La mormorazione (Gv 6,41.43.52) è un peccato ricorrente nell’Esodo: essa esprime l’incredulità, la sfiducia, lo scetticismo, la critica al piano di salvezza di Dio, alla sua voce e a quella dei suoi profeti. È la nostra eterna paura di affidarci a lui, di abbandonarci alla sua Provvidenza; è il nostro peccato, cioè di volere insegnare a Dio ciò che è bene per noi, lamentandoci continuamente se le cose non vanno secondo le nostre attese, i nostri piani, i nostri progetti, la nostra mentalità.
Come nel deserto Dio intese le ripetute mormorazioni degli ebrei che uscivano dall’Egitto (Es 16,2-3; 17,2; Nm 14,1-2.10-12…), e anche quella di Elia, raccontata nella prima Letture (1 Re 19,4-8), così ora Gesù si sorbisce quelle dei suoi contemporanei, così simili alle nostre: come mai la logica di Dio è nel segno della povertà, del nascondimento, dell’umiliazione, dell’ultimo posto, della sofferenza, della morte? Come può essere Dio un carpentiere (Mc 6,3), di cui conosciamo le origini (Gv 6,42), e che non ha nemmeno compiuto studi regolari (Gv 7,15)?
Dio aveva risposto alla prima mormorazione nel deserto con la manna, il cui nome “man hu” significa: “che cos’è?” (Es 16,15): un chiaro invito a scoprire l’origine di questo dono. E qui Gesù ci invita ad entrare nel mistero della sua Persona, a risalire alla sua origine divina. La fede è dono del Padre (Gv 6,44; Mt 16,16-17): ma per accogliere questa grazia occorre “ascoltare il Padre e imparare da lui” (Gv 6,45), cioè rinunciare alla nostra superbia, alla pretesa di autogiustificazione, al volerci spiegare tutto secondo le nostre idee, ma umilmente “lasciarci ammaestrare da Dio” (v. 45).
Gesù passa al contrattacco: come i giudei hanno indagato sulla sua origine, così egli li interroga sui loro “padri”: come mai questi, che pur avevano mangiato la manna, sono morti? E questa morte non fu soltanto fisica, ma anche privazione della Terra promessa… Perché quella generazione non giunse alla salvezza, nonostante il pane miracoloso? Gesù diventa provocatore: “I vostri padri sono morti perché facevano quello che fate voi ora: mormoravano!”: “Tutti gli Israeliti mormoravano contro Mosè e contro Aronne: «Oh! Fossimo morti nel paese d’Egitto o fossimo morti in questo deserto!»” (Nm 14,2). E Dio sempre ascolta la preghiera dei suoi…: “Io ho udito le lamentele degli Israeliti contro di me… Per la mia vita- dice il Signore – io vi farò quello che ho sentito dire da voi: i vostri cadaveri cadranno in questo deserto. Nessuno di voi, …che avete mormorato contro di me, potrà entrare nel paese in cui ho giurato di farvi abitare” (Nm 14,26-30). Gesù è “il pane della vita” (v. 45): che crede in lui può davvero arrivare alla meta, alla Terra promessa, alla “vita eterna” (v. 47), alla beatitudine di Dio. Ma dobbiamo “mangiare” di lui (v. 51), unirci strettamente a lui, senza mormorare, senza continuamente ribellarci, recalcitrare, porre problemi e condizioni, senza sempre piagnucolare, tristi e musoni come i pagani “che non hanno speranza” (1 Ts 4,13). Il Targum jerushalaim commentava: “Guai al popolo il cui cibo è il pane del cielo e che mormora”: guai a una Chiesa che, pur possedendo Cristo-Eucarestia, è sempre brontolona, scontenta, intenta a criticare e a lamentarsi… La chiamata a Cristo è vocazione alla speranza, all’ottimismo, alla pace, alla felicità, all’allegria, alla “Gioia piena” (Gv 15,11, 17,13): quindi “non mormorate, come mormorarono alcuni dei nostri padri, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi” (1 Cor 10,10-11). Guai, ci dice la seconda Lettura (Ef 4,30-5,2), a “rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione!”.
Domenica XIX Anno B – La Mormorazione, Mancanza Di Fede
il:
– di:
Letture: 1 Re 19,4-8; Ef 4,30-5,2; Gv 6,41-51
La mormorazione (Gv 6,41.43.52) è un peccato ricorrente nell’Esodo: essa esprime l’incredulità, la sfiducia, lo scetticismo, la critica al piano di salvezza di Dio, alla sua voce e a quella dei suoi profeti. È la nostra eterna paura di affidarci a lui, di abbandonarci alla sua Provvidenza; è il nostro peccato, cioè di volere insegnare a Dio ciò che è bene per noi, lamentandoci continuamente se le cose non vanno secondo le nostre attese, i nostri piani, i nostri progetti, la nostra mentalità.
Come nel deserto Dio intese le ripetute mormorazioni degli ebrei che uscivano dall’Egitto (Es 16,2-3; 17,2; Nm 14,1-2.10-12…), e anche quella di Elia, raccontata nella prima Letture (1 Re 19,4-8), così ora Gesù si sorbisce quelle dei suoi contemporanei, così simili alle nostre: come mai la logica di Dio è nel segno della povertà, del nascondimento, dell’umiliazione, dell’ultimo posto, della sofferenza, della morte? Come può essere Dio un carpentiere (Mc 6,3), di cui conosciamo le origini (Gv 6,42), e che non ha nemmeno compiuto studi regolari (Gv 7,15)?
Dio aveva risposto alla prima mormorazione nel deserto con la manna, il cui nome “man hu” significa: “che cos’è?” (Es 16,15): un chiaro invito a scoprire l’origine di questo dono. E qui Gesù ci invita ad entrare nel mistero della sua Persona, a risalire alla sua origine divina. La fede è dono del Padre (Gv 6,44; Mt 16,16-17): ma per accogliere questa grazia occorre “ascoltare il Padre e imparare da lui” (Gv 6,45), cioè rinunciare alla nostra superbia, alla pretesa di autogiustificazione, al volerci spiegare tutto secondo le nostre idee, ma umilmente “lasciarci ammaestrare da Dio” (v. 45).
Gesù passa al contrattacco: come i giudei hanno indagato sulla sua origine, così egli li interroga sui loro “padri”: come mai questi, che pur avevano mangiato la manna, sono morti? E questa morte non fu soltanto fisica, ma anche privazione della Terra promessa… Perché quella generazione non giunse alla salvezza, nonostante il pane miracoloso? Gesù diventa provocatore: “I vostri padri sono morti perché facevano quello che fate voi ora: mormoravano!”: “Tutti gli Israeliti mormoravano contro Mosè e contro Aronne: «Oh! Fossimo morti nel paese d’Egitto o fossimo morti in questo deserto!»” (Nm 14,2). E Dio sempre ascolta la preghiera dei suoi…: “Io ho udito le lamentele degli Israeliti contro di me… Per la mia vita- dice il Signore – io vi farò quello che ho sentito dire da voi: i vostri cadaveri cadranno in questo deserto. Nessuno di voi, …che avete mormorato contro di me, potrà entrare nel paese in cui ho giurato di farvi abitare” (Nm 14,26-30). Gesù è “il pane della vita” (v. 45): che crede in lui può davvero arrivare alla meta, alla Terra promessa, alla “vita eterna” (v. 47), alla beatitudine di Dio. Ma dobbiamo “mangiare” di lui (v. 51), unirci strettamente a lui, senza mormorare, senza continuamente ribellarci, recalcitrare, porre problemi e condizioni, senza sempre piagnucolare, tristi e musoni come i pagani “che non hanno speranza” (1 Ts 4,13). Il Targum jerushalaim commentava: “Guai al popolo il cui cibo è il pane del cielo e che mormora”: guai a una Chiesa che, pur possedendo Cristo-Eucarestia, è sempre brontolona, scontenta, intenta a criticare e a lamentarsi… La chiamata a Cristo è vocazione alla speranza, all’ottimismo, alla pace, alla felicità, all’allegria, alla “Gioia piena” (Gv 15,11, 17,13): quindi “non mormorate, come mormorarono alcuni dei nostri padri, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero a loro come esempio, e sono state scritte per ammonimento nostro, di noi per i quali è arrivata la fine dei tempi” (1 Cor 10,10-11). Guai, ci dice la seconda Lettura (Ef 4,30-5,2), a “rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione!”.
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