Letture: Am 8,4-7; 1 Tm 2,1-8; Lc 16,1-13
L’elogio di un mascalzone: la parabola dell’amministratore infedele
Ci ha sempre turbato la parabola dell’amministratore infedele, che prima sperpera gli averi del padrone e poi, quando da lui è minacciato di licenziamento, truffa un’altra volta il suo signore, riducendo fraudolentemente le ricevute dei debitori, per ingraziarseli. Non tanto perché è il racconto di una delle tante storie di corruzione che vediamo ai nostri giorni, ma per il suo finale sconcertante. Invece di chiedere per il suo amministratore un’ulteriore punizione, perché recidivo nel reato, “il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza” (Lc 16,1-15). Il verbo greco “epainèo” significa “lodare”, e talora anche “approvare”. Il padrone approva l’amministratore doppiamente disonesto!
“L’amministratore infedele ha commesso, in concorso formale, i seguenti reati: falso in atto pubblico, truffa, appropriazione indebita e corruzione” (K. Berger): eppure il suo padrone gli fa i complimenti. “Come si fa a lodare qualcuno per una truffa, e questo nel Vangelo? La frase citata ci insegna a distinguere chiaramente: l’amministratore non viene lodato per la truffa. Viene chiamato, senza giri di parole, «amministratore disonesto». È disonesto, imbroglione, criminale. Ciò non è niente di buono e non viene proposto come esempio. L’amministratore viene lodato per la sua scaltrezza. In che cosa consiste? Un criminale può essere scaltro? Sì. Nella sua situazione, in cui era con l’acqua alla gola, l’amministratore ha fatto tutto il possibile per garantirsi il futuro. Ha agito in maniera previdente” (K. Berger).
Lode all’astuzia
Il primo invito che Gesù fa è che i “figli della luce” siano astuti almeno come i “figli delle tenebre” (Lc 16,8). “Gesù non vuole trasformarci in criminali in colletto bianco… Però dice: l’energia che si adopera in queste cose dovreste piuttosto usarla dove è in gioco l’essenziale… Se impegnaste l’energia che altrimenti adoperate per la carriera, contro il fisco e per le scaltre acquisizioni immobiliari – se impegnaste il pizzico di energia criminale nascosto in ciascuno di voi non per cose finanziarie, ma per la costruzione di un capitale per l’anima – allora non sareste tanto infelici…, allora non ci sarebbero così tante persone che smarriscono se stesse” (K. Berger).
Riciclaggio di denaro sporco
Ma c’è un altro insegnamento di Gesù: se i beni terreni sono cosa buona, il loro accaparramento è condannato, come già ammoniva il profeta Amos nella Prima Lettura (Am 8,4-7). Il giudizio di Gesù sulle ricchezze, cioè sull’accumulo di risorse che Dio ha disposto che fossero di tutti, è totalmente negativo. La ricchezza è ingiusta perché, come dice Gesù, è sempre “ricchezza altrui” (Lc 16,12), è accumulo di beni che invece vanno partecipati. Le ricchezze non condivise sono sempre frutto di peccato, sono beni di cui diventiamo “amministratori disonesti” (Lc 16,8). Gesù definisce la ricchezza come “disonesta”, “ingiusta”; in aramaico si usa l’espressione “mamon disqar”, reso letteralmente dal Signore in Luca con “mamonàs tès adikìas”, “la ricchezza quella ingiusta” (Lc 16,9) e, più esplicitamente, con “ò àdikos mamonàs”, “l’ingiusta ricchezza” (Lc 16,11). Ed allora ecco l’invito che scaturisce da questa parabola: “Procuratevi amici con l’ingiusta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9.12). In altre parole, Gesù ci invita al riciclaggio di denaro sporco…
I poveri, portinai del Paradiso
“Il significato ultimo delle ricchezze è di aiutare quelli che vivono in miseria” (J. de S. Ana). I ricchi, afferma Cirillo, sono “gli amministratori dei poveri”, e Basilio li definisce “gli amministratori dei fratelli”. I poveri saranno i giudici di tutti gli uomini: saranno loro che accoglieranno o no nel Regno: saranno loro i portinai del Paradiso. Gesù in questa parabola lo sottolinea: “So io cosa fare – pensa l’amministratore – perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua” (Lc 16,4): e la “casa” dei poveri della parabola, precisa poi Gesù, sono proprio “le dimore eterne” (Lc 16,9).
Una giustizia che perdona
Se in questa parabola ci viene posto a modello da seguire l’amministratore disonesto, è però da ben considerare anche l’atteggiamento del padrone, che “chiude un occhio”, lascia correre. “Il perdono non tratta gli uomini secondo la giustizia della legge, ma secondo una giustizia che le è superiore… Questo padrone, accettando di lasciarsi parzialmente spogliare, per permettere al suo amministratore di risollevarsi, ha fatto avanzare la giustizia di Dio. Ed è da quel giorno che gli uomini si sono messi a riflettere sulle indennità di licenziamento” (H. Persoz). Preghiamo, come ci esorta Paolo nella Seconda Lettura, che anche i potenti di questo mondo entrino in questa logica di misericordia e di perdono, perché possiamo finalmente costruire un mondo “senza collera e senza polemiche” (1 Tm 2,1-8).
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Fonte
Domenica XXV del tempo ordinario – Anno C
il:
– di:
Carlo Miglietta
Letture: Am 8,4-7; 1 Tm 2,1-8; Lc 16,1-13
L’elogio di un mascalzone: la parabola dell’amministratore infedele
Ci ha sempre turbato la parabola dell’amministratore infedele, che prima sperpera gli averi del padrone e poi, quando da lui è minacciato di licenziamento, truffa un’altra volta il suo signore, riducendo fraudolentemente le ricevute dei debitori, per ingraziarseli. Non tanto perché è il racconto di una delle tante storie di corruzione che vediamo ai nostri giorni, ma per il suo finale sconcertante. Invece di chiedere per il suo amministratore un’ulteriore punizione, perché recidivo nel reato, “il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza” (Lc 16,1-15). Il verbo greco “epainèo” significa “lodare”, e talora anche “approvare”. Il padrone approva l’amministratore doppiamente disonesto!
“L’amministratore infedele ha commesso, in concorso formale, i seguenti reati: falso in atto pubblico, truffa, appropriazione indebita e corruzione” (K. Berger): eppure il suo padrone gli fa i complimenti. “Come si fa a lodare qualcuno per una truffa, e questo nel Vangelo? La frase citata ci insegna a distinguere chiaramente: l’amministratore non viene lodato per la truffa. Viene chiamato, senza giri di parole, «amministratore disonesto». È disonesto, imbroglione, criminale. Ciò non è niente di buono e non viene proposto come esempio. L’amministratore viene lodato per la sua scaltrezza. In che cosa consiste? Un criminale può essere scaltro? Sì. Nella sua situazione, in cui era con l’acqua alla gola, l’amministratore ha fatto tutto il possibile per garantirsi il futuro. Ha agito in maniera previdente” (K. Berger).
Lode all’astuzia
Il primo invito che Gesù fa è che i “figli della luce” siano astuti almeno come i “figli delle tenebre” (Lc 16,8). “Gesù non vuole trasformarci in criminali in colletto bianco… Però dice: l’energia che si adopera in queste cose dovreste piuttosto usarla dove è in gioco l’essenziale… Se impegnaste l’energia che altrimenti adoperate per la carriera, contro il fisco e per le scaltre acquisizioni immobiliari – se impegnaste il pizzico di energia criminale nascosto in ciascuno di voi non per cose finanziarie, ma per la costruzione di un capitale per l’anima – allora non sareste tanto infelici…, allora non ci sarebbero così tante persone che smarriscono se stesse” (K. Berger).
Riciclaggio di denaro sporco
Ma c’è un altro insegnamento di Gesù: se i beni terreni sono cosa buona, il loro accaparramento è condannato, come già ammoniva il profeta Amos nella Prima Lettura (Am 8,4-7). Il giudizio di Gesù sulle ricchezze, cioè sull’accumulo di risorse che Dio ha disposto che fossero di tutti, è totalmente negativo. La ricchezza è ingiusta perché, come dice Gesù, è sempre “ricchezza altrui” (Lc 16,12), è accumulo di beni che invece vanno partecipati. Le ricchezze non condivise sono sempre frutto di peccato, sono beni di cui diventiamo “amministratori disonesti” (Lc 16,8). Gesù definisce la ricchezza come “disonesta”, “ingiusta”; in aramaico si usa l’espressione “mamon disqar”, reso letteralmente dal Signore in Luca con “mamonàs tès adikìas”, “la ricchezza quella ingiusta” (Lc 16,9) e, più esplicitamente, con “ò àdikos mamonàs”, “l’ingiusta ricchezza” (Lc 16,11). Ed allora ecco l’invito che scaturisce da questa parabola: “Procuratevi amici con l’ingiusta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9.12). In altre parole, Gesù ci invita al riciclaggio di denaro sporco…
I poveri, portinai del Paradiso
“Il significato ultimo delle ricchezze è di aiutare quelli che vivono in miseria” (J. de S. Ana). I ricchi, afferma Cirillo, sono “gli amministratori dei poveri”, e Basilio li definisce “gli amministratori dei fratelli”. I poveri saranno i giudici di tutti gli uomini: saranno loro che accoglieranno o no nel Regno: saranno loro i portinai del Paradiso. Gesù in questa parabola lo sottolinea: “So io cosa fare – pensa l’amministratore – perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua” (Lc 16,4): e la “casa” dei poveri della parabola, precisa poi Gesù, sono proprio “le dimore eterne” (Lc 16,9).
Una giustizia che perdona
Se in questa parabola ci viene posto a modello da seguire l’amministratore disonesto, è però da ben considerare anche l’atteggiamento del padrone, che “chiude un occhio”, lascia correre. “Il perdono non tratta gli uomini secondo la giustizia della legge, ma secondo una giustizia che le è superiore… Questo padrone, accettando di lasciarsi parzialmente spogliare, per permettere al suo amministratore di risollevarsi, ha fatto avanzare la giustizia di Dio. Ed è da quel giorno che gli uomini si sono messi a riflettere sulle indennità di licenziamento” (H. Persoz). Preghiamo, come ci esorta Paolo nella Seconda Lettura, che anche i potenti di questo mondo entrino in questa logica di misericordia e di perdono, perché possiamo finalmente costruire un mondo “senza collera e senza polemiche” (1 Tm 2,1-8).
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Letture: Am 8,4-7; 1 Tm 2,1-8; Lc 16,1-13
L’elogio di un mascalzone: la parabola dell’amministratore infedele
Ci ha sempre turbato la parabola dell’amministratore infedele, che prima sperpera gli averi del padrone e poi, quando da lui è minacciato di licenziamento, truffa un’altra volta il suo signore, riducendo fraudolentemente le ricevute dei debitori, per ingraziarseli. Non tanto perché è il racconto di una delle tante storie di corruzione che vediamo ai nostri giorni, ma per il suo finale sconcertante. Invece di chiedere per il suo amministratore un’ulteriore punizione, perché recidivo nel reato, “il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza” (Lc 16,1-15). Il verbo greco “epainèo” significa “lodare”, e talora anche “approvare”. Il padrone approva l’amministratore doppiamente disonesto!
“L’amministratore infedele ha commesso, in concorso formale, i seguenti reati: falso in atto pubblico, truffa, appropriazione indebita e corruzione” (K. Berger): eppure il suo padrone gli fa i complimenti. “Come si fa a lodare qualcuno per una truffa, e questo nel Vangelo? La frase citata ci insegna a distinguere chiaramente: l’amministratore non viene lodato per la truffa. Viene chiamato, senza giri di parole, «amministratore disonesto». È disonesto, imbroglione, criminale. Ciò non è niente di buono e non viene proposto come esempio. L’amministratore viene lodato per la sua scaltrezza. In che cosa consiste? Un criminale può essere scaltro? Sì. Nella sua situazione, in cui era con l’acqua alla gola, l’amministratore ha fatto tutto il possibile per garantirsi il futuro. Ha agito in maniera previdente” (K. Berger).
Lode all’astuzia
Il primo invito che Gesù fa è che i “figli della luce” siano astuti almeno come i “figli delle tenebre” (Lc 16,8). “Gesù non vuole trasformarci in criminali in colletto bianco… Però dice: l’energia che si adopera in queste cose dovreste piuttosto usarla dove è in gioco l’essenziale… Se impegnaste l’energia che altrimenti adoperate per la carriera, contro il fisco e per le scaltre acquisizioni immobiliari – se impegnaste il pizzico di energia criminale nascosto in ciascuno di voi non per cose finanziarie, ma per la costruzione di un capitale per l’anima – allora non sareste tanto infelici…, allora non ci sarebbero così tante persone che smarriscono se stesse” (K. Berger).
Riciclaggio di denaro sporco
Ma c’è un altro insegnamento di Gesù: se i beni terreni sono cosa buona, il loro accaparramento è condannato, come già ammoniva il profeta Amos nella Prima Lettura (Am 8,4-7). Il giudizio di Gesù sulle ricchezze, cioè sull’accumulo di risorse che Dio ha disposto che fossero di tutti, è totalmente negativo. La ricchezza è ingiusta perché, come dice Gesù, è sempre “ricchezza altrui” (Lc 16,12), è accumulo di beni che invece vanno partecipati. Le ricchezze non condivise sono sempre frutto di peccato, sono beni di cui diventiamo “amministratori disonesti” (Lc 16,8). Gesù definisce la ricchezza come “disonesta”, “ingiusta”; in aramaico si usa l’espressione “mamon disqar”, reso letteralmente dal Signore in Luca con “mamonàs tès adikìas”, “la ricchezza quella ingiusta” (Lc 16,9) e, più esplicitamente, con “ò àdikos mamonàs”, “l’ingiusta ricchezza” (Lc 16,11). Ed allora ecco l’invito che scaturisce da questa parabola: “Procuratevi amici con l’ingiusta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9.12). In altre parole, Gesù ci invita al riciclaggio di denaro sporco…
I poveri, portinai del Paradiso
“Il significato ultimo delle ricchezze è di aiutare quelli che vivono in miseria” (J. de S. Ana). I ricchi, afferma Cirillo, sono “gli amministratori dei poveri”, e Basilio li definisce “gli amministratori dei fratelli”. I poveri saranno i giudici di tutti gli uomini: saranno loro che accoglieranno o no nel Regno: saranno loro i portinai del Paradiso. Gesù in questa parabola lo sottolinea: “So io cosa fare – pensa l’amministratore – perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua” (Lc 16,4): e la “casa” dei poveri della parabola, precisa poi Gesù, sono proprio “le dimore eterne” (Lc 16,9).
Una giustizia che perdona
Se in questa parabola ci viene posto a modello da seguire l’amministratore disonesto, è però da ben considerare anche l’atteggiamento del padrone, che “chiude un occhio”, lascia correre. “Il perdono non tratta gli uomini secondo la giustizia della legge, ma secondo una giustizia che le è superiore… Questo padrone, accettando di lasciarsi parzialmente spogliare, per permettere al suo amministratore di risollevarsi, ha fatto avanzare la giustizia di Dio. Ed è da quel giorno che gli uomini si sono messi a riflettere sulle indennità di licenziamento” (H. Persoz). Preghiamo, come ci esorta Paolo nella Seconda Lettura, che anche i potenti di questo mondo entrino in questa logica di misericordia e di perdono, perché possiamo finalmente costruire un mondo “senza collera e senza polemiche” (1 Tm 2,1-8).
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