Vangelo di domenica 25 maggio: VI Domenica di Pasqua anno C: Giovanni 14, 23-29

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19 Maggio 2025

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GIOVANNI 14,23-29

23 Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. 24 Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. 25 Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi. 26 Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. 27 Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. 28 Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me. 29 Ve l’ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate.

 

Cinque grandi temi in questo meraviglioso brano del Vangelo di Giovanni:

1. Obbedire alla Parola di Dio

Dio parla, si rivela, ma chiede ascolto. “Ascolta (Shema’), popolo mio, ti voglio ammonire; Israele, se tu mi ascoltassi!” (Sl 8,9). L’ascolto costituisce la condizione primaria per relazionarci con Dio: “Se davvero ascolterete la mia voce e custodirete la mia alleanza…, voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa” (Es 19,4-6).

Ma la Parola ascoltata va poi messa in pratica. La sequela di Gesù implica opere concrete di giustizia e di amore. Come esorterà Giovanni: “Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità” (1 Gv 3,18). Il messaggio di Gesù in tal senso è chiarissimo: “Non chiunque mi dice: «Signore, Signore», entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: «Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?». Io però dichiarerò loro: «Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità»” (Mt 7,12-23).

2. Rimanere in Dio

Il verbo rimanere (μένειν) si trova 118 volte nel Nuovo Testamento, di cui soltanto 12 nei Vangeli sinottici, 17 in Paolo e ben 67 nel Vangelo e nelle Lettere di Giovanni. Il termine appare il più delle volte (43 dei 67 casi) nell’espressione composta ”rimanere in”.

Si possono distinguere tre modalità dell’uso del verbo “rimanere” e delle espressioni ad esso collegate (ad esempio: “essere in”):

a) innanzitutto l’uso semplicemente biografico-spaziale, connesso alla descrizione degli spostamenti di Gesù nella sua missione pubblica.

b) in secondo luogo, le espressioni che ricorrono nei racconti degli incontri evangelici, come quelli con Giovanni e Andrea (Gv 1,38-39) e con i samaritani (Gv 4,40-42).

c) infine le formule contenute nei discorsi di Gesù o nelle Lettere: si tratta di inviti ai discepoli a rimanere in Lui, rimanendo nella sua parola e nel suo amore. Vi sono affermazioni in cui è indicato insieme il rapporto di Gesù con i discepoli e il rapporto di Gesù con il Padre e la comunione con il Padre e con il Figlio che viene sperimentata dai discepoli.

C’è un passaggio ab extra ad intra. Da un uso esteriore si passa a un uso interiore. Il rimanere, come il guardare e il vedere, in Giovanni descrive la dinamica della Fede dei discepoli. Il medesimo e identico verbo “rimanere” è usato sia in senso esteriore sia in quelle che vengono chiamata formule di immanenza. Anche quando si procede da un uso esteriore a un uso interiore, il “rimanere” giovanneo ha origine ed è sempre in rapporto col manifestarsi storico e visibile di Gesù, il Verbo fatto carne. Da un rimanere presso di lui a un rimanere in Lui; Egli dice che possiamo venire a Lui perché il Padre che lo ha mandato ci attira a lui (Gv 6,44; 12,32).

Il rimanere è la condizione che identifica i discepoli di Gesù (Gv 1,39). Non sono i più bravi, i più religiosi o i più morali. Sono semplicemente quelli che rimangono presso di lui e in lui. Il cristianesimo è sempre così: innanzitutto un incontro, occasione data, assolutamente gratuita.

3. Lo Spirito Santo

Lo Spirito Santo è luce che ci illumina: egli è lo Spirito di verità (Gv 14,17; 15,26; 16,13; 1 Gv 4,6; 5,6), il maestro interiore dei discepoli, che non solo ricorda loro l’insegnamento di Gesù (14,26), ma glielo fa comprendere, guidandoli alla verità tutta intera (Gv 16,13). Solo lo Spirito infatti “conosce i segreti di Dio…, e noi abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio per conoscere tutto ciò che Dio ci ha donato” (1 Cor 2,10-16); “Il mistero di Cristo… al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito” (Ef 3,4-5). Inoltre egli rende testimonianza a Gesù contro il mondo (Gv 15,26), e pone sotto giudizio il mondo riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio (Gv 16,8-11). L’idea di forza e di luce è racchiusa nel simbolismo del fuoco, tipico dello Spirito: Gesù battezzerà, dice il Battista, “in Spirito Santo e fuoco” (Lc 1,17), quello Spirito di cui Gesù stesso afferma: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49); è sotto forma di “lingue come di fuoco” (At 2,3-4) che lo Spirito scende a Pentecoste; “Non spegnete lo Spirito” (1 Ts 5,19).

Lo Spirito Santo ci fa comprendere la Parola di Dio, che è “la spada dello Spirito” (Ef 6,17; cfr Eb 4,12; Dei Verbum 11; 18; 21): “Voi avete accolto la Parola di Dio con la gioia che viene dallo Spirito Santo” (1 Ts 1,6).

4. La Pace

Qual è il senso della “pace” nella Bibbia? Il termine ebraico shalòm non corrisponde alla semplice assenza di guerra del greco eirène o alla sicurezza basata su patti bilaterali del latino pax: shalòm deriva dalla radice slm, che significa essenzialmente “completamento”, “pienezza”, anche nel senso di “riparazione”, “restitutio ad integrum”. Shalòm significa quindi ogni benessere (Gdc 19,20), fortuna e prosperità (Sl 73,3), salute fisica (Is 57,18; Sl 38,4), contentezza e soddisfazione (Gn 15,15; 26,29; Sl 4,9), piena intesa tra popoli e persone (1 Re 5,26; Gdc 4,17; 1 Cr 12,17.18), salvezza totale (Ger 14,13; 29,11; Is 45,7): la pace è in qualche modo l’essenza stessa di Dio, il cui nome è proprio “IHWH SHALOM”, “Dio Pace” (Gdc 6,4).

Israele attende perciò un regno di pace escatologico (Is 54,10; 62,1.2), che sarà realizzato dal Messia, “principe della pace”, sotto il cui dominio “la pace non avrà fine” (Is 9,5-6; cfr Is 11,1-9; 42,1-4; 49,6). Questa speranza si è realizzata proprio nel dono che Dio, “il Dio della pace” (Rm 15,33; Eb 13,20; 2 Ts 3,16), fa di sè agli uomini, Cristo stesso. Solo aderendo a Cristo l’uomo trova pace con Dio. Ma la pace non è solo una dimensione individuale: già nell’Antico Testamento la shalòm è sempre strettamente legata alla sedaquàh, alla giustizia, con tutti i risvolti etici, sociali ed economici che questa implica (Ger 23,17; 6,14; 28; 1 Re 22; Mi 3,5-8; Ez 13,15-16): “Effetto della giustizia sarà la pace” (Is 32,17).

Ecco quindi che coloro aderiscono a Gesù devono vivere “in pace vicendevole” (Mc 9,50; 2 Cor 13,11) e con tutti gli uomini (Rm 12,18; Eb 12,14). “Dio.. ci ha riconciliati con sè mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione” (2 Cor 5,17), chiamati a perdonare sempre (Mt 18,22), a non tener conto del male ricevuto (1 Cor 13,5), ad amarci come Cristo ci ha amato, fino a dare la vita per i fratelli (Gv 15,12-13)… Soltanto se diventeremo infaticabili “operatori di pace” saremo chiamati “figli di Dio” (Mt 5,9).

5. La promessa del Paradiso

Gesù ci assicura: “Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io. E del luogo dove io vado, voi conoscete la via” (Gv 14,2-4). Alla fine ci sarà detto: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo” (Mt 25,34).

Paolo quindi afferma: “Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo” (1 Cor 15,12-23).

Afferma il Concilio Ecumenico Vaticano II: “L’istinto del cuore dell’uomo lo fa giudicare rettamente, quando aborrisce e respinge l’idea di una totale rovina e di un annientamento definitivo della sua persona. Il germe dell’eternità, che porta in sé, irriducibile com’è alla sola materia, insorge contro la morte… Se qualsiasi immaginazione viene meno di fronte alla morte, la Chiesa, invece, istruita dalla rivelazione divina, afferma che l’uomo è stato creato da Dio per un fine di felicità oltre i confini della miseria terrena… Dio infatti ha chiamato e chiama l’uomo a stringersi a lui con tutta intera la sua natura in una comunione perpetua con l’incorruttibile vita divina. Questa vittoria l’ha conquistata il Cristo risorgendo alla vita, dopo aver liberato l’uomo dalla morte mediante la sua morte… Per Cristo e in Cristo riceve luce quell’enigma del dolore e della morte, che senza il suo Vangelo sarebbe insopportabile. Cristo è risorto, distruggendo la morte con la sua morte, e ci ha donato la vita” (Gaudium et Spes, nn. 18.22).

Buona Misericordia a tutti!

Chi volesse leggere un’esegesi più completa del testo, o qualche approfondimento, me li chieda a migliettacarlo@gmail.com.

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