Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Gli uni gli altri
“Allèlous”, “gli uni gli altri”, è vocabolo che si ripete in maniera martellante in tutto il Nuovo Testamento: non solo bisogna “amarsi gli uni gli altri” (Gv 13,34; 15,12; Rm 12,10; 1 Tess 4,9; 1 Gv 3,11.23; 4,7.11-12; 2 Gv 1,5; 1 Pt 1,22), ma occorre “lavarsi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,14), “gareggiare nello stimarsi gli uni gli altri” (Rm 12,10), “cessare di giudicarsi gli uni gli altri” (Rm 14,13), “accogliersi gli uni gli altri come Cristo accolse noi” (Rm 15,7), “salutarsi gli uni gli altri con il bacio santo” (Rm 16,16), “aspettarsi gli uni gli altri” (1 Cor 11,33), “non mentirsi gli uni gli altri” (Col 3,9), “confortarsi gli uni gli altri edificandosi” (1 Tess 5,11)… La Chiesa è il luogo della reciprocità, degli stretti rapporti di fraternità “gli uni gli altri”.
Ma è anche il luogo del “syn”, il “con”, la condivisione, la compagnia: Paolo parla infatti di con-gioire, con-soffrire, con-lavorare, con-vivere, con-morire, inventando addirittura neologismi (1 Cor 12,26; 2 Cor 7,3; Fil 1,27; 2,17). I Cristiani devono “compatire” i fratelli, cioè saper “patire con” essi: “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto” (Rm 12,15), “facendovi solidali con… gli esposti a insulti e tribolazioni” (Eb 10,33); “Se un membro (del corpo mistico di Cristo) soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1Cor 12,26). Gioire e piangere insieme significa vivere l’uno per l’altro. È l’abnegazione spinta ad un punto tale che l’altro sono io ed io sono l’altro, e così vivo la vita dell’altro (Fil 2,17-18): “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,39; 7,12).
“Tutto il Nuovo Testamento è attraversato dalla preoccupazione della comunione come apprendimento di una «forma vitae» contrassegnata dal «syn» (con) e dall’«allèlon» (reciprocamente): ciò si traduce in una costante tensione verso la capacità di sentire, pensare, agire insieme, verso la responsabilità di comportamenti segnati dalla reciprocità. E’ un cammino che nasce nel più elementare tessuto delle relazioni quotidiane e si concretizza in un movimento di fuga dall’individualismo per approdare sempre di nuovo alla condivisione. Il «télos» di tutto questo è ben espresso da Paolo in 2 Cor 7,3…: «Morire insieme e vivere insieme»” (E. Bianchi).
Una Chiesa d’amore
Ha scritto Benedetto XVI che la Chiesa deve essere una “comunità d’amore”. Infatti l’unico criterio di ecclesialità datoci da Gesù è l’amore fraterno: “Da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). I pagani del II secolo, ci riferisce Tertulliano, dicevano: “Vedete come si amano tra loro!”.
La dimensione più importante della vita ecclesiale è quindi l’amore fraterno: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10). Ciò che dobbiamo cercare nella Chiesa è l’amore reciproco, ad ogni costo, senza gelosie, senza finzioni. La Chiesa sia il luogo della cordialità, dell’accoglienza reciproca, dell’astensione dal giudizio, della vera e piena fraternità. La Chiesa, come abbiamo visto, deve essere il luogo dove le relazioni fraterne “gli uni gli altri” sono strettissime, e dove si è talmente “con” da formare davvero un solo corpo.
Nello stesso tempo dobbiamo essere una Chiesa che semina amore. Dobbiamo diventare sempre più “una Chiesa della compassione, una Chiesa dell’assunzione partecipante del dolore altrui, una Chiesa del coinvolgimento quale espressione della sua passione per Dio. Poiché il messaggio biblico su Dio è, nel suo nucleo, un messaggio sensibile alla sofferenza: sensibile al dolore altrui in definitiva fino al dolore dei nemici… La dottrina cristiana della redenzione ha drammatizzato troppo la questione della colpa e ha relativizzato troppo la questione della sofferenza. Il cristianesimo si è trasformato da religione primariamente sensibile alla sofferenza in una religione primariamente attenta alla colpa. Sembra che la Chiesa abbia avuto sempre mano più leggera con i colpevoli che con le vittime innocenti… Il primo sguardo di Gesù non andava al peccato degli altri, bensì al dolore degli altri. Nel linguaggio di una religione borghese irrigidita in se stessa, che davanti a niente ha tanta paura quanto di fronte al proprio naufragio e che perciò continua a preferire l’uovo oggi alla gallina domani, questo è difficile da spiegare. Dobbiamo invece metterci sulle tracce di una durevole simpatia, impegnarci in una disponibilità coraggiosa a non eludere il dolore degli altri, in alleanze e progetti-base della compassione che si sottraggano all’attuale corrente della raffinata indifferenza e della coltivata apatia, e che rifiutino di vivere e celebrare felicità e amore esclusivamente come messe in scena narcisistiche di apparato” (J. B. Metz).
L’amore fraterno, unico criterio ecclesiologico
L’amore ai fratelli diventa allora veramente il segno dei discepoli di Gesù, il criterio di discernimento tra coloro che aderiscono a Gesù il Cristo e coloro che lo dissolvono, tra i figli della luce e i figli delle tenebre. Gesù infatti aveva detto: “Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35). “Amarci gli uni gli altri” è l’unico mezzo per essere sicuri che “Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi” (1 Gv 4,12).
Le lettere di Giovanni richiamano con forza la Chiesa di tutti i tempi a tornare alla sua essenza, che è di essere il luogo dell’agape, dell’amore, il segno della presenza di quel Dio che altro non è che “agape” (1 Gv 4,8), amore. Giovanni esorta la Chiesa a non essere ideologia, a non essere potenza, ma a stare a fianco di ogni uomo, in ogni cultura, assumendone, sull’esempio di Gesù, la povertà e le sofferenze, per portarvi in concretezza segni dell’amore di Dio.
Le lettere giovannee invitano la Chiesa a vivere, come Cristo, il mistero dello svuotamento, della spogliazione, della “kènosis” (Fil 2,7-8), per farsi tutto a tutti (1 Cor 9,22). Ad essere una Chiesa che vive nel servizio, nell’impegno per la giustizia, e che vede in ogni uomo, nel povero, nel malato, nel sofferente, nel reietto, nell’escluso, il suo Dio da amare. Una Chiesa quindi militante, che confessa con forza, e talora con sofferenza, il mistero del Dio-Amore.
Certamente l’ottica di Giovanni è diversa da quella dei sinottici. I sinottici sottolineano la dimensione “ad extra” dell’amore: Luca ci invita a farci prossimo di tutti, anche se nemici o impuri come il samaritano (Lc 10,29-37); Matteo esige: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?” (Mt 5,44-47); e Paolo dirà: “Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne” (Rm 9,3). Giovanni invece insiste sull’amarsi tra cristiani, sull’amore come segno distintivo della Chiesa. Fratello per Giovanni non è, come intendono Blaz e Bultmann, ogni uomo, ma il cristiano: e “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). E’ il grande tema dell’amore all’interno della Chiesa, dell’“amarsi gli uni gli altri” (1 Gv 3,11.23; 4,7.11-12; 2 Gv 1,5).
Perché Giovanni, i cui scritti sono tra gli ultimi del Nuovo Testamento, si preoccupa più della dimensione ecclesiale dell’amore che di quella esterna? Forse perché Giovanni, sviluppandosi la vita ecclesiale, ha capito come spesso è più facile amare i lontani che gli altri cristiani: e la storia della Chiesa, con tutte le sue lotte intestine, le sue lacerazioni, i suoi scismi, le reciproche scomuniche, i suoi partiti e le sue fazioni, le sue correnti e i suoi movimenti vari in perenne disputa tra loro, lo ha ampiamente dimostrato. Talora è più facile impegnarsi per i poveri e gli oppressi che sopportare coloro che ci emarginano proprio in nome di Cristo. E’ più facile aiutare un lontano che amare il vicino che vive il cristianesimo con una sensibilità che ci urta. E’ più facile perdonare un oppressore esterno che dialogare con una gerarchia che talora può sembrarci antievangelica. “Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato” (1 Gv 2,6): c’è bisogno cioè che la Chiesa sia nel mondo segno visibile dell’Amore incarnato, sia sua concreta profezia per tutti gli uomini: non abbiamo altra missione che attirare gli altri a noi con la forza del nostro amore reciproco. Ecco perché la Chiesa deve mettere al primo posto la “koinonìa”, la “comunione” interna, in un continuo superamento delle divisioni, alla ricerca dell’unità più piena, per essere segno credibile del Dio Amore che la fonda e la anima.
Se nel mondo c’è tanto ateismo, chiediamoci se non è perché noi non riusciamo a dare, con il nostro comportamento, il segno di Dio agli uomini. I nostri rapporti intraecclesiali, sono all’insegna della carità? Nella Chiesa c’è sempre rispetto per le singole persone, per la libertà del singolo, c’è ascolto reciproco, accoglienza, uguaglianza, fraternità, dialogo, astensione dal giudizio? Il grande desiderio e la grande preghiera di Gesù, prima di morire, fu: “Che tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).
Girolamo, citando un’antica tradizione, afferma che Giovanni, ormai vecchio, fosse solo più capace di dire: “Amatevi!”. L’osservanza del comandamento dell’amore è l’unico criterio di appartenenza ai salvati: non lo è il culto, la conoscenza teologica o biblica: lo è solo l’amore: “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte” (1 Gv 3,14).
Buona Misericordia a tutti!
Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.
Vangelo di Domenica 05 maggio: Giovanni 15, 9-17
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Cari Consorelle e Confratelli delle Misericordie, sono Carlo Miglietta, medico, biblista, laico, marito, papà e nonno (www.buonabibbiaatutti.it). Anche oggi condivido con voi un breve pensiero di meditazione sul Vangelo, con particolare riferimento al tema della misericordia.
Gli uni gli altri
“Allèlous”, “gli uni gli altri”, è vocabolo che si ripete in maniera martellante in tutto il Nuovo Testamento: non solo bisogna “amarsi gli uni gli altri” (Gv 13,34; 15,12; Rm 12,10; 1 Tess 4,9; 1 Gv 3,11.23; 4,7.11-12; 2 Gv 1,5; 1 Pt 1,22), ma occorre “lavarsi i piedi gli uni gli altri” (Gv 13,14), “gareggiare nello stimarsi gli uni gli altri” (Rm 12,10), “cessare di giudicarsi gli uni gli altri” (Rm 14,13), “accogliersi gli uni gli altri come Cristo accolse noi” (Rm 15,7), “salutarsi gli uni gli altri con il bacio santo” (Rm 16,16), “aspettarsi gli uni gli altri” (1 Cor 11,33), “non mentirsi gli uni gli altri” (Col 3,9), “confortarsi gli uni gli altri edificandosi” (1 Tess 5,11)… La Chiesa è il luogo della reciprocità, degli stretti rapporti di fraternità “gli uni gli altri”.
Ma è anche il luogo del “syn”, il “con”, la condivisione, la compagnia: Paolo parla infatti di con-gioire, con-soffrire, con-lavorare, con-vivere, con-morire, inventando addirittura neologismi (1 Cor 12,26; 2 Cor 7,3; Fil 1,27; 2,17). I Cristiani devono “compatire” i fratelli, cioè saper “patire con” essi: “Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto” (Rm 12,15), “facendovi solidali con… gli esposti a insulti e tribolazioni” (Eb 10,33); “Se un membro (del corpo mistico di Cristo) soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui” (1Cor 12,26). Gioire e piangere insieme significa vivere l’uno per l’altro. È l’abnegazione spinta ad un punto tale che l’altro sono io ed io sono l’altro, e così vivo la vita dell’altro (Fil 2,17-18): “Ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 22,39; 7,12).
“Tutto il Nuovo Testamento è attraversato dalla preoccupazione della comunione come apprendimento di una «forma vitae» contrassegnata dal «syn» (con) e dall’«allèlon» (reciprocamente): ciò si traduce in una costante tensione verso la capacità di sentire, pensare, agire insieme, verso la responsabilità di comportamenti segnati dalla reciprocità. E’ un cammino che nasce nel più elementare tessuto delle relazioni quotidiane e si concretizza in un movimento di fuga dall’individualismo per approdare sempre di nuovo alla condivisione. Il «télos» di tutto questo è ben espresso da Paolo in 2 Cor 7,3…: «Morire insieme e vivere insieme»” (E. Bianchi).
Una Chiesa d’amore
Ha scritto Benedetto XVI che la Chiesa deve essere una “comunità d’amore”. Infatti l’unico criterio di ecclesialità datoci da Gesù è l’amore fraterno: “Da questo tutti riconosceranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). I pagani del II secolo, ci riferisce Tertulliano, dicevano: “Vedete come si amano tra loro!”.
La dimensione più importante della vita ecclesiale è quindi l’amore fraterno: “Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,10). Ciò che dobbiamo cercare nella Chiesa è l’amore reciproco, ad ogni costo, senza gelosie, senza finzioni. La Chiesa sia il luogo della cordialità, dell’accoglienza reciproca, dell’astensione dal giudizio, della vera e piena fraternità. La Chiesa, come abbiamo visto, deve essere il luogo dove le relazioni fraterne “gli uni gli altri” sono strettissime, e dove si è talmente “con” da formare davvero un solo corpo.
Nello stesso tempo dobbiamo essere una Chiesa che semina amore. Dobbiamo diventare sempre più “una Chiesa della compassione, una Chiesa dell’assunzione partecipante del dolore altrui, una Chiesa del coinvolgimento quale espressione della sua passione per Dio. Poiché il messaggio biblico su Dio è, nel suo nucleo, un messaggio sensibile alla sofferenza: sensibile al dolore altrui in definitiva fino al dolore dei nemici… La dottrina cristiana della redenzione ha drammatizzato troppo la questione della colpa e ha relativizzato troppo la questione della sofferenza. Il cristianesimo si è trasformato da religione primariamente sensibile alla sofferenza in una religione primariamente attenta alla colpa. Sembra che la Chiesa abbia avuto sempre mano più leggera con i colpevoli che con le vittime innocenti… Il primo sguardo di Gesù non andava al peccato degli altri, bensì al dolore degli altri. Nel linguaggio di una religione borghese irrigidita in se stessa, che davanti a niente ha tanta paura quanto di fronte al proprio naufragio e che perciò continua a preferire l’uovo oggi alla gallina domani, questo è difficile da spiegare. Dobbiamo invece metterci sulle tracce di una durevole simpatia, impegnarci in una disponibilità coraggiosa a non eludere il dolore degli altri, in alleanze e progetti-base della compassione che si sottraggano all’attuale corrente della raffinata indifferenza e della coltivata apatia, e che rifiutino di vivere e celebrare felicità e amore esclusivamente come messe in scena narcisistiche di apparato” (J. B. Metz).
L’amore fraterno, unico criterio ecclesiologico
L’amore ai fratelli diventa allora veramente il segno dei discepoli di Gesù, il criterio di discernimento tra coloro che aderiscono a Gesù il Cristo e coloro che lo dissolvono, tra i figli della luce e i figli delle tenebre. Gesù infatti aveva detto: “Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35). “Amarci gli uni gli altri” è l’unico mezzo per essere sicuri che “Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi” (1 Gv 4,12).
Le lettere di Giovanni richiamano con forza la Chiesa di tutti i tempi a tornare alla sua essenza, che è di essere il luogo dell’agape, dell’amore, il segno della presenza di quel Dio che altro non è che “agape” (1 Gv 4,8), amore. Giovanni esorta la Chiesa a non essere ideologia, a non essere potenza, ma a stare a fianco di ogni uomo, in ogni cultura, assumendone, sull’esempio di Gesù, la povertà e le sofferenze, per portarvi in concretezza segni dell’amore di Dio.
Le lettere giovannee invitano la Chiesa a vivere, come Cristo, il mistero dello svuotamento, della spogliazione, della “kènosis” (Fil 2,7-8), per farsi tutto a tutti (1 Cor 9,22). Ad essere una Chiesa che vive nel servizio, nell’impegno per la giustizia, e che vede in ogni uomo, nel povero, nel malato, nel sofferente, nel reietto, nell’escluso, il suo Dio da amare. Una Chiesa quindi militante, che confessa con forza, e talora con sofferenza, il mistero del Dio-Amore.
Certamente l’ottica di Giovanni è diversa da quella dei sinottici. I sinottici sottolineano la dimensione “ad extra” dell’amore: Luca ci invita a farci prossimo di tutti, anche se nemici o impuri come il samaritano (Lc 10,29-37); Matteo esige: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?” (Mt 5,44-47); e Paolo dirà: “Vorrei infatti essere io stesso anàtema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne” (Rm 9,3). Giovanni invece insiste sull’amarsi tra cristiani, sull’amore come segno distintivo della Chiesa. Fratello per Giovanni non è, come intendono Blaz e Bultmann, ogni uomo, ma il cristiano: e “nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13). E’ il grande tema dell’amore all’interno della Chiesa, dell’“amarsi gli uni gli altri” (1 Gv 3,11.23; 4,7.11-12; 2 Gv 1,5).
Perché Giovanni, i cui scritti sono tra gli ultimi del Nuovo Testamento, si preoccupa più della dimensione ecclesiale dell’amore che di quella esterna? Forse perché Giovanni, sviluppandosi la vita ecclesiale, ha capito come spesso è più facile amare i lontani che gli altri cristiani: e la storia della Chiesa, con tutte le sue lotte intestine, le sue lacerazioni, i suoi scismi, le reciproche scomuniche, i suoi partiti e le sue fazioni, le sue correnti e i suoi movimenti vari in perenne disputa tra loro, lo ha ampiamente dimostrato. Talora è più facile impegnarsi per i poveri e gli oppressi che sopportare coloro che ci emarginano proprio in nome di Cristo. E’ più facile aiutare un lontano che amare il vicino che vive il cristianesimo con una sensibilità che ci urta. E’ più facile perdonare un oppressore esterno che dialogare con una gerarchia che talora può sembrarci antievangelica. “Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato” (1 Gv 2,6): c’è bisogno cioè che la Chiesa sia nel mondo segno visibile dell’Amore incarnato, sia sua concreta profezia per tutti gli uomini: non abbiamo altra missione che attirare gli altri a noi con la forza del nostro amore reciproco. Ecco perché la Chiesa deve mettere al primo posto la “koinonìa”, la “comunione” interna, in un continuo superamento delle divisioni, alla ricerca dell’unità più piena, per essere segno credibile del Dio Amore che la fonda e la anima.
Se nel mondo c’è tanto ateismo, chiediamoci se non è perché noi non riusciamo a dare, con il nostro comportamento, il segno di Dio agli uomini. I nostri rapporti intraecclesiali, sono all’insegna della carità? Nella Chiesa c’è sempre rispetto per le singole persone, per la libertà del singolo, c’è ascolto reciproco, accoglienza, uguaglianza, fraternità, dialogo, astensione dal giudizio? Il grande desiderio e la grande preghiera di Gesù, prima di morire, fu: “Che tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me ed io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21).
Girolamo, citando un’antica tradizione, afferma che Giovanni, ormai vecchio, fosse solo più capace di dire: “Amatevi!”. L’osservanza del comandamento dell’amore è l’unico criterio di appartenenza ai salvati: non lo è il culto, la conoscenza teologica o biblica: lo è solo l’amore: “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte” (1 Gv 3,14).
Buona Misericordia a tutti!
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Spazio Spadoni
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Vangelo di Domenica 25 Giugno: Matteo 10, 26-33
Vangelo di Domenica 18 Giugno: Matteo 9, 36 – 10, 8
Vangelo di Domenica 11 Giugno: Giovanni 6, 51-58
Vangelo di Domenica 04 Giugno: Giovanni 3, 16-18
Vangelo di Domenica 28 Maggio: Giovanni 20, 19-23
Vangelo di Domenica 21 Maggio: Matteo 28, 16-20
Vangelo di Domenica 14 Maggio: Giovanni 14, 15-21
Vangelo di Domenica 07 Maggio: Giovanni 14, 1-12
Vangelo di Domenica 30 Aprile: Giovanni 10, 1-10
Vangelo di Domenica 23 Aprile: Luca 24, 13-35
Vangelo di Domenica 16 Aprile: Giovanni 20, 19-31
Vangelo di Domenica 09 Aprile: Giovanni 20, 1-9
Vangelo di Domenica 02 Aprile: Matteo 26, 14-27, 66
Vangelo di Domenica 26 marzo: Giovanni 11, 1-45
Vangelo di Domenica 19 marzo: Giovanni 9, 1-41
Vangelo di Domenica 12 marzo: Giovanni 4, 5-42
Vangelo di Domenica 5 marzo: Matteo 17, 1-13
Vangelo di Domenica 26 febbraio: Matteo 4, 1-11
Vangelo di Domenica 19 febbraio: Matteo 5, 38-48
Vangelo di Domenica 12 febbraio: Matteo 5, 17-37
Vangelo di Domenica 05 febbraio: Matteo 5, 13-16
Vangelo di Domenica 29 Gennaio: Matteo 5 , 1-12
Vangelo di Domenica 22 Gennaio: Matteo 4 , 12-25
Vangelo di Domenica 15 Gennaio: Giovanni 1, 29-34
Vangelo di Domenica 8 Gennaio: Matteo 3 , 13-17
Vangelo di Venerdì 6 Gennaio: Matteo 2, 1-12
Vangelo di Domenica 1 Gennaio: Luca 2, 16-21
Vangelo di Domenica 25 Dicembre: Luca 2, 1-14
Vangelo di Domenica 18 Dicembre: Matteo 1, 18-24
Vangelo di Domenica 11 Dicembre: Matteo 11, 2-11
Vangelo di Giovedì 8 Dicembre: Luca 1, 26-38
Vangelo di Domenica 4 Dicembre: Matteo 3, 1-12
Vangelo di Domenica 27 Novembre: Matteo 24, 37-44
Vangelo di Domenica 20 Novembre: Luca 23, 35-43
Vangelo di Domenica 13 Novembre: Luca 21, 5-19
Vangelo di Domenica 6 Novembre: Luca 20, 27-38
Vangelo di Martedì 1 Novembre: Matteo 5, 1-12
Vangelo di Domenica 30 Ottobre: Luca 19, 1-10
Vangelo di Domenica 23 Ottobre: Luca 18, 9-14
Vangelo di Domenica 16 Ottobre: Luca 18, 1-8
Vangelo di Domenica 9 Ottobre: Luca 17, 11-19
Vangelo di Domenica 2 Ottobre: Luca 17, 5-10
Vangelo di Domenica 25 Settembre: Luca 16, 19-31
Vangelo di Domenica 18 Settembre: Luca 16, 1-13
Vangelo di Domenica 11 Settembre: Luca 15, 1-32
Vangelo di Domenica 4 Settembre: Luca 14, 25-33
Vangelo di Domenica 28 Agosto: Luca 14, 1.7-14
Vangelo di Domenica 21 Agosto: Luca 13, 22-30
Vangelo di Lunedì 15 Agosto: Luca 1, 39-56
Vangelo di Domenica 14 Agosto: Luca 12, 49-53
Vangelo di Domenica 7 Agosto: Luca 12, 32-48
Vangelo di Domenica 31 Luglio: Luca 12, 13-21
Vangelo di Domenica 24 Luglio: Luca 11, 1-13
Vangelo di Domenica 17 Luglio: Luca 10, 38-42
Vangelo di Domenica 10 Luglio: Luca 10, 25-37
Vangelo di Domenica 3 Luglio: Luca 10, 1-20
Vangelo di Domenica 26 Giugno: Luca 9, 51-62
Vangelo di Domenica 19 Giugno: Luca 9, 10-17
Vangelo di Domenica 12 Giugno: Giovanni 16, 12-15
Vangelo di Domenica 5 Giugno: Giovanni 14, 15-16. 23-26
Vangelo di Domenica 29 Maggio: Luca 24, 46-53
Vangelo di Domenica 22 Maggio : Giovanni 14, 23-29
Vangelo di Domenica 15 Maggio: Giovanni 13, 31-35
Vangelo di Domenica 8 Maggio: Giovanni 10, 27-30
Vangelo di Domenica 1 Maggio: Giovanni 21, 1-23
Vangelo di Domenica 24 Aprile: Giovanni 20, 19-31
Vangelo di Domenica 17 Aprile: Giovanni 20, 1-9
Vangelo di Domenica 10 Aprile: Luca 22, 14-23, 56
Vangelo di Domenica 3 Aprile: Giovanni 8, 1-11
Vangelo di Domenica 27 Marzo: Luca 15 ,1-3.11-32
Vangelo di Domenica 20 Marzo: Luca 13, 1-9
Vangelo di Domenica 13 Marzo: Luca 9, 28-36
Vangelo di Domenica 6 Marzo: Luca 4, 1-13
Vangelo di Domenica 27 Febbraio: Luca 6, 39-45
Vangelo di Domenica 20 Febbraio: Luca 6, 27-38
Vangelo di Domenica 13 Febbraio: Luca 6, 17. 20-26
Vangelo di Domenica 6 Febbraio: Luca 5, 1-11
Vangelo di Domenica 30 Gennaio Luca 4, 21-30
Vangelo di Domenica 23 Gennaio Luca 1, 1-4; 4, 14-21
Vangelo di Domenica 16 Gennaio: Giovanni 2, 1-11
Vangelo di Domenica 9 Gennaio Luca 3, 15-16.21-22
Vangelo di Giovedì 6 Gennaio: Matteo 2, 1-12
Vangelo di Domenica 2 Gennaio: Giovanni 1, 1-18
Vangelo di Sabato 1 Gennaio: Luca 2, 16-21
Vangelo di Domenica 26 Dicembre: Luca 2, 41-52
Vangelo di Sabato 25 Dicembre: Luca 2, 1-14
Vangelo di Domenica 19 Dicembre: Luca 1, 39-45
Vangelo di Domenica 12 Dicembre: Luca 3, 10-18
Vangelo di Mercoledì 8 Dicembre: Luca 1, 26-38
Vangelo di Domenica 5 Dicembre: Luca 3, 1-6
Vangelo di Domenica 28 Novembre: Luca 21, 25-28. 34-36
Vangelo di Domenica 21 Novembre: Giovanni 13, 33-37
Vangelo di Domenica 14 Novembre: Marco 13, 24-32
Vangelo di Domenica 7 Novembre: Marco 12, 38-44
Vangelo di Lunedì 1 Novembre: Luca 6, 17. 20-26/ Matteo 5, 1-12
Vangelo di Domenica 31 Ottobre: Marco 12, 28-34
Vangelo di Domenica 24 Ottobre: Marco 10, 46-52
Vangelo di Domenica 17 Ottobre: Marco 10, 35-45
Vangelo di Domenica 10 Ottobre: Marco 10, 17-31
Vangelo di Domenica 3 Ottobre: Marco 10, 2-16
Vangelo di Domenica 26 Settembre: Marco 9, 38-43.45.47-48
Vangelo di Domenica 19 Settembre: Marco 9, 30-37
Vangelo di Domenica 12 Settembre: Marco 8, 27-35
Vangelo di Domenica 5 Settembre: Marco 7, 31-37
Vangelo di Domenica 29 Agosto: Marco 7, 1-8.14-15.21-23
Vangelo di Domenica 22 Agosto: Giovanni 6, 60-70
Vangelo di Domenica 15 Agosto: Luca 1, 39-56
Vangelo di Domenica 8 Agosto: Giovanni 6, 41-51
Vangelo di Domenica 1 Agosto: Giovanni 6, 24-35
Vangelo di Domenica 25 Luglio: Giovanni 6, 1-15
Vangelo di Domenica 18 Luglio: Marco 6, 30-34
Vangelo di Domenica 11 Luglio: Marco 6, 7-13
Vangelo di Domenica 4 Luglio: Marco 6, 1-6
Vangelo di Martedì 29 Giugno: Matteo 16, 13-19
Vangelo di Domenica 27 Giugno: Marco 5, 21-43
Vangelo di Domenica 20 Giugno: Marco 4, 35-41
Vangelo di Domenica 13 Giugno: Marco 4, 26-34
Vangelo di Domenica 6 Giugno: Marco 14, 12-16.22-26
Vangelo di Martedì 30 Maggio: Matteo 28, 16-20
Vangelo di Domenica 23 Maggio: Luca 24, 35-48
Vangelo di Domenica 16 Maggio: Marco 16, 15-20
Vangelo di Domenica 9 Maggio: Giovanni 15, 9-17
Vangelo di Domenica 2 Maggio: Giovanni 15, 1-8
Vangelo di Domenica 25 Aprile: Giovanni 10, 11-18
Vangelo di Domenica 18 Aprile: Luca 24, 35-48
Vangelo di Domenica 11 Aprile: Giovanni 20, 19-31
Vangelo di Venerdì 2 Aprile: Giovanni 18-19
Vangelo di Giovedì 1 Aprile: Giovanni 13, 1-15
Vangelo di Domenica 28 Marzo: Marco 14-15
Vangelo di Domenica 21 Marzo: Giovanni 12, 20-33
Vangelo di Domenica 14 Marzo: Giovanni 3, 14-21
Vangelo di Domenica 7 Marzo: Giovanni 2, 13-25
Vangelo di Domenica 28 Febbraio: Marco 9, 2-10
Vangelo di Domenica 21 Febbraio: Marco 1, 12-15
Vangelo di Domenica 14 Febbraio: Marco 1, 40-45
Vangelo di Domenica 7 Febbraio: Marco 1, 29-39
Vangelo di Domenica 31 Gennaio: Marco 1, 21-28
Vangelo di Domenica 24 Gennaio: Marco 1, 14-20
Vangelo di Domenica 10 Gennaio: Marco 1, 9-11
Vangelo di Giovedì 7 Gennaio: Giovanni 1, 35-42
Vangelo di Mercoledì 6 Gennaio: Matteo 2, 1-12
Vangelo di Domenica 3 Gennaio: Giovanni 1, 1-18
Vangelo di Venerdì 1 Gennaio: Luca 2, 16-21
Vangelo di Domenica 27 Dicembre: Luca 2, 25-38
Vangelo di Venerdì 25 Dicembre: Luca 2, 1-14
Vangelo di Domenica 20 Dicembre: Luca 1, 26-38
Vangelo di Domenica 13 Dicembre: Giovanni 1, 6-8.19-28
Vangelo di Domenica 6 Dicembre: Marco 1, 1-8
Vangelo di Domenica 29 Novembre: Marco 13, 33-37
Vangelo di Domenica 22 Novembre: Matteo 25, 31-46
Vangelo di Domenica 15 novembre: Matteo 25, 14-30
Vangelo di Domenica 8 Novembre: Matteo 25, 1-13
Vangelo di Domenica 1 Novembre: Luca 6, 17. 20-26/ Matteo 5, 1-12
Vangelo di Domenica 25 Ottobre: Matteo 22, 34-40
Vangelo di Domenica 18 Ottobre: Matteo 22, 15-21
Vangelo di Domenica 10 Ottobre: Matteo 22, 1-14
Vangelo di Domenica 4 Ottobre: Matteo 21, 33-43
Vangelo di Domenica 27 Settembre: Matteo 21, 28-32
Vangelo di Domenica 20 Settembre: Matteo 20, 1-16
Vangelo di Domenica 13 Settembre: Matteo 18, 21-35
Vangelo di Domenica 6 Settembre: Matteo 18, 15-20
Vangelo di Domenica 6 Settembre