conversione, poi la comunione dei beni, come frutto della sequela, che deve precedere l’Eucarestia (At 2,42-46; 4,32-35). Se vogliamo celebrare l’Eucarestia senza mangiare e bere la nostra condanna (1 Cor 11,29), occorre che prima ci riconciliamo con il fratello (Mt 5,23): dobbiamo chiederci se possiamo fare Eucarestia se prima non abbiamo servito i fratelli, se non abbiamo dato loro noi stessi da mangiare, se non abbiamo condiviso con loro i nostri beni… Forse proprio per questo siamo incapaci di riconoscere il Signore, come i discepoli che, sul lago, lo scambiano per un fantasma, “perché non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito” (Mc 6,52): chi non trova Dio nell’amore dei fratelli, nel servirli, nello spezzare per loro il pane, chi non capisce l’Eucarestia, non capisce nulla del Signore (1 Gv 4,7-8): se lo troviamo nei poveri e nei piccoli (Mt 25,31-46), ne coglieremo la Presenza anche nel Pane spezzato.
Per Marco, non esiste altro segno della Presenza di Dio che quello del pane (Mc 8,12). Anche a noi, “generazione perversa e adultera” (Mt 16,4) che cerca segni di Dio in apparizioni, in Madonne che piangono, in miracoli vari, viene richiamato che non esiste altra rivelazione sicura di Dio che l’Eucaristia: solo lì, in quel mistero d’Amore che si consuma e a cui possiamo accostarci solo amando, è certamente presente Gesù Cristo in Corpo, Sangue, Anima e Divinità!
Santissimo Corpo e Sangue di Cristo
il:
– di:
Letture: Es 24,3-8; Eb 9,11-15; Mc 14,12-16.22-2
L’Eucarestia è “fonte e apice della vita cristiana” (LG n. 11). I Sinottici si soffermano a lungo sulla sua istituzione, alla vigilia della Passione: tutti considerano fondamentale “quel” gesto operato da Gesù.
Era tipico degli antichi profeti esprimersi attraverso azioni sceniche, gesti simbolico-rivelativi, talora veri e propri “mimi”, che dovevano servire a imprimere bene, nella mente degli astanti, un preciso messaggio (Ger 13,1-11; 18,1-12; 19; 27-28,10; 51,63; Ez 3,24-5,4; Zac 11,15…). Nell’ultima Cena, Gesù compie un “mimo”: prende il pane e il vino, e li dà in cibo e bevanda, affermando che essi sono il suo corpo e il suo sangue “versati per molti”: è la rivelazione “scenica” del suo amore, del suo donarsi totalmente, del suo svuotarsi fino al sacrificio supremo. Anche noi talora diciamo: “Ti voglio così bene che ti mangerei”: e Gesù ci dice che ci ha amato fino a farsi mangiare, fino ad essere consumato per noi: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). E obbliga i suoi a vivere nella stessa logica di amore e di dono: “Fate questo in memoria di me” (1 Cor 11,24-25).
Per questo Giovanni non riporta il racconto dell’istituzione dell’Eucarestia, ma lo sostituisce con quello della lavanda dei piedi (Gv 13,1-30): con un “mimo” parallelo, egli fa la migliore esegesi dell’Eucarestia: essa è Dio che scende all’ultimo posto, che si fa schiavo per amore, che serve fino al dono totale. E i discepoli del Signore dovranno lavarsi i piedi gli uni gli altri, farsi servi degli altri, amando come Gesù ha amato (Gv 13,34; 15,12). È questo il mistero dell’Eucarestia: Dio che si annulla per amore, e che ci chiede di annullarci per amore (Lc 22,24-27; Mc 10,42-45).
Per l’importanza dell’Eucarestia come “memoriale” di Cristo morto e risorto, cioè come esperienza di amore concreto che ci porta a donarci gli uni agli altri, Marco dedica al tema del “pane” un’intera sezione del suo Vangelo (Mc 6,30-7,23). Di fronte alle folle affamate, Gesù dice: “Date voi stessi loro da mangiare” (6,37): la prima comunità ha ben compreso, come elementi costitutivi della Chiesa, prima la Parola, che porta alla conversione, poi la comunione dei beni, come frutto della sequela, che deve precedere l’Eucarestia (At 2,42-46; 4,32-35). Se vogliamo celebrare l’Eucarestia senza mangiare e bere la nostra condanna (1 Cor 11,29), occorre che prima ci riconciliamo con il fratello (Mt 5,23): dobbiamo chiederci se possiamo fare Eucarestia se prima non abbiamo servito i fratelli, se non abbiamo dato loro noi stessi da mangiare, se non abbiamo condiviso con loro i nostri beni… Forse proprio per questo siamo incapaci di riconoscere il Signore, come i discepoli che, sul lago, lo scambiano per un fantasma, “perché non avevano capito il fatto dei pani, essendo il loro cuore indurito” (Mc 6,52): chi non trova Dio nell’amore dei fratelli, nel servirli, nello spezzare per loro il pane, chi non capisce l’Eucarestia, non capisce nulla del Signore (1 Gv 4,7-8): se lo troviamo nei poveri e nei piccoli (Mt 25,31-46), ne coglieremo la Presenza anche nel Pane spezzato.
Per Marco, non esiste altro segno della Presenza di Dio che quello del pane (Mc 8,12). Anche a noi, “generazione perversa e adultera” (Mt 16,4) che cerca segni di Dio in apparizioni, in Madonne che piangono, in miracoli vari, viene richiamato che non esiste altra rivelazione sicura di Dio che l’Eucaristia: solo lì, in quel mistero d’Amore che si consuma e a cui possiamo accostarci solo amando, è certamente presente Gesù Cristo in Corpo, Sangue, Anima e Divinità!
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