Letture: At 14,21b-27; Ap 21,1-5a; Gv 13,31-33a.34-35
L’amore ai fratelli è il segno dei discepoli di Gesù, il criterio di discernimento tra coloro che aderiscono a Gesù il Cristo e coloro che lo dissolvono, tra i figli della luce e i figli delle tenebre. Gesù infatti ha detto: “Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Vangelo: Gv 13,34-35). “Amarci gli uni gli altri” è l’unico mezzo per essere sicuri che “Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi” (1 Gv 4,12).
Le lettere di Giovanni richiamano con forza la Chiesa di tutti i tempi a tornare alla sua essenza, che è di essere il luogo dell’agape, dell’amore, il segno della presenza di quel Dio che altro non è che “agape” (1 Gv 4,8), amore. Giovanni esorta la Chiesa a non essere ideologia, a non essere potenza, ma a stare a fianco di ogni uomo, in ogni cultura, assumendone, sull’esempio di Gesù, la povertà e le sofferenze, per portarvi in concretezza segni dell’amore di Dio. Ad essere una Chiesa che vive nel servizio, nell’impegno per la giustizia, e che vede in ogni uomo, nel povero, nel malato, nel sofferente, nel reietto, nell’escluso, il suo Dio da amare. Una Chiesa quindi militante, che confessa con forza, e talora con sofferenza, il mistero del Dio-Amore.
Certamente l’ottica di Giovanni è diversa da quella dei sinottici. I sinottici sottolineano la dimensione “ad extra” dell’amore: Luca ci invita a farci prossimo di tutti, anche se nemici o impuri come il samaritano; Matteo esige: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt 5,44-47); e Paolo dirà: “Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne” (Rm 9,3). Giovanni invece insiste sull’amarsi tra cristiani, sull’amore come segno distintivo della Chiesa. Fratello per Giovanni non è ogni uomo, ma il cristiano.
Perché Giovanni, i cui scritti sono tra gli ultimi del Nuovo Testamento, si preoccupa più della dimensione ecclesiale dell’amore che di quella esterna? Forse perché Giovanni, sviluppandosi la vita ecclesiale, ha capito come spesso è più facile amare i lontani che gli altri cristiani: e la storia della Chiesa, con tutte le sue lotte intestine, le sue lacerazioni, i suoi scismi, le reciproche scomuniche, i suoi partiti e le sue fazioni, le sue correnti e i suoi movimenti vari in perenne disputa tra loro, lo ha ampiamente dimostrato. Talora è più facile impegnarsi per i poveri e gli oppressi che sopportare coloro che ci emarginano proprio in nome di Cristo. È più facile aiutare un lontano che amare il vicino che vive il cristianesimo con una sensibilità che ci urta. È più facile perdonare un oppressore esterno che dialogare con una gerarchia che talora può sembrarci antievangelica.
“Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato” (1 Gv 2,6): c’è bisogno cioè che la Chiesa sia nel mondo segno visibile dell’Amore incarnato, sia sua concreta profezia per tutti gli uomini: non abbiamo altra missione che attirare gli altri a noi con la forza del nostro amore reciproco. Ecco perché la Chiesa deve mettere al primo posto la “koinonìa”, la “comunione” interna, come faceva la prima comunità cristiana (Prima Lettura: At 14,21b-27), in un continuo superamento delle divisioni, alla ricerca dell’unità più piena, per essere segno credibile del Dio Amore che la fonda e la anima, segno, profezia e anticipazione della Comunità Celeste finale, la Gerusalemme Santa sposa innamorata del suo Signore (Seconda Lettura: Ap 21,1-5a).
Se nel mondo c’è tanto ateismo, chiediamoci se non è perché noi non riusciamo a dare, con il nostro comportamento, il segno di Dio agli uomini. I nostri rapporti intraecclesiali sono all’insegna della carità? Nella Chiesa c’è sempre rispetto per le singole persone, per la libertà del singolo, c’è ascolto reciproco, accoglienza, uguaglianza, fraternità, dialogo, astensione dal giudizio? Il grande desiderio e la grande preghiera di Gesù, prima di morire, fu: “Che tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).
V Domenica Di Pasqua Anno C
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Letture: At 14,21b-27; Ap 21,1-5a; Gv 13,31-33a.34-35
L’amore ai fratelli è il segno dei discepoli di Gesù, il criterio di discernimento tra coloro che aderiscono a Gesù il Cristo e coloro che lo dissolvono, tra i figli della luce e i figli delle tenebre. Gesù infatti ha detto: “Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Vangelo: Gv 13,34-35). “Amarci gli uni gli altri” è l’unico mezzo per essere sicuri che “Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi” (1 Gv 4,12).
Le lettere di Giovanni richiamano con forza la Chiesa di tutti i tempi a tornare alla sua essenza, che è di essere il luogo dell’agape, dell’amore, il segno della presenza di quel Dio che altro non è che “agape” (1 Gv 4,8), amore. Giovanni esorta la Chiesa a non essere ideologia, a non essere potenza, ma a stare a fianco di ogni uomo, in ogni cultura, assumendone, sull’esempio di Gesù, la povertà e le sofferenze, per portarvi in concretezza segni dell’amore di Dio. Ad essere una Chiesa che vive nel servizio, nell’impegno per la giustizia, e che vede in ogni uomo, nel povero, nel malato, nel sofferente, nel reietto, nell’escluso, il suo Dio da amare. Una Chiesa quindi militante, che confessa con forza, e talora con sofferenza, il mistero del Dio-Amore.
Certamente l’ottica di Giovanni è diversa da quella dei sinottici. I sinottici sottolineano la dimensione “ad extra” dell’amore: Luca ci invita a farci prossimo di tutti, anche se nemici o impuri come il samaritano; Matteo esige: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori” (Mt 5,44-47); e Paolo dirà: “Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne” (Rm 9,3). Giovanni invece insiste sull’amarsi tra cristiani, sull’amore come segno distintivo della Chiesa. Fratello per Giovanni non è ogni uomo, ma il cristiano.
Perché Giovanni, i cui scritti sono tra gli ultimi del Nuovo Testamento, si preoccupa più della dimensione ecclesiale dell’amore che di quella esterna? Forse perché Giovanni, sviluppandosi la vita ecclesiale, ha capito come spesso è più facile amare i lontani che gli altri cristiani: e la storia della Chiesa, con tutte le sue lotte intestine, le sue lacerazioni, i suoi scismi, le reciproche scomuniche, i suoi partiti e le sue fazioni, le sue correnti e i suoi movimenti vari in perenne disputa tra loro, lo ha ampiamente dimostrato. Talora è più facile impegnarsi per i poveri e gli oppressi che sopportare coloro che ci emarginano proprio in nome di Cristo. È più facile aiutare un lontano che amare il vicino che vive il cristianesimo con una sensibilità che ci urta. È più facile perdonare un oppressore esterno che dialogare con una gerarchia che talora può sembrarci antievangelica.
“Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato” (1 Gv 2,6): c’è bisogno cioè che la Chiesa sia nel mondo segno visibile dell’Amore incarnato, sia sua concreta profezia per tutti gli uomini: non abbiamo altra missione che attirare gli altri a noi con la forza del nostro amore reciproco. Ecco perché la Chiesa deve mettere al primo posto la “koinonìa”, la “comunione” interna, come faceva la prima comunità cristiana (Prima Lettura: At 14,21b-27), in un continuo superamento delle divisioni, alla ricerca dell’unità più piena, per essere segno credibile del Dio Amore che la fonda e la anima, segno, profezia e anticipazione della Comunità Celeste finale, la Gerusalemme Santa sposa innamorata del suo Signore (Seconda Lettura: Ap 21,1-5a).
Se nel mondo c’è tanto ateismo, chiediamoci se non è perché noi non riusciamo a dare, con il nostro comportamento, il segno di Dio agli uomini. I nostri rapporti intraecclesiali sono all’insegna della carità? Nella Chiesa c’è sempre rispetto per le singole persone, per la libertà del singolo, c’è ascolto reciproco, accoglienza, uguaglianza, fraternità, dialogo, astensione dal giudizio? Il grande desiderio e la grande preghiera di Gesù, prima di morire, fu: “Che tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).
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