Letture: Es 17,8-13; 2 Tm 3,14-4,2; Lc 18,1-8
La forza della preghiera
La Prima Lettura ci dà testimonianza della forza della preghiera di Mosè nella battaglia contro Amalek (Es 17,8-13). In altre meditazioni abbiamo riflettuto sulla bella Catechesi lucana sulla preghiera presentataci dal Vangelo odierno (Lc 18,1-8): sulla necessità di un’orazione incessante, che sia davvero avere il cuore sempre unito al Signore, come insegna la “Preghiera del cuore” della tradizione Orientale, dove addirittura si arriva a modulare sul ritmo del respiro l’invocazione: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di noi!”; e sulla preghiera di domanda, che non è “sprecare parole come i pagani, i quali credono di essere ascoltati a forza di parole…, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate” (Mt 6,7-8): ma che è essenzialmente richiesta dello Spirito Santo (Lc 11,11-13), che ci insegni ad accogliere la volontà di Dio su di noi (1 Gv 5,14-15), che è sempre piano di salvezza, libertà, resurrezione.
Vogliamo oggi fermarci sulla frase conclusiva del brano: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8).
La morte, Parusia del Signore
La parola parusia percorre tutto il pensiero teologico del Nuovo Testamento: essa vi ricorre ventiquattro volte, di cui quattordici negli scritto paolini. Nel mondo greco designa l’arrivo di qualcuno, soprattutto la venuta di una persona eccezionale, quale l’imperatore.
Nel mondo giudaico il termine acquisisce un significato teologico. I profeti parlano di una particolare venuta: è il “giorno di IHWH” (Am 5,18); ma “Dio viene abitualmente nella storia, nel culto, nella rivelazione della sua parola. Sono ancora i profeti ad annunciare la futura presenza del discendente di Davide, il Messia (Dn 7,13)… Non più quindi una venuta, ma la venuta” (M. Orsatti).
Paolo e l’Apocalisse ci parlano di una prima venuta culminata nella morte e Resurrezione di Gesù, in cui il mondo è stato giudicato, Satana distrutto per sempre e la morte vinta. Ma nel tempo presente noi sperimentiamo ancora la prova, il dolore, la persecuzione, la morte, la caduta, il peccato. Perciò si parla anche di una seconda venuta, in cui “il cielo e la terra scompariranno” (Ap 20,11).
In Dio, nel suo eterno presente, noi siamo già vincitori, beati, nella gloria. Ma poiché noi creature siamo immersi nello spazio e nel tempo, ciò che è già presente in lui lo diventerà per noi quando usciremo dallo stato di creaturalità, cioè alla nostra morte. La Parusia è in Dio già avvenuta nell’Incarnazione del Figlio, ma noi l’attendiamo ancora perché siamo schiavi del tempo. Ma alla nostra morte saremo invece per sempre in Dio. Finalmente lo incontreremo. La morte sarà quindi il momento bellissimo in cui Dio verrà a prenderci per farci stare sempre con lui. È la nostra morte, per ciascuno di noi, il momento della Parusia del Signore, della sua seconda venuta!
Se la nostra sorte sarà tanta gioia e tanta bellezza, altro che aver paura della morte! Il credente sa che la morte è solo un passaggio alla vita beata.
Perseverare nella Fede
Non è facile invecchiare bene. Soprattutto quando il tempo passa, quando svaniscono gli entusiasmi iniziali della conversione o della gioventù, il credente è chiamato alla perseveranza, virtù quanto mai oggi in crisi. Gesù insiste sulla necessità di perseverare nella Fede: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8): la venuta del Signore si realizzerà al momento della nostra morte, e Gesù sa che con il passare degli anni, con l’accumularsi delle prove, delle disillusioni e delle ferite della vita, è sempre più difficile confidare in lui e a lui affidarsi.
L’anziano è quindi chiamato ad aderire con gioia al Signore, per farsi rinnovare in profondità da lui, per attingere da lui perenne freschezza e vitalità.
Non tutti gli anziani sperimentano nella loro vita terrena i prodigi che Dio ha compiuto per i vecchi Abramo e Sara (Gn 18,11-14), o per Zaccaria ed Elisabetta (Lc 1,18); ma tutti sanno che nella loro età è inscritta la potenza del Dio della vita, pronto a trasfigurarli nel suo Regno, dove “tergerà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno”, perché egli farà “nuove tutte le cose” (Ap 21,4-6). Perciò l’anziano credente può concludere, con Paolo: “Se anche il nostro uomo esteriore cade in sfacelo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Cor 4,16).
La vecchiaia è quindi sempre tempo di grazia, sia che già sperimenti, con un inatteso vigore, l’opera potente di Dio, sia che, in una situazione di decadimento e di malattia, divenga testimonianza (in greco martyrìa, da cui la parola “martirio”) della fiduciosa speranza in Dio Signore e Padrone della vita che chiama alla resurrezione della carne e alla beatitudine del Paradiso.
Perseverare nella Fede, “restando saldi in ciò che abbiamo imparato” (Seconda Lettura: 2 Tm 3,14-4,2) significa quindi restare fedeli anche nella prova, nella tentazione, nella tribolazione. È a questo che ci chiama il Vangelo di oggi.
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Fonte
Domenica XXIX del tempo ordinario – Anno C
il:
– di:
Carlo Miglietta
Letture: Es 17,8-13; 2 Tm 3,14-4,2; Lc 18,1-8
La forza della preghiera
La Prima Lettura ci dà testimonianza della forza della preghiera di Mosè nella battaglia contro Amalek (Es 17,8-13). In altre meditazioni abbiamo riflettuto sulla bella Catechesi lucana sulla preghiera presentataci dal Vangelo odierno (Lc 18,1-8): sulla necessità di un’orazione incessante, che sia davvero avere il cuore sempre unito al Signore, come insegna la “Preghiera del cuore” della tradizione Orientale, dove addirittura si arriva a modulare sul ritmo del respiro l’invocazione: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di noi!”; e sulla preghiera di domanda, che non è “sprecare parole come i pagani, i quali credono di essere ascoltati a forza di parole…, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate” (Mt 6,7-8): ma che è essenzialmente richiesta dello Spirito Santo (Lc 11,11-13), che ci insegni ad accogliere la volontà di Dio su di noi (1 Gv 5,14-15), che è sempre piano di salvezza, libertà, resurrezione.
Vogliamo oggi fermarci sulla frase conclusiva del brano: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8).
La morte, Parusia del Signore
La parola parusia percorre tutto il pensiero teologico del Nuovo Testamento: essa vi ricorre ventiquattro volte, di cui quattordici negli scritto paolini. Nel mondo greco designa l’arrivo di qualcuno, soprattutto la venuta di una persona eccezionale, quale l’imperatore.
Nel mondo giudaico il termine acquisisce un significato teologico. I profeti parlano di una particolare venuta: è il “giorno di IHWH” (Am 5,18); ma “Dio viene abitualmente nella storia, nel culto, nella rivelazione della sua parola. Sono ancora i profeti ad annunciare la futura presenza del discendente di Davide, il Messia (Dn 7,13)… Non più quindi una venuta, ma la venuta” (M. Orsatti).
Paolo e l’Apocalisse ci parlano di una prima venuta culminata nella morte e Resurrezione di Gesù, in cui il mondo è stato giudicato, Satana distrutto per sempre e la morte vinta. Ma nel tempo presente noi sperimentiamo ancora la prova, il dolore, la persecuzione, la morte, la caduta, il peccato. Perciò si parla anche di una seconda venuta, in cui “il cielo e la terra scompariranno” (Ap 20,11).
In Dio, nel suo eterno presente, noi siamo già vincitori, beati, nella gloria. Ma poiché noi creature siamo immersi nello spazio e nel tempo, ciò che è già presente in lui lo diventerà per noi quando usciremo dallo stato di creaturalità, cioè alla nostra morte. La Parusia è in Dio già avvenuta nell’Incarnazione del Figlio, ma noi l’attendiamo ancora perché siamo schiavi del tempo. Ma alla nostra morte saremo invece per sempre in Dio. Finalmente lo incontreremo. La morte sarà quindi il momento bellissimo in cui Dio verrà a prenderci per farci stare sempre con lui. È la nostra morte, per ciascuno di noi, il momento della Parusia del Signore, della sua seconda venuta!
Se la nostra sorte sarà tanta gioia e tanta bellezza, altro che aver paura della morte! Il credente sa che la morte è solo un passaggio alla vita beata.
Perseverare nella Fede
Non è facile invecchiare bene. Soprattutto quando il tempo passa, quando svaniscono gli entusiasmi iniziali della conversione o della gioventù, il credente è chiamato alla perseveranza, virtù quanto mai oggi in crisi. Gesù insiste sulla necessità di perseverare nella Fede: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8): la venuta del Signore si realizzerà al momento della nostra morte, e Gesù sa che con il passare degli anni, con l’accumularsi delle prove, delle disillusioni e delle ferite della vita, è sempre più difficile confidare in lui e a lui affidarsi.
L’anziano è quindi chiamato ad aderire con gioia al Signore, per farsi rinnovare in profondità da lui, per attingere da lui perenne freschezza e vitalità.
Non tutti gli anziani sperimentano nella loro vita terrena i prodigi che Dio ha compiuto per i vecchi Abramo e Sara (Gn 18,11-14), o per Zaccaria ed Elisabetta (Lc 1,18); ma tutti sanno che nella loro età è inscritta la potenza del Dio della vita, pronto a trasfigurarli nel suo Regno, dove “tergerà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno”, perché egli farà “nuove tutte le cose” (Ap 21,4-6). Perciò l’anziano credente può concludere, con Paolo: “Se anche il nostro uomo esteriore cade in sfacelo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Cor 4,16).
La vecchiaia è quindi sempre tempo di grazia, sia che già sperimenti, con un inatteso vigore, l’opera potente di Dio, sia che, in una situazione di decadimento e di malattia, divenga testimonianza (in greco martyrìa, da cui la parola “martirio”) della fiduciosa speranza in Dio Signore e Padrone della vita che chiama alla resurrezione della carne e alla beatitudine del Paradiso.
Perseverare nella Fede, “restando saldi in ciò che abbiamo imparato” (Seconda Lettura: 2 Tm 3,14-4,2) significa quindi restare fedeli anche nella prova, nella tentazione, nella tribolazione. È a questo che ci chiama il Vangelo di oggi.
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La forza della preghiera
La Prima Lettura ci dà testimonianza della forza della preghiera di Mosè nella battaglia contro Amalek (Es 17,8-13). In altre meditazioni abbiamo riflettuto sulla bella Catechesi lucana sulla preghiera presentataci dal Vangelo odierno (Lc 18,1-8): sulla necessità di un’orazione incessante, che sia davvero avere il cuore sempre unito al Signore, come insegna la “Preghiera del cuore” della tradizione Orientale, dove addirittura si arriva a modulare sul ritmo del respiro l’invocazione: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di noi!”; e sulla preghiera di domanda, che non è “sprecare parole come i pagani, i quali credono di essere ascoltati a forza di parole…, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate” (Mt 6,7-8): ma che è essenzialmente richiesta dello Spirito Santo (Lc 11,11-13), che ci insegni ad accogliere la volontà di Dio su di noi (1 Gv 5,14-15), che è sempre piano di salvezza, libertà, resurrezione.
Vogliamo oggi fermarci sulla frase conclusiva del brano: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8).
La morte, Parusia del Signore
La parola parusia percorre tutto il pensiero teologico del Nuovo Testamento: essa vi ricorre ventiquattro volte, di cui quattordici negli scritto paolini. Nel mondo greco designa l’arrivo di qualcuno, soprattutto la venuta di una persona eccezionale, quale l’imperatore.
Nel mondo giudaico il termine acquisisce un significato teologico. I profeti parlano di una particolare venuta: è il “giorno di IHWH” (Am 5,18); ma “Dio viene abitualmente nella storia, nel culto, nella rivelazione della sua parola. Sono ancora i profeti ad annunciare la futura presenza del discendente di Davide, il Messia (Dn 7,13)… Non più quindi una venuta, ma la venuta” (M. Orsatti).
Paolo e l’Apocalisse ci parlano di una prima venuta culminata nella morte e Resurrezione di Gesù, in cui il mondo è stato giudicato, Satana distrutto per sempre e la morte vinta. Ma nel tempo presente noi sperimentiamo ancora la prova, il dolore, la persecuzione, la morte, la caduta, il peccato. Perciò si parla anche di una seconda venuta, in cui “il cielo e la terra scompariranno” (Ap 20,11).
In Dio, nel suo eterno presente, noi siamo già vincitori, beati, nella gloria. Ma poiché noi creature siamo immersi nello spazio e nel tempo, ciò che è già presente in lui lo diventerà per noi quando usciremo dallo stato di creaturalità, cioè alla nostra morte. La Parusia è in Dio già avvenuta nell’Incarnazione del Figlio, ma noi l’attendiamo ancora perché siamo schiavi del tempo. Ma alla nostra morte saremo invece per sempre in Dio. Finalmente lo incontreremo. La morte sarà quindi il momento bellissimo in cui Dio verrà a prenderci per farci stare sempre con lui. È la nostra morte, per ciascuno di noi, il momento della Parusia del Signore, della sua seconda venuta!
Se la nostra sorte sarà tanta gioia e tanta bellezza, altro che aver paura della morte! Il credente sa che la morte è solo un passaggio alla vita beata.
Perseverare nella Fede
Non è facile invecchiare bene. Soprattutto quando il tempo passa, quando svaniscono gli entusiasmi iniziali della conversione o della gioventù, il credente è chiamato alla perseveranza, virtù quanto mai oggi in crisi. Gesù insiste sulla necessità di perseverare nella Fede: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8): la venuta del Signore si realizzerà al momento della nostra morte, e Gesù sa che con il passare degli anni, con l’accumularsi delle prove, delle disillusioni e delle ferite della vita, è sempre più difficile confidare in lui e a lui affidarsi.
L’anziano è quindi chiamato ad aderire con gioia al Signore, per farsi rinnovare in profondità da lui, per attingere da lui perenne freschezza e vitalità.
Non tutti gli anziani sperimentano nella loro vita terrena i prodigi che Dio ha compiuto per i vecchi Abramo e Sara (Gn 18,11-14), o per Zaccaria ed Elisabetta (Lc 1,18); ma tutti sanno che nella loro età è inscritta la potenza del Dio della vita, pronto a trasfigurarli nel suo Regno, dove “tergerà ogni lacrima dai loro occhi, e non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno”, perché egli farà “nuove tutte le cose” (Ap 21,4-6). Perciò l’anziano credente può concludere, con Paolo: “Se anche il nostro uomo esteriore cade in sfacelo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno” (2 Cor 4,16).
La vecchiaia è quindi sempre tempo di grazia, sia che già sperimenti, con un inatteso vigore, l’opera potente di Dio, sia che, in una situazione di decadimento e di malattia, divenga testimonianza (in greco martyrìa, da cui la parola “martirio”) della fiduciosa speranza in Dio Signore e Padrone della vita che chiama alla resurrezione della carne e alla beatitudine del Paradiso.
Perseverare nella Fede, “restando saldi in ciò che abbiamo imparato” (Seconda Lettura: 2 Tm 3,14-4,2) significa quindi restare fedeli anche nella prova, nella tentazione, nella tribolazione. È a questo che ci chiama il Vangelo di oggi.
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