La liturgia odierna, dopo averci presentato il fugace trionfo dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, ci porta a contemplare il mistero della Croce, cuore dell’Evangelo di Marco. La Croce è in Marco il momento supremo della rivelazione di Dio: “allora il centurione, vistolo spirare in quel modo, disse: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39). La Croce infatti è la massima espressione della misericordia di Dio per noi, il momento culminante del chinarsi di Dio sull’umanità per abbracciarla e per salvarla.
La Croce, “scandalo…, stoltezza” (1 Cor 1,23)
Purtroppo però, per noi, il Crocifisso non è più “scandalo…, stoltezza” (1 Cor 1,23), e insieme meraviglia di fronte a cui cadere in commossa adorazione: ormai ci siamo abituati alla vista di questo simbolo sacro, che molti ormai portano al collo come un portafortuna qualsiasi, tra un cornetto e un quadrifoglio. Anche nelle nostre chiese, spesso i Crocifissi sono pie raffigurazioni su cui il nostro occhio è abituato a posarsi: il Gesù che vi è infisso è magari sereno e quasi glorioso, e ci sfugge così la comprensione del massimo miracolo dell’amore di Dio. Il Gesù crocifisso non è più colui che “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi… Disprezzato e reietto dagli uomini… come uno davanti al quale ci si copre la faccia” (Is 53,2-3).
Dovremmo saper ancora inorridire davanti al Crocifisso; il Crocifisso dovrebbe farci ancora ribrezzo, come quando vediamo le fotografie dei martirizzati con le torture più efferate nei lager nazisti, o nelle prigioni di efferati terroristi o dittatori. Siamo l’unica religione al mondo che ha come emblema un torturato con le più crudeli sevizie, con ogni macabro e folle mezzo inventato dalla cattiveria umana.
Non vi è dolore che non sia compreso nelle sofferenze di Cristo
Ma proprio per questo ogni uomo, anche quello che ha subito le violenze più terribili, che è colpito dal male più atroce, può volgere al Crocifisso lo sguardo a trovare in quel Dio che vi è infisso la massima comprensione, la più piena solidarietà. Non vi è dolore che non sia compreso nelle sofferenze di Cristo, non vi è male che egli non abbia assunto su di sé: ecco perché egli è veramente il “Dio con noi” (Mt 1,23). Nel Venerdì Santo la liturgia fa dire a Gesù dalla croce: “O voi tutti che andate per la strada, guardate e vedete se c’è un dolore pari al mio dolore!”. Sul suo “volto sfigurato, disfatto, … sono stampate le impronte di tutte le miserie del mondo. Un volto che raccoglie la documentazione di tutte le torture che gli uomini di ogni tempo dovranno subire. Il Corpo di Cristo diventa il continente smisurato del dolore umano. Su quella croce c’è il peso di coloro che non ne possono più… Davvero, con la croce Cristo riceve il sacramento del dolore umano. Ecco Colui che “porta, sopporta, porta via la nostra angoscia” (K. Barth). E riceve anche il peso dei nostri peccati… (2 Cor 5,21)… Che parafulmine, quella croce… È pesante la croce. Perché è pesante la croce di milioni di creature. E Cristo, che le porta tutte, diventa “Colui che non ce la fa più” … (Lc 23,26). Da quel momento chiunque può gridare “non ne posso più!”. Sa che c’è Qualcuno che lo comprende. Perché ha provato” (A. Pronzato).
Contemplare il Crocifisso
Solo se ogni volta che guardiamo un Crocifisso sappiamo ancora emozionarci, provare disgusto per quell’“uomo dei dolori che ben conosce il patire” (Is 53,3), piangere di rabbia e di tristezza, allora siamo in grado “di comprendere… quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3,18-19).
Domenica delle Palme: Passione del Signore B – Dio Si Rivela Sulla Croce
il:
– di:
Letture: Is 50,4-7; Fil 2,6-11; Mc 14,1-15,47
La Croce, suprema rivelazione dell’Amore di Dio
La liturgia odierna, dopo averci presentato il fugace trionfo dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, ci porta a contemplare il mistero della Croce, cuore dell’Evangelo di Marco. La Croce è in Marco il momento supremo della rivelazione di Dio: “allora il centurione, vistolo spirare in quel modo, disse: “Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!” (Mc 15,39). La Croce infatti è la massima espressione della misericordia di Dio per noi, il momento culminante del chinarsi di Dio sull’umanità per abbracciarla e per salvarla.
La Croce, “scandalo…, stoltezza” (1 Cor 1,23)
Purtroppo però, per noi, il Crocifisso non è più “scandalo…, stoltezza” (1 Cor 1,23), e insieme meraviglia di fronte a cui cadere in commossa adorazione: ormai ci siamo abituati alla vista di questo simbolo sacro, che molti ormai portano al collo come un portafortuna qualsiasi, tra un cornetto e un quadrifoglio. Anche nelle nostre chiese, spesso i Crocifissi sono pie raffigurazioni su cui il nostro occhio è abituato a posarsi: il Gesù che vi è infisso è magari sereno e quasi glorioso, e ci sfugge così la comprensione del massimo miracolo dell’amore di Dio. Il Gesù crocifisso non è più colui che “non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi… Disprezzato e reietto dagli uomini… come uno davanti al quale ci si copre la faccia” (Is 53,2-3).
Dovremmo saper ancora inorridire davanti al Crocifisso; il Crocifisso dovrebbe farci ancora ribrezzo, come quando vediamo le fotografie dei martirizzati con le torture più efferate nei lager nazisti, o nelle prigioni di efferati terroristi o dittatori. Siamo l’unica religione al mondo che ha come emblema un torturato con le più crudeli sevizie, con ogni macabro e folle mezzo inventato dalla cattiveria umana.
Non vi è dolore che non sia compreso nelle sofferenze di Cristo
Ma proprio per questo ogni uomo, anche quello che ha subito le violenze più terribili, che è colpito dal male più atroce, può volgere al Crocifisso lo sguardo a trovare in quel Dio che vi è infisso la massima comprensione, la più piena solidarietà. Non vi è dolore che non sia compreso nelle sofferenze di Cristo, non vi è male che egli non abbia assunto su di sé: ecco perché egli è veramente il “Dio con noi” (Mt 1,23). Nel Venerdì Santo la liturgia fa dire a Gesù dalla croce: “O voi tutti che andate per la strada, guardate e vedete se c’è un dolore pari al mio dolore!”. Sul suo “volto sfigurato, disfatto, … sono stampate le impronte di tutte le miserie del mondo. Un volto che raccoglie la documentazione di tutte le torture che gli uomini di ogni tempo dovranno subire. Il Corpo di Cristo diventa il continente smisurato del dolore umano. Su quella croce c’è il peso di coloro che non ne possono più… Davvero, con la croce Cristo riceve il sacramento del dolore umano. Ecco Colui che “porta, sopporta, porta via la nostra angoscia” (K. Barth). E riceve anche il peso dei nostri peccati… (2 Cor 5,21)… Che parafulmine, quella croce… È pesante la croce. Perché è pesante la croce di milioni di creature. E Cristo, che le porta tutte, diventa “Colui che non ce la fa più” … (Lc 23,26). Da quel momento chiunque può gridare “non ne posso più!”. Sa che c’è Qualcuno che lo comprende. Perché ha provato” (A. Pronzato).
Contemplare il Crocifisso
Solo se ogni volta che guardiamo un Crocifisso sappiamo ancora emozionarci, provare disgusto per quell’“uomo dei dolori che ben conosce il patire” (Is 53,3), piangere di rabbia e di tristezza, allora siamo in grado “di comprendere… quale sia l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità, e conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Ef 3,18-19).
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